Il contributo esplora alcuni aspetti del ruolo dell’interprete nel contesto delle attività economico-commerciali ed aziendali considerando da un lato gli sviluppi registrati negli ultimi due decenni nel campo degli interpreting studies e dall’altro l’avvento del concetto di mediazione linguistica, che in tali sviluppi trova almeno parzialmente il suo fondamento, essendo peraltro anche legittimato dall’affermazione di una concezione sempre più complessa della comunicazione interpersonale come attività socialmente situata e profondamente radicata nella dimensione psicologica, affettiva e culturale dell’individuo (cf. Watzlawick et al. 1971). Tradizionalmente la ricerca sull’interpretazione è stata fortemente condizionata dalla predominanza dell’interpretazione di conferenza, nel cui ambito la natura prevalentemente monologica degli eventi comunicativi indagati (“lectures”, cfr. Goffman 1981) ha determinato la selezione degli strumenti teorici da utilizzarsi nelle indagini, le quali si sono centrate soprattutto sull’analisi dei processi cognitivi (e neurologici) coinvolti e della qualità della resa. È stata l’ascesa della ricerca sull’interpretazione di comunità e sul dialogue interpreting in generale che ha restituito l’evento comunicativo mediato da interprete ad un contesto situazionale ed interpersonale complesso, mettendo in luce la sua rilevanza in termini sociolinguistici, discorsivi e culturali. In questo contesto, si è registrata la tendenza a porre forte enfasi sul ruolo di mediazione interculturale dell’interprete, sovente in un’ottica di political correctness, anche in considerazione della sempre crescente importanza che il public service interpreting ha assunto nella società contemporanea e dello status delle persone a cui viene reso questo tipo di servizio. Tuttavia, questo impegno interculturale e interpersonale che viene oggi sempre più strettamente associato al ruolo dell’interprete-mediatore si pone almeno parzialmente in contraddizione con uno dei capisaldi del codice deontologico dell’interprete, cioè la necessità di sua assoluta imparzialità, neutralità ed estraneità alle dinamiche relazionali proprie dei rapporti tra gli interlocutori coinvolti nello scambio comunicativo mediato. L’intervento discute queste problematiche in relazione al ruolo dell’interprete nell’ambiente aziendale e nelle trattative commerciali internazionali, un’area che peraltro ha ricevuto attenzione relativamente limitata nell’ambito degli studi sull’interpretazione dialogica. Verrà discussa in particolare la legittimità del ruolo dell’interprete come mediatore, considerando non solo lo statuto riservato a questa figura professionale nel mondo occidentale, ma allargando lo sguardo a culture altre.
Osservazioni sul profilo professionale del mediatore linguistico e dell'interprete in ambito sociale nella prospettiva deontologica / G.E. Garzone - In: La geografia della mediazione linguistico-culturale / [a cura di] D.R. Miller, A. Pano. - Bologna : d.u.press, 2009. - ISBN 978-88-95451-47-3. - pp. 125-151 (( convegno La geografia della mediazione linguistico-culturale tenutosi a Bologna nel 2008.
Osservazioni sul profilo professionale del mediatore linguistico e dell'interprete in ambito sociale nella prospettiva deontologica
G.E. GarzonePrimo
2009
Abstract
Il contributo esplora alcuni aspetti del ruolo dell’interprete nel contesto delle attività economico-commerciali ed aziendali considerando da un lato gli sviluppi registrati negli ultimi due decenni nel campo degli interpreting studies e dall’altro l’avvento del concetto di mediazione linguistica, che in tali sviluppi trova almeno parzialmente il suo fondamento, essendo peraltro anche legittimato dall’affermazione di una concezione sempre più complessa della comunicazione interpersonale come attività socialmente situata e profondamente radicata nella dimensione psicologica, affettiva e culturale dell’individuo (cf. Watzlawick et al. 1971). Tradizionalmente la ricerca sull’interpretazione è stata fortemente condizionata dalla predominanza dell’interpretazione di conferenza, nel cui ambito la natura prevalentemente monologica degli eventi comunicativi indagati (“lectures”, cfr. Goffman 1981) ha determinato la selezione degli strumenti teorici da utilizzarsi nelle indagini, le quali si sono centrate soprattutto sull’analisi dei processi cognitivi (e neurologici) coinvolti e della qualità della resa. È stata l’ascesa della ricerca sull’interpretazione di comunità e sul dialogue interpreting in generale che ha restituito l’evento comunicativo mediato da interprete ad un contesto situazionale ed interpersonale complesso, mettendo in luce la sua rilevanza in termini sociolinguistici, discorsivi e culturali. In questo contesto, si è registrata la tendenza a porre forte enfasi sul ruolo di mediazione interculturale dell’interprete, sovente in un’ottica di political correctness, anche in considerazione della sempre crescente importanza che il public service interpreting ha assunto nella società contemporanea e dello status delle persone a cui viene reso questo tipo di servizio. Tuttavia, questo impegno interculturale e interpersonale che viene oggi sempre più strettamente associato al ruolo dell’interprete-mediatore si pone almeno parzialmente in contraddizione con uno dei capisaldi del codice deontologico dell’interprete, cioè la necessità di sua assoluta imparzialità, neutralità ed estraneità alle dinamiche relazionali proprie dei rapporti tra gli interlocutori coinvolti nello scambio comunicativo mediato. L’intervento discute queste problematiche in relazione al ruolo dell’interprete nell’ambiente aziendale e nelle trattative commerciali internazionali, un’area che peraltro ha ricevuto attenzione relativamente limitata nell’ambito degli studi sull’interpretazione dialogica. Verrà discussa in particolare la legittimità del ruolo dell’interprete come mediatore, considerando non solo lo statuto riservato a questa figura professionale nel mondo occidentale, ma allargando lo sguardo a culture altre.File | Dimensione | Formato | |
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