I centocinquant’anni di celebrazione dell’Unità Nazionale Italiana (1861-2011) sono motivo di riflessioni più ampie perché non solo coinvolgono la forma dell’allora neonato assetto politico-amministrativo italiano, ma perché, quest’ultimo, coinvolse a cascata, con le deliberazioni legislative dei primi governi, tutte le istituzioni pubbliche e private che ne furono implicate. Tra queste spiccano fra le altre, quali ad esempio le istituzioni scolastiche, anche le istituzioni sanitarie, dove all’interno di esse, si rese necessario un dibattito finalizzato alla realizzazione di una modernità ospedaliera, collegata anche all’esigenza di avere altresì, nel nostro paese, infermiere preparate ed addestrate, così come in uso in altre Nazioni europee e d’oltre Atlantico, prima tra tutte l’Inghilterra, il paese dove nacque, come a tutti noto, la professione infermieristica modernamente intesa ad opera della lungimiranza ed assiduo lavoro di Florence Nightingale (Firenze 1820, Londra 1910). Questo dibattito, in Italia, prese il nome di “questione infermiera” e coinvolse personaggi illustri sia del Regio Stato, sia della medicina, come ad esempio il Professor Enrico Ronzani, cattedratico igienista-epidemiologo. In particolare la discussione sulla necessità ed il modo di formare le infermiere era focalizzata, soprattutto, sul bisogno di rispondere meglio alle nuove e più complesse esigenze scientifico-clinico-tecnologiche della medicina, dei medici e dell’organizzazione sanitario-ospedaliera, aspetti questi che configurarono, da subito e fino al 1999, la professione infermieristica come ancillare ed ausiliaria rispetto la professione medica. Però il contesto sociale, culturale e d’istruzione del nostro paese a cavallo tra il XIX ed il XX secolo, vuoi per mentalità, vuoi per la scarsa programmazione, vuoi per mancanza di competenze e risorse umane preparate a tale scopo, incontrò difficoltà iniziali d’affermazione e comprensione, soprattutto da parte degli strati sociali medio e medio-alti, della Chiesa e della componente medica, all’interno della quale, molti clinici, non credevano alla reale necessità di formare le infermiere. Inoltre era presente anche una visione negativa della figura infermieristica, specialmente di componente laica, frutto questa della realtà e retaggio che identificava in essa una donna proveniente dal basso strato sociale e spesso, purtroppo, di malaffare e dubbia reputazione morale. Va considerato che l’assistenza infermieristica d’allora era praticata senza qualifiche particolari non solo dalle infermiere laiche, ma anche dalle suore che si prendevano però più cura dell’aspetto spirituale che fisico del malato ed erano, oltre a ciò, impiegate nell’organizzazione e nella gestione dell’assistenza stessa, con una visione generale ancora di tipo, ovviamente, caritativo-pietistico. Occorreva allora favorire una visione diversa dell’infermiera laica che già dagli ultimissimi anni dell’800 cominciava a formarsi grazie ad iniziative locali e spontanee di istruzione ed addestramento, esempio ne è la fondazione a Napoli nel 1896 della prima Scuola per Infermiere in Italia, Scuola Croce Azzurra, presso l’Ospedale Gesù e Maria. Dai primissimi scorci del 1900, inoltre, cominciarono anche a formarsi le infermiere volontarie della Croce Rossa Italiana, che a partire dal 1906, parteciparono ai primi corsi organizzati a tale scopo. Le donne che vi aderivano avevano, in linea di massima, sia una provenienza sociale media, medio-elevata, sia una scolarità ed educazione civica migliore. In Italia il primi due banchi di prova che testarono la loro preparazione ed organizzazione, ovviamente legata alla CRI, fu prima il terremoto di Messina del 1908 e poi la guerra di Libia (1911-1912). Ma fu con l’ingresso dell’Italia nella 1^ Guerra Mondiale (24 maggio 1915) che l’infermiera laica si affermò e si diede il via ad una visibilità differente sia dell’infermiera stessa, sia della donna che condivideva, nelle trincee, sui campi di battaglia, negli ospedali da campo e territoriali, i pericoli, le sofferenze i drammi e glorie con l’uomo-soldato italiano. Cominciò allora sia una nutritissima produzione di cartoline illustrate, quale mezzo di comunicazione di massa immediato e suggestivo, che ritraevano la donna-infermiera, sia di scritti letterario-poetici e giornalistici. Il connubio tra l’arte figurativa, la letteratura ed il giornalismo, favorirono la penetrazione dell’immagine dell’infermiera quale “angelo bianco della corsia”. I volti e le scene che vengono ritratti in queste cartoline, sono espressione di una composta e dignitosa presa di coscienza del proprio ruolo di infermiera, cioè di chi assiste a tutto tondo, ma anche di vera e convinta sostituta della madre, della moglie o della sorella lontane dall’uomo-soldato impegnato al fronte. Volti mai superbi o in atteggiamento di supremazia, ma semplici, velatamente pallidi per una stanchezza dovuta alle estenuanti e lunghe ore di lavoro, un po’ evanescenti, discreti, illuminati da una fioca lampada che tengono in mano o che comunque è nei pressi della scena: quella luce tenue e tremula è comunque fonte di speranza e sicurezza che irradia il luogo riportando alla memoria la figura di Florence Nightingale quasi a renderla spiritualmente presente. Per rafforzare e completare questa visione, seppur con toni melensi, carichi di retorica pervasa di profondo spirito patriottistico e missionaristico, senso del dovere ed abnegazione estremi, vi fu anche una produzione letteraria poetica minore rivolta a celebrare la figura dell’infermiera. Inoltre, una serie di articoli giornalistici propagandistici, sottolinearono i paradigmi di missione, vocazione, carità, compassione, pietà, sacrificio, umiltà… confermando la donna si nel suo naturale ruolo femminile di infermiera, ma sublimandola anche come madre-sorella-sposa e, come tale, disposta silenziosamente, amorevolmente e benevolmente a curare, proteggere, assecondare e, dopo aver compiuto il proprio dovere, mettersi in disparte e tacitamente eclissarsi. L’idea di un’ipotetica vera ed orgogliosa professionalità nascente non venne assolutamente colta e di conseguenza sviluppata. L’infermiera venne interpretata con una visione, tutto sommato, positiva rispetto ad oggi, come l’angelo custode della salute e della vita. Il presente poster vuole illustrare sinteticamente, attraverso l’esposizione di alcune immagini artistiche, provenienti dal collezionismo cartofilico, poesie e articoli giornalistici coevi, la visibilità ed il valore che la figura dell’infermiera esprimeva, attraverso una sua particolare forma di interpretazione e lettura, cioè l’angelizzazione

