L’avvento del ventunesimo secolo ha restituito ai prodotti artigianali il loro posto d’onore nella società post-industriale (Kroezen et al., 2021) nel cuore e nel palato dei consumatori. L’economia ‘hipster’ urbana, in particolare i settori del cibo e del bere, rappresentano l’epicentro di questo fenomeno (Ocejo, 2017). Chris Land (2018) definisce questo movimento come ‘neo-artigianale’, argomentando come la preservazione dell’immaginario tradizionale dell’artigianato si combini con una produzione innovativa e abile di prodotti di alta qualità. Basata su un corpus di 40 interviste semi-strutturate a micro-imprenditori neo-artigianali – proprietari di gourmet food trucks e bar e ristoranti - nella città di Milano, questa presentazione illustrerà la tesi per cui le industrie neo-artigianali si configurino come la manifestazione più pura di un regime estetico di consumo fondato sull’ideale dell’autenticità. Questo regime estetico di consumo è diventato paradigmatico del tardo capitalismo moderno nella sua configurazione postfordista (Amin, 1994) e, a livello concettuale e nella sua applicazione, deve sempre essere considerato nelle sue relazioni con specifici regimi di accumulazione di capitale e modi di regolazione (Aglietta, 1979), nel caso del postfordismo produzione flessibile (Harvey, 1989) e neoliberalismo (Harvey, 2007). Da questa premessa, la presentazione si concentrerà sui sottili processi di controllo dall’alto e pratiche di resistenza creativa dal basso che caratterizzano le aspirazioni quotidiane degli individui verso forme di consumo – e di vita – più autentiche nel tardo capitalismo moderno. In particolare, analizzerà il rapporto dialettico tra essi focalizzandosi su tre paradossi e contraddizioni intrinseche all’economia urbana hipster fondata sul paradigma dell’autenticità. Il primo di questi paradossi, focalizzato sulla dimensione di consumo, discute di come le grandi realtà industriali crescentemente tentino di attribuire ai propri prodotti tramite strategie di marketing un’aura ‘artificiale’ (cfr Benjamin, 1936) di autenticità e artigianalità tipica dei prodotti dell’economia neoartigianale, composta da piccole attività indipendenti. Sebbene queste ultime rappresentino un’alternativa più etica e spesso più attraente per gli individui, specialmente quelli appartenenti al ceto medio, il prodotto industriale dotato di un’aura artificiale rimane altamente più accessibile per larghe fasce della popolazione. La seconda contraddizione si concentra sulla dimensione produttiva e di intermediazione simbolica del lavoro neo-artigianale (Smith Maguire & Matthews, 2012). In essa, si analizzano le distinzioni operate dai lavoratori neo-artigianali, sopratutto nell’ambito dei food truck, rispetto a chi essi considerino colleghi legittimi e chi considerino più distanti dal proprio approccio, in termini culturali ed etici. La categoria ideal tipica identificata da essi come distante da sé è quella di coloro che impiegano la medesima estetica ma senza compiere i sacrifici associati alla dimensione etica dell’economia neo-artigianale, tipicamente coloro che vendono fritti di materie prime comprate surgelate presso la grande distribuzione. La frittura consente di vendere materie prime industriali e di qualità scadente agli stessi prezzi delle preparazioni ottenute tramite ingredienti di qualità e coltivati eticamente da produttori locali. Tuttavia, i cibi fritti rivestono grande importanza nella tradizione culinaria italiana precisamente per la loro capacità di rendere gustose e appetibili anche materie prime secondarie e di scarsa qualità, tipiche della cucina popolare. Il terzo paradosso si concentra sull’impatto dell’economia hipster sullo spazio urbano, analizzando come le attività commerciali neo-artigianali si configurino allo stesso tempo come un’opportunità unica per il rilancio del commercio di vicinato, storicamente stretto tra grande distribuzione e e-commerce, guidato dalla volontà di creare un tessuto sociale basato su una visione mitizzata delle relazioni sociali autentiche del passato, e una minaccia mortale per la diversità del tessuto commerciale urbano e per la sostenibilità abitativa nei quartieri in cui si diffonde. In conclusione, la presentazione si concentrerà su alcune future direttrici di sviluppo della Hipster economy.
L’economia dell’autenticità tra controllo capitalista e pratiche creative dal basso / A. Gerosa. ((Intervento presentato al 6. convegno Convegno Nazionale SISCC : Possiamo ancora capire la società. Comprensione, previsione, critica : 20-21 giugno tenutosi a Roma nel 2024.
