La relazione di Chiarini si è incentrata sui caratteri del liberalismo zanardelliano, sottolineandone anzitutto il forte indirizzo privatistico, che assume anche coloriture «dottrinarie». Nel 1876, ministro dei Lavori Pubblici, egli insiste per una privatizzazione delle concessioni ferroviarie, allora in mano ai Rothschild austriaci: «Zanardelli vuole che la gestione sia affidata a un numero elevato di piccoli imprenditori in concorrenza tra loro: una soluzione che, all’epoca, esisteva solo nella mente di chi la proponeva». Il secondo elemento significativo è la sua nomea di «campione della libertà»: «Il 3 novembre 1878, davanti agli elettori di Iseo, Zanardelli espone un impegnativo programma politico che ha il suo caposaldo nel principio di libertà. Egli è un antesignano dell’idea che i cittadini hanno diritti civili inalienabili». È la convinzione che si debba «reprimere ma non prevenire», punire i reati ma non limitare le libertà civili. Nel 1901, da presidente del Consiglio, Zanardelli imprime alla politica la «svolta liberale»: «Sancisce ad esempio la libertà nei conflitti sociali, attuando il principio che lo Stato è neutrale e ha il solo compito di tutelare l’ordine pubblico. È un liberalismo dei diritti civili: il mattone della comunità politica è il cittadino, e lo Stato non può decidere il bene della collettività». Il valore dello Stato nazionale non esce sminuito da questa politica: «Per Zanardelli - puntualizza Chiarini - lo Stato nazionale è irrinunciabile e va difeso con ferocia, perché garantisce il cittadino contro l’oppressione dei poteri esterni». Il giovane intellettuale perseguitato dall’Austria a causa dei suoi «sentimenti liberali» aveva sperimentato sulla propria pelle la prevaricazione di uno Stato che non rispetta i diritti. «Con il suo ministero inizia anche in Italia la legislazione sociale, attraverso la legge per la tutela del lavoro delle donne e dei minori». Del 1882 è la riforma elettorale (già analizzata da Giuseppe Gangemi nella prima giornata): benché Zanardelli fosse a favore del suffragio universale, il precedente di Napoleone III gli faceva temere che il voto affidato a una popolazione politicamente immatura potesse sfociare in una dittatura. «La sua riforma accrebbe comunque gli elettori da 500mila e 2,5 milioni, legando il diritto di voto all’alfabetizzazione: scelta destinata ad avere effetti nel lungo periodo, perché l’istruzione è la maggiore molla di mobilità sociale».
«Dal manifesto liberale d’Iseo del 1878 alla svolta ministeriale del 1901, Zanardelli quale "autobiografia della nazione"» / R. Chiarini. ((Intervento presentato al convegno «Giuseppe Zanardelli. A riprova dell’eccellenza delle liberali istituzioni» tenutosi a Provaglio d'Iseo (Brescia) nel 2009.
«Dal manifesto liberale d’Iseo del 1878 alla svolta ministeriale del 1901, Zanardelli quale "autobiografia della nazione"»
R. ChiariniPrimo
2009
Abstract
La relazione di Chiarini si è incentrata sui caratteri del liberalismo zanardelliano, sottolineandone anzitutto il forte indirizzo privatistico, che assume anche coloriture «dottrinarie». Nel 1876, ministro dei Lavori Pubblici, egli insiste per una privatizzazione delle concessioni ferroviarie, allora in mano ai Rothschild austriaci: «Zanardelli vuole che la gestione sia affidata a un numero elevato di piccoli imprenditori in concorrenza tra loro: una soluzione che, all’epoca, esisteva solo nella mente di chi la proponeva». Il secondo elemento significativo è la sua nomea di «campione della libertà»: «Il 3 novembre 1878, davanti agli elettori di Iseo, Zanardelli espone un impegnativo programma politico che ha il suo caposaldo nel principio di libertà. Egli è un antesignano dell’idea che i cittadini hanno diritti civili inalienabili». È la convinzione che si debba «reprimere ma non prevenire», punire i reati ma non limitare le libertà civili. Nel 1901, da presidente del Consiglio, Zanardelli imprime alla politica la «svolta liberale»: «Sancisce ad esempio la libertà nei conflitti sociali, attuando il principio che lo Stato è neutrale e ha il solo compito di tutelare l’ordine pubblico. È un liberalismo dei diritti civili: il mattone della comunità politica è il cittadino, e lo Stato non può decidere il bene della collettività». Il valore dello Stato nazionale non esce sminuito da questa politica: «Per Zanardelli - puntualizza Chiarini - lo Stato nazionale è irrinunciabile e va difeso con ferocia, perché garantisce il cittadino contro l’oppressione dei poteri esterni». Il giovane intellettuale perseguitato dall’Austria a causa dei suoi «sentimenti liberali» aveva sperimentato sulla propria pelle la prevaricazione di uno Stato che non rispetta i diritti. «Con il suo ministero inizia anche in Italia la legislazione sociale, attraverso la legge per la tutela del lavoro delle donne e dei minori». Del 1882 è la riforma elettorale (già analizzata da Giuseppe Gangemi nella prima giornata): benché Zanardelli fosse a favore del suffragio universale, il precedente di Napoleone III gli faceva temere che il voto affidato a una popolazione politicamente immatura potesse sfociare in una dittatura. «La sua riforma accrebbe comunque gli elettori da 500mila e 2,5 milioni, legando il diritto di voto all’alfabetizzazione: scelta destinata ad avere effetti nel lungo periodo, perché l’istruzione è la maggiore molla di mobilità sociale».File | Dimensione | Formato | |
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