Le bianche angeliche infermiere vanno lievi:. Il processo di angelizzazione dell'infermiera nell'Italia della Grande Guerra (1915-1918) / G. Celeri Bellotti, S. Terzoni, A. Destrebecq. ((Intervento presentato al convegno L'evoluzione del "Nursing" italiano negli ultimi 150 anni tenutosi a Avezzano nel 2011.

Le bianche angeliche infermiere vanno lievi:. Il processo di angelizzazione dell'infermiera nell'Italia della Grande Guerra (1915-1918)

G. Celeri Bellotti;S. Terzoni;A. Destrebecq
2011

Abstract

I centocinquant’anni di celebrazione dell’Unità Nazionale Italiana (1861-2011) sono motivo di riflessioni più ampie perché non solo coinvolgono la forma dell’allora neonato assetto politico-amministrativo italiano, ma perché, quest’ultimo, coinvolse a cascata, con le deliberazioni legislative dei primi governi, tutte le istituzioni pubbliche e private che ne furono implicate. Tra queste spiccano fra le altre, quali ad esempio le istituzioni scolastiche, anche le istituzioni sanitarie, dove all’interno di esse, si rese necessario un dibattito finalizzato alla realizzazione di una modernità ospedaliera, collegata anche all’esigenza di avere altresì, nel nostro paese, infermiere preparate ed addestrate, così come in uso in altre Nazioni europee e d’oltre Atlantico, prima tra tutte l’Inghilterra, il paese dove nacque, come a tutti noto, la professione infermieristica modernamente intesa ad opera della lungimiranza ed assiduo lavoro di Florence Nightingale (Firenze 1820, Londra 1910). Questo dibattito, in Italia, prese il nome di “questione infermiera” e coinvolse personaggi illustri sia del Regio Stato, sia della medicina, come ad esempio il Professor Enrico Ronzani, cattedratico igienista-epidemiologo. In particolare la discussione sulla necessità ed il modo di formare le infermiere era focalizzata, soprattutto, sul bisogno di rispondere meglio alle nuove e più complesse esigenze scientifico-clinico-tecnologiche della medicina, dei medici e dell’organizzazione sanitario-ospedaliera, aspetti questi che configurarono, da subito e fino al 1999, la professione infermieristica come ancillare ed ausiliaria rispetto la professione medica. Però il contesto sociale, culturale e d’istruzione del nostro paese a cavallo tra il XIX ed il XX secolo, vuoi per mentalità, vuoi per la scarsa programmazione, vuoi per mancanza di competenze e risorse umane preparate a tale scopo, incontrò difficoltà iniziali d’affermazione e comprensione, soprattutto da parte degli strati sociali medio e medio-alti, della Chiesa e della componente medica, all’interno della quale, molti clinici, non credevano alla reale necessità di formare le infermiere. Inoltre era presente anche una visione negativa della figura infermieristica, specialmente di componente laica, frutto questa della realtà e retaggio che identificava in essa una donna proveniente dal basso strato sociale e spesso, purtroppo, di malaffare e dubbia reputazione morale. Va considerato che l’assistenza infermieristica d’allora era praticata senza qualifiche particolari non solo dalle infermiere laiche, ma anche dalle suore che si prendevano però più cura dell’aspetto spirituale che fisico del malato ed erano, oltre a ciò, impiegate nell’organizzazione e nella gestione dell’assistenza stessa, con una visione generale ancora di tipo, ovviamente, caritativo-pietistico. Occorreva allora favorire una visione diversa dell’infermiera laica che già dagli ultimissimi anni dell’800 cominciava a formarsi grazie ad iniziative locali e spontanee di istruzione ed addestramento, esempio ne è la fondazione a Napoli nel 1896 della prima Scuola per Infermiere in Italia, Scuola Croce Azzurra, presso l’Ospedale Gesù e Maria. Dai primissimi scorci del 1900, inoltre, cominciarono anche a formarsi le infermiere volontarie della Croce Rossa Italiana, che