La produzione mondiale di pesci, crostacei e molluschi si attesta, secondo i dati della FAO, intorno a 142,3 milioni di tonnellate nel 2008 (1). Di questi, circa il 63% (89,7 milioni t) deriva dalle attività di pesca, mentre il 37 % (52,5 milioni t) dalle attività di acquacoltura. Il consumo alimentare di organismi acquatici ha raggiunto nello stesso anno circa 115 milioni di tonnellate, rappresentando oltre il 16% dell’assunzione media annuale di proteine animali per circa 6,6 miliardi di persone. In Italia l’acquacoltura, con i suoi 800 impianti e circa 15.000 addetti, contribuisce a circa il 49% della produzione ittica nazionale con una quantità di 232.000 t di prodotto. Si allevano principalmente molluschi (116.000 t mitili e 42.000 t vongole), trote (41.000 t), branzini e orate (rispettivamente 9800 e 9600 t), anguille (1400 t), storioni (1350 t), carpe e altri ciprinidi (750 t) pesci gatto (550 t) e altre specie (sarago, tonno, cefalo, luccio, salmerino, 7000 t in totale) (2). Il tasso di autoapprovvigionamento del settore ittico è però tra i più bassi nel comparto delle produzioni animali, attestandosi intorno al 38% nel 2010 (3). Infatti, a fronte di una produzione ittica nazionale di 475.000 t, nel 2008 l’Italia ha importato 913.000 t di prodotti ittici freschi, congelati e variamente conservati, per un valore di oltre 3,5 miliardi di euro. L’acquacoltura, così come definita dalla FAO, è l’allevamento degli organismi acquatici, quali pesci, molluschi, crostacei e piante acquatiche, realizzato attraverso interventi nel processo produttivo e finalizzati ad incrementare la produzione. Le testimonianze che ci arrivano dall’antica Cina, dall’Egitto e dai Romani ci mostrano come l’origine dell’acquacoltura risalga circa al terzo millennio a.C. La prima specie ittica allevata è stata la carpa comune (Cyprinus carpio) in Cina, ed essa rappresenta ancora la specie più allevata al mondo. In Europa le prime esperienze di condizionamento e riproduzione del pesce, ed in particolare della trota fario (Salmo trutta), sono dovute alle indagini del monaco tedesco Stephen Ludvig Jacobi che, intorno al 1750, praticò la prima riproduzione artificiale. Da allora lo sviluppo delle tecniche di allevamento e di riproduzione ha subito una notevole accelerazione, coinvolgendo nell’ultimo secolo anche le specie ittiche marine, fino ai giorni nostri. Oggi le produzioni di salmonidi, carpe, orate, branzini, crostacei e molluschi nel mondo sono dovute in gran parte alle attività di acquacoltura. E’ piuttosto complesso classificare le articolate attività acquacolturali e le varie tipologie di allevamenti, in quanto esse dipendono da una lunga serie di fattori, primi fra tutti fattori idrografici e ambientali, e dalla biologia della specie acquatica che si vuole allevare. Si pensi solo alle differenze in termini di morfologia, fisiologia e adattamento tra le varie specie allevabili. Tipicamente gli allevamenti si suddividono in intensivi, semi-intensivi ed estensivi sulla base del grado di intervento umano nella gestione, che cresce progressivamente passando dagli allevamenti estensivi agli intensivi. Tale intervento umano è quantificabile sostanzialmente con l’apporto di alimento dall’esterno, con la rimozione dei cataboliti e con l’apporto di ossigeno all’acqua di allevamento.
Acquacoltura : evoluzione delle tecniche di allevamento e di alimentazione / V.M. Moretti. ((Intervento presentato al 5. convegno Forum internazionale di nutrizione pratica : NutriMI tenutosi a Rho nel 2011.
Acquacoltura : evoluzione delle tecniche di allevamento e di alimentazione
V.M. MorettiPrimo
2011
Abstract
La produzione mondiale di pesci, crostacei e molluschi si attesta, secondo i dati della FAO, intorno a 142,3 milioni di tonnellate nel 2008 (1). Di questi, circa il 63% (89,7 milioni t) deriva dalle attività di pesca, mentre il 37 % (52,5 milioni t) dalle attività di acquacoltura. Il consumo alimentare di organismi acquatici ha raggiunto nello stesso anno circa 115 milioni di tonnellate, rappresentando oltre il 16% dell’assunzione media annuale di proteine animali per circa 6,6 miliardi di persone. In Italia l’acquacoltura, con i suoi 800 impianti e circa 15.000 addetti, contribuisce a circa il 49% della produzione ittica nazionale con una quantità di 232.000 t di prodotto. Si allevano principalmente molluschi (116.000 t mitili e 42.000 t vongole), trote (41.000 t), branzini e orate (rispettivamente 9800 e 9600 t), anguille (1400 t), storioni (1350 t), carpe e altri ciprinidi (750 t) pesci gatto (550 t) e altre specie (sarago, tonno, cefalo, luccio, salmerino, 7000 t in totale) (2). Il tasso di autoapprovvigionamento del settore ittico è però tra i più bassi nel comparto delle produzioni animali, attestandosi intorno al 38% nel 2010 (3). Infatti, a fronte di una produzione ittica nazionale di 475.000 t, nel 2008 l’Italia ha importato 913.000 t di prodotti ittici freschi, congelati e variamente conservati, per un valore di oltre 3,5 miliardi di euro. L’acquacoltura, così come definita dalla FAO, è l’allevamento degli organismi acquatici, quali pesci, molluschi, crostacei e piante acquatiche, realizzato attraverso interventi nel processo produttivo e finalizzati ad incrementare la produzione. Le testimonianze che ci arrivano dall’antica Cina, dall’Egitto e dai Romani ci mostrano come l’origine dell’acquacoltura risalga circa al terzo millennio a.C. La prima specie ittica allevata è stata la carpa comune (Cyprinus carpio) in Cina, ed essa rappresenta ancora la specie più allevata al mondo. In Europa le prime esperienze di condizionamento e riproduzione del pesce, ed in particolare della trota fario (Salmo trutta), sono dovute alle indagini del monaco tedesco Stephen Ludvig Jacobi che, intorno al 1750, praticò la prima riproduzione artificiale. Da allora lo sviluppo delle tecniche di allevamento e di riproduzione ha subito una notevole accelerazione, coinvolgendo nell’ultimo secolo anche le specie ittiche marine, fino ai giorni nostri. Oggi le produzioni di salmonidi, carpe, orate, branzini, crostacei e molluschi nel mondo sono dovute in gran parte alle attività di acquacoltura. E’ piuttosto complesso classificare le articolate attività acquacolturali e le varie tipologie di allevamenti, in quanto esse dipendono da una lunga serie di fattori, primi fra tutti fattori idrografici e ambientali, e dalla biologia della specie acquatica che si vuole allevare. Si pensi solo alle differenze in termini di morfologia, fisiologia e adattamento tra le varie specie allevabili. Tipicamente gli allevamenti si suddividono in intensivi, semi-intensivi ed estensivi sulla base del grado di intervento umano nella gestione, che cresce progressivamente passando dagli allevamenti estensivi agli intensivi. Tale intervento umano è quantificabile sostanzialmente con l’apporto di alimento dall’esterno, con la rimozione dei cataboliti e con l’apporto di ossigeno all’acqua di allevamento.Pubblicazioni consigliate
I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.