Nei contesti di cura, gli storici studi di Kleinman e Good hanno messo in luce da tempo l’importanza della dimensione di vissuto della malattia (definita illness), la quale ha un ruolo importante non solo nella diagnosi globale di malattia (overall diagnosis), ma anche e soprattutto nel percorso terapeutico. I questi contesti, è generalmente assodato che per formare gli operatori alle competenze etiche, relazionali, sociali e culturali, lo studio delle scienze umane e, soprattutto, l’utilizzo dei loro prodotti (la letteratura, l’arte, il cinema, il teatro ecc.), sono fondamentali. A livello internazionale, le cosiddette "medical humanities" sono ormai ritenute indispensabili per implementare quel processo di umanizzazione della medicina richiesto a gran voce da più portatori d’interesse. Esse sono considerate una “palestra” straordinaria per lo sviluppo di capacità di comprensione del punto di vista e delle emozioni degli altri, nonché delle proprie. Nella formazione dei professionisti della cura, la lettura di un romanzo o la visione di un film sono occasioni formidabili per imparare, attraverso testi narrativi e successiva riflessione, a comprendere non solo i pazienti, ma anche se stessi. Come ha sostenuto anche Mortari, la narrazione, pure in forma scritta, non è solo una potente strategia educativa e auto-educativa (Demetrio) ma è altresì una modalità fondamentale per “aver cura della vita della mente” e dei suoi vissuti. Charon, la caposcuola della medicina narrativa, ha sostenuto che, quando raccontiamo una storia di malattia, siamo richiamati nella nostra “radura” un termine ripreso da Heidegger ("lichtung" in tedesco, venire alla luce); in essa noi, operatori e pazienti, siamo uniti nella ricerca della verità e della cura autentica. Analogamente, Riccardo Massa (1995) aveva paragonato il gesto educativo al portare l’educando in uno spazio "reso aperto", alla radura dell’essere di cui parla Heidegger. Il contributo ipotizza che i percorsi di medical humanities, per essere davvero educativi, dovrebbero favorire questa esperienza di “trovarsi altrove”, in uno spazio reso libero, dove l’essere persone si possa disvelare. Ma perché ciò accada è necessaria una “cura educativa” del setting formativo, che riguarda la qualità della relazione, l’attenzione agli spazi, la gestione dei tempi, il significato delle regole, il presidio delle dimensioni simboliche (Palmieri). Una cura educativa che sta alla base e permette l’esperienza del “trovarsi altrove”, ossia l’esperienza della radura. Il problema fondamentale, per i formatori dei professionisti della cura, è allora quello di costruire un dispositivo realmente educativo, con tutto quello che ne deriva in termini di cura educativa, quando sviluppano percorsi di medical humanities. Non basta andare in aula e passare un film o mostrare un’opera pittorica, per poter dire di aver introdotto le medical humanities in un percorso formativo di base o anche nella formazione permanente degli operatori sanitari: è necessario istituire un dispositivo nel quale i formandi possano fare “esperienza della loro esperienza”, uscendo da essa e al contempo riflettendo su di essa.

Formare i professionisti della cura alle competenze narrative : oltre la “ricetta” delle medical humanities / L. Zannini (SCIENZE DELLA NARRAZIONE). - In: Narrazione e cura / [a cura di] M. Castiglioni. - Prima edizione. - Milano : Mimesis, 2014. - ISBN 9788857521671. - pp. 155-175

Formare i professionisti della cura alle competenze narrative : oltre la “ricetta” delle medical humanities

L. Zannini
Primo
2014

Abstract

Nei contesti di cura, gli storici studi di Kleinman e Good hanno messo in luce da tempo l’importanza della dimensione di vissuto della malattia (definita illness), la quale ha un ruolo importante non solo nella diagnosi globale di malattia (overall diagnosis), ma anche e soprattutto nel percorso terapeutico. I questi contesti, è generalmente assodato che per formare gli operatori alle competenze etiche, relazionali, sociali e culturali, lo studio delle scienze umane e, soprattutto, l’utilizzo dei loro prodotti (la letteratura, l’arte, il cinema, il teatro ecc.), sono fondamentali. A livello internazionale, le cosiddette "medical humanities" sono ormai ritenute indispensabili per implementare quel processo di umanizzazione della medicina richiesto a gran voce da più portatori d’interesse. Esse sono considerate una “palestra” straordinaria per lo sviluppo di capacità di comprensione del punto di vista e delle emozioni degli altri, nonché delle proprie. Nella formazione dei professionisti della cura, la lettura di un romanzo o la visione di un film sono occasioni formidabili per imparare, attraverso testi narrativi e successiva riflessione, a comprendere non solo i pazienti, ma anche se stessi. Come ha sostenuto anche Mortari, la narrazione, pure in forma scritta, non è solo una potente strategia educativa e auto-educativa (Demetrio) ma è altresì una modalità fondamentale per “aver cura della vita della mente” e dei suoi vissuti. Charon, la caposcuola della medicina narrativa, ha sostenuto che, quando raccontiamo una storia di malattia, siamo richiamati nella nostra “radura” un termine ripreso da Heidegger ("lichtung" in tedesco, venire alla luce); in essa noi, operatori e pazienti, siamo uniti nella ricerca della verità e della cura autentica. Analogamente, Riccardo Massa (1995) aveva paragonato il gesto educativo al portare l’educando in uno spazio "reso aperto", alla radura dell’essere di cui parla Heidegger. Il contributo ipotizza che i percorsi di medical humanities, per essere davvero educativi, dovrebbero favorire questa esperienza di “trovarsi altrove”, in uno spazio reso libero, dove l’essere persone si possa disvelare. Ma perché ciò accada è necessaria una “cura educativa” del setting formativo, che riguarda la qualità della relazione, l’attenzione agli spazi, la gestione dei tempi, il significato delle regole, il presidio delle dimensioni simboliche (Palmieri). Una cura educativa che sta alla base e permette l’esperienza del “trovarsi altrove”, ossia l’esperienza della radura. Il problema fondamentale, per i formatori dei professionisti della cura, è allora quello di costruire un dispositivo realmente educativo, con tutto quello che ne deriva in termini di cura educativa, quando sviluppano percorsi di medical humanities. Non basta andare in aula e passare un film o mostrare un’opera pittorica, per poter dire di aver introdotto le medical humanities in un percorso formativo di base o anche nella formazione permanente degli operatori sanitari: è necessario istituire un dispositivo nel quale i formandi possano fare “esperienza della loro esperienza”, uscendo da essa e al contempo riflettendo su di essa.
healthcare professionals' training; medical humanities; education; narratives
Settore M-PED/01 - Pedagogia Generale e Sociale
2014
Book Part (author)
File in questo prodotto:
File Dimensione Formato  
Capitolo ZANNINI in Narrazione e cura.pdf

accesso riservato

Descrizione: Titolo testo, indice e capitolo Zannini
Tipologia: Publisher's version/PDF
Dimensione 190.57 kB
Formato Adobe PDF
190.57 kB Adobe PDF   Visualizza/Apri   Richiedi una copia
Pubblicazioni consigliate

I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.

Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/2434/236923
Citazioni
  • ???jsp.display-item.citation.pmc??? ND
  • Scopus ND
  • ???jsp.display-item.citation.isi??? ND
social impact