a partire dal 1906, parteciparono ai primi corsi organizzati a tale scopo. Le donne che vi aderivano avevano, in linea di massima, sia una provenienza sociale media, medio-elevata, sia una scolarità ed educazione civica migliore. In Italia il primi due banchi di prova che testarono la loro preparazione ed organizzazione, ovviamente legata alla CRI, fu prima il terremoto di Messina del 1908 e poi la guerra di Libia (1911-1912). Ma fu con l’ingresso dell’Italia nella 1^ Guerra Mondiale (24 maggio 1915) che l’infermiera laica si affermò e si diede il via ad una visibilità differente sia dell’infermiera stessa, sia della donna che condivideva, nelle trincee, sui campi di battaglia, negli ospedali da campo e territoriali, i pericoli, le sofferenze i drammi e glorie con l’uomo-soldato italiano. Cominciò allora sia una nutritissima produzione di cartoline illustrate, quale mezzo di comunicazione di massa immediato e suggestivo, che ritraevano la donna-infermiera, sia di scritti letterario-poetici e giornalistici. Il connubio tra l’arte figurativa, la letteratura ed il giornalismo, favorirono la penetrazione dell’immagine dell’infermiera quale “angelo bianco della corsia”. I volti e le scene che vengono ritratti in queste cartoline, sono espressione di una composta e dignitosa presa di coscienza del proprio ruolo di infermiera, cioè di chi assiste a tutto tondo, ma anche di vera e convinta sostituta della madre, della moglie o della sorella lontane dall’uomo-soldato impegnato al fronte. Volti mai superbi o in atteggiamento di supremazia, ma semplici, velatamente pallidi per una stanchezza dovuta alle estenuanti e lunghe ore di lavoro, un po’ evanescenti, discreti, illuminati da una fioca lampada che tengono in mano o che comunque è nei pressi della scena: quella luce tenue e tremula è comunque fonte di speranza e sicurezza che irradia il luogo riportando alla memoria la figura di Florence Nightingale quasi a renderla spiritualmente presente. Per rafforzare e completare questa visione, seppur con toni melensi, carichi di retorica pervasa di profondo spirito patriottistico e missionaristico, senso del dovere ed abnegazione estremi, vi fu anche una produzione letteraria poetica minore rivolta a celebrare la figura dell’infermiera. Inoltre, una serie di articoli giornalistici propagandistici, sottolinearono i paradigmi di missione, vocazione, carità, compassione, pietà, sacrificio, umiltà… confermando la donna si nel suo naturale ruolo femminile di infermiera, ma sublimandola anche come madre-sorella-sposa e, come tale, disposta silenziosamente, amorevolmente e benevolmente a curare, proteggere, assecondare e, dopo aver compiuto il proprio dovere, mettersi in disparte e tacitamente eclissarsi. L’idea di un’ipotetica vera ed orgogliosa professionalità nascente non venne assolutamente colta e di conseguenza sviluppata. L’infermiera venne interpretata con una visione, tutto sommato, positiva rispetto ad oggi, come l’angelo custode della salute e della vita. Il presente poster vuole illustrare sinteticamente, attraverso l’esposizione di alcune immagini artistiche, provenienti dal collezionismo cartofilico, poesie e articoli giornalistici coevi, la visibilità ed il valore che la figura dell’infermiera esprimeva, attraverso una sua particolare forma di interpretazione e lettura, cioè l’angelizzazione
ott-2011
Settore MED/45 - Scienze Infermieristiche Generali, Cliniche e Pediatriche
Collegio IPASVI L'Aquila
Le bianche angeliche infermiere vanno lievi:. Il processo di angelizzazione dell'infermiera nell'Italia della Grande Guerra (1915-1918) / G. Celeri Bellotti, S. Terzoni, A. Destrebecq. ((Intervento presentato al convegno L'evoluzione del "Nursing" italiano negli ultimi 150 anni tenutosi a Avezzano nel 2011.
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