L’economia dell’autenticità tra controllo capitalista e pratiche creative dal basso
A. Gerosa
2024
Abstract
L’avvento del ventunesimo secolo ha restituito ai prodotti artigianali il loro posto d’onore nella società post-industriale (Kroezen et al., 2021) nel cuore e nel palato dei consumatori. L’economia ‘hipster’ urbana, in particolare i settori del cibo e del bere, rappresentano l’epicentro di questo fenomeno (Ocejo, 2017). Chris Land (2018) definisce questo movimento come ‘neo-artigianale’, argomentando come la preservazione dell’immaginario tradizionale dell’artigianato si combini con una produzione innovativa e abile di prodotti di alta qualità. Basata su un corpus di 40 interviste semi-strutturate a micro-imprenditori neo-artigianali – proprietari di gourmet food trucks e bar e ristoranti - nella città di Milano, questa presentazione illustrerà la tesi per cui le industrie neo-artigianali si configurino come la manifestazione più pura di un regime estetico di consumo fondato sull’ideale dell’autenticità. Questo regime estetico di consumo è diventato paradigmatico del tardo capitalismo moderno nella sua configurazione postfordista (Amin, 1994) e, a livello concettuale e nella sua applicazione, deve sempre essere considerato nelle sue relazioni con specifici regimi di accumulazione di capitale e modi di regolazione (Aglietta, 1979), nel caso del postfordismo produzione flessibile (Harvey, 1989) e neoliberalismo (Harvey, 2007). Da questa premessa, la presentazione si concentrerà sui sottili processi di controllo dall’alto e pratiche di resistenza creativa dal basso che caratterizzano le aspirazioni quotidiane degli individui verso forme di consumo – e di vita – più autentiche nel tardo capitalismo moderno. In particolare, analizzerà il rapporto dialettico tra essi focalizzandosi su tre paradossi e contraddizioni intrinseche all’economia urbana hipster fondata sul paradigma dell’autenticità. Il primo di questi paradossi, focalizzato sulla dimensione di consumo, discute di come le grandi realtà industriali crescentemente tentino di attribuire ai propri prodotti tramite strategie di marketing un’aura ‘artificiale’ (cfr Benjamin, 1936) di autenticità e artigianalità tipica dei prodotti dell’economia neoartigianale, composta da piccole attività indipendenti. Sebbene queste ultime rappresentino un’alternativa più etica e spesso più attraente per gli individui, specialmente quelli appartenenti al ceto medio, il prodotto industriale dotato di un’aura artificiale rimane altamente più accessibile per larghe fasce della popolazione. La seconda contraddizione si concentra sulla dimensione produttiva e di intermediazione simbolica del lavoro neo-artigianale (Smith Maguire & Matthews, 2012). In essa, si analizzano le distinzioni operate dai lavoratori neo-artigianali, sopratutto nell’ambito dei food truck, rispetto a chi essi considerino colleghi legittimi e chi considerino più distanti dal proprio approccio, in termini culturali ed etici. La categoria ideal tipica identificata da essi come distante da sé è quella di coloro che impiegano la medesima estetica ma senza compiere i sacrifici associati alla dimensione etica dell’economia neo-artigianale, tipicamente coloro che vendono fritti di materie prime comprate surgelate presso la grande distribuzione. La frittura consente di vendere materie prime industriali e di qualità scadente agli stessi prezzi delle preparazioni ottenute tramite ingredienti di qualità e coltivati eticamente da produttori locali. Tuttavia, i cibi fritti rivestono grande importanza nella tradizione culinaria italiana precisamente per la loro capacità di rendere gustose e appetibili anche materie prime secondarie e di scarsa qualità, tipiche della cucina popolare. Il terzo paradosso si concentra sull’impatto dell’economia hipster sullo spazio urbano, analizzando come le attività commerciali neo-artigianali si configurino allo stesso tempo come un’opportunità unica per il rilancio del commercio di vicinato, storicamente stretto tra grande distribuzione e e-commerce, guidato dalla volontà di creare un tessuto sociale basato su una visione mitizzata delle relazioni sociali autentiche del passato, e una minaccia mortale per la diversità del tessuto commerciale urbano e per la sostenibilità abitativa nei quartieri in cui si diffonde. In conclusione, la presentazione si concentrerà su alcune future direttrici di sviluppo della Hipster economy.Pubblicazioni consigliate
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