La birra accompagna l’uomo sin dai tempi più remoti, dall’antica Mesopotamia al regno faraonico dell’antico Egitto, ai Greci e poi ai Romani. Il contributo del luppolo quale ingrediente base della bevanda risale invece a tempi relativamente recenti; si fa infatti risalire alla metà del primo millenio d.C. la sua introduzione ad opera dei Goti, che usarono specie selvatiche per aromatizzare la loro versione della birra, chiamata Ludi, ma è solo ad opera dei monaci benedettini che l’uso viene mantenuto e perfezionato e che si arriva, intorno all’860, alle prime coltivazioni in territorio tedesco. In Italia, seppur vi siano tracce di utilizzo del luppolo in medicina tradizionale o in cucina già nei secoli passati, è solo sul finire del 1800 che vengono riportate le prime coltivazioni ad opera di pochi facoltosi che ne intravvidero le potenzialità. Le altalenanti sorti della birra nel nostro paese nel corso del Novecento portarono alla scomparsa di questi pochi esempi di coltura estensiva, e solo in anni molto recenti se ne è ripresa la coltivazione, allo scopo di garantire alla bevanda il titolo di prodotto di qualità completamente italiano. Proprio in questo ambito si è configurata la nostra indagine, volta a caratterizzare due cultivar di luppolo, Saaz e Cascade, di provenienza rispettivamente europea e americana, coltivate su territorio lombardo dall’Azienda Agricola “La Morosina” per le note proprietà aromatizzanti. L’assenza in letteratura di dati relativi a coltivazioni nazionali ci ha portato innanzitutto a valutare le caratteristiche morfologiche delle due cultivar, con particolare attenzione alla struttura dei coni e delle ghiandole; l’accurata analisi tramite microscopia SEM ha evidenziato una perfetta analogia con quanto riportato in letteratura per le coltivazioni originarie. La valutazione fitochimica ha riguardato sia le componenti di interesse per la produzione brassicola, quali la composizione in acidi amari, sia le frazioni organiche volatili ed i polifenoli, di potenziale interesse anche nell’ambito della medicina tradizionale. É stato così possibile evidenziare, in un quadro di generale conservazione delle peculiarità originarie, alcune variazioni qualitative e/o quantitative delle componenti caratterizzanti, la cui dipendenza da fattori climatici e colturali è ora in fase di valutazione.
La riscoperta del luppolo in Italia : studi morfologici e fitochimici / F. Cerasa, L. Santagostini, G. Flamini, E. Caporali, M. Iriti, G. Fico. ((Intervento presentato al convegno Scuola di Fitochimica "P. Ceccherelli" tenutosi a Stintino nel 2014.
La riscoperta del luppolo in Italia : studi morfologici e fitochimici
L. SantagostiniSecondo
;E. Caporali;M. IritiPenultimo
;G. FicoUltimo
2014
Abstract
La birra accompagna l’uomo sin dai tempi più remoti, dall’antica Mesopotamia al regno faraonico dell’antico Egitto, ai Greci e poi ai Romani. Il contributo del luppolo quale ingrediente base della bevanda risale invece a tempi relativamente recenti; si fa infatti risalire alla metà del primo millenio d.C. la sua introduzione ad opera dei Goti, che usarono specie selvatiche per aromatizzare la loro versione della birra, chiamata Ludi, ma è solo ad opera dei monaci benedettini che l’uso viene mantenuto e perfezionato e che si arriva, intorno all’860, alle prime coltivazioni in territorio tedesco. In Italia, seppur vi siano tracce di utilizzo del luppolo in medicina tradizionale o in cucina già nei secoli passati, è solo sul finire del 1800 che vengono riportate le prime coltivazioni ad opera di pochi facoltosi che ne intravvidero le potenzialità. Le altalenanti sorti della birra nel nostro paese nel corso del Novecento portarono alla scomparsa di questi pochi esempi di coltura estensiva, e solo in anni molto recenti se ne è ripresa la coltivazione, allo scopo di garantire alla bevanda il titolo di prodotto di qualità completamente italiano. Proprio in questo ambito si è configurata la nostra indagine, volta a caratterizzare due cultivar di luppolo, Saaz e Cascade, di provenienza rispettivamente europea e americana, coltivate su territorio lombardo dall’Azienda Agricola “La Morosina” per le note proprietà aromatizzanti. L’assenza in letteratura di dati relativi a coltivazioni nazionali ci ha portato innanzitutto a valutare le caratteristiche morfologiche delle due cultivar, con particolare attenzione alla struttura dei coni e delle ghiandole; l’accurata analisi tramite microscopia SEM ha evidenziato una perfetta analogia con quanto riportato in letteratura per le coltivazioni originarie. La valutazione fitochimica ha riguardato sia le componenti di interesse per la produzione brassicola, quali la composizione in acidi amari, sia le frazioni organiche volatili ed i polifenoli, di potenziale interesse anche nell’ambito della medicina tradizionale. É stato così possibile evidenziare, in un quadro di generale conservazione delle peculiarità originarie, alcune variazioni qualitative e/o quantitative delle componenti caratterizzanti, la cui dipendenza da fattori climatici e colturali è ora in fase di valutazione.Pubblicazioni consigliate
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