Both Warburg and Schlosser took great interest in the thorny issue of “similarity” and “equivalence” between the image and its referent. By examining the cross-cultural practice of votive offering, the two scholars used Bildzauber (“sympathetic” or “image” magic) as a notion to account for pictures like hyperrealistic wax effigies that are meant not merely to represent their referents but to “extend” or even replace them. Although severe criticisms have been raised against the vagueness of the concept, it still proves useful to investigate the perceptual and psychological phenomenon by which we are prone to attribute a documentary, “evidentiary” value to extremely lifelike pictures due to the belief that such lifelikeness results from direct impression without further manipulation. The idea that a picture results from an automatic process of imprint-taking is enough to convince the viewer of its truthfulness and reliability, thus contributing to giving images an aura of authenticity and to creating the myth of pure objectivity. By virtue of the alleged mechanical adherence to the referent, a hyperrealistic picture of a human being is thought of as conserving the identity or – as Schlosser maintained – the Persönlichkeit of the individual portrayed. Yet what happens when the link between hyperrealism, mechanicalness, and truthfulness is disentangled? By focusing on the face as the part of the body that most reveals individual identity, I shall tackle the issue of how the paradigm of the imprint and its truth-value is more and more undermined by the use of recent image-making techniques such as the so-called Generative Adversarial Networks (GANs).

Warburg e Schlosser guardarono con interesse alla spinosa questione del rapporto tra la nozione di “somiglianza” e quella di “equivalenza” tra l’immagine e il suo referente. Prendendo in esame il fenomeno transculturale delle pratiche votive, entrambi gli studiosi si servirono del concetto di “magia iconica [Bildzauber]” per cercare di render conto di quelle immagini che, come le effigi iperrealistiche in cera, non valgono come semplici rappresentazioni del corpo, bensì come sue estensioni o addirittura sostituti. Questo riferimento alla sfera della magia è stato più volte (e con ottime ragioni) stigmatizzato dalla letteratura critica, ma esso conserva una sua validità qualora venga inteso come strumento euristico per indagare il fenomeno – percettivo prima ancora che psicologico – per cui tendiamo ad attribuire un valore documentario a immagini particolarmente “realistiche”, sulla base della convinzione che esse derivino da un contatto (diretto o mediato) col referente in carne e ossa. In virtù di tale aderenza meccanica all’originale, l’immagine di un essere umano sarebbe in grado di conservare niente meno che la Persönlichkeit dell’individuo ritratto. Ma che cosa accade quando il legame tra (iper)realismo, aderenza meccanica al referente e valore documentario dell’immagine viene meno? Il saggio esamina la questione in riferimento alla parte più essenziale ed espressiva del corpo, cioè al volto, mostrando come il paradigma dell’impronta e del suo valore veritativo sia messo sempre più in crisi dalle tecniche odierne di produzione e manipolazione dell’immagine, come ad esempio quella incentrata sull’uso dei cosiddetti Generative Adversarial Networks (GANs).

Bildzauber: il mito dell’impronta dai boti ai Generative Adversarial Networks / P.J.A. Conte (I QUADERNI DELLA COLOMBARIA). - In: Lessico Warburghiano : I prestiti delle scienze negli scritti d’arte di Aby Warburg / [a cura di] K. Mazzucco, B. Paolozzi Strozzi. - Firenze : Polistampa, 2023. - ISBN 9788859623199. - pp. 155-166

Bildzauber: il mito dell’impronta dai boti ai Generative Adversarial Networks

P.J.A. Conte
2023

Abstract

Both Warburg and Schlosser took great interest in the thorny issue of “similarity” and “equivalence” between the image and its referent. By examining the cross-cultural practice of votive offering, the two scholars used Bildzauber (“sympathetic” or “image” magic) as a notion to account for pictures like hyperrealistic wax effigies that are meant not merely to represent their referents but to “extend” or even replace them. Although severe criticisms have been raised against the vagueness of the concept, it still proves useful to investigate the perceptual and psychological phenomenon by which we are prone to attribute a documentary, “evidentiary” value to extremely lifelike pictures due to the belief that such lifelikeness results from direct impression without further manipulation. The idea that a picture results from an automatic process of imprint-taking is enough to convince the viewer of its truthfulness and reliability, thus contributing to giving images an aura of authenticity and to creating the myth of pure objectivity. By virtue of the alleged mechanical adherence to the referent, a hyperrealistic picture of a human being is thought of as conserving the identity or – as Schlosser maintained – the Persönlichkeit of the individual portrayed. Yet what happens when the link between hyperrealism, mechanicalness, and truthfulness is disentangled? By focusing on the face as the part of the body that most reveals individual identity, I shall tackle the issue of how the paradigm of the imprint and its truth-value is more and more undermined by the use of recent image-making techniques such as the so-called Generative Adversarial Networks (GANs).
Warburg e Schlosser guardarono con interesse alla spinosa questione del rapporto tra la nozione di “somiglianza” e quella di “equivalenza” tra l’immagine e il suo referente. Prendendo in esame il fenomeno transculturale delle pratiche votive, entrambi gli studiosi si servirono del concetto di “magia iconica [Bildzauber]” per cercare di render conto di quelle immagini che, come le effigi iperrealistiche in cera, non valgono come semplici rappresentazioni del corpo, bensì come sue estensioni o addirittura sostituti. Questo riferimento alla sfera della magia è stato più volte (e con ottime ragioni) stigmatizzato dalla letteratura critica, ma esso conserva una sua validità qualora venga inteso come strumento euristico per indagare il fenomeno – percettivo prima ancora che psicologico – per cui tendiamo ad attribuire un valore documentario a immagini particolarmente “realistiche”, sulla base della convinzione che esse derivino da un contatto (diretto o mediato) col referente in carne e ossa. In virtù di tale aderenza meccanica all’originale, l’immagine di un essere umano sarebbe in grado di conservare niente meno che la Persönlichkeit dell’individuo ritratto. Ma che cosa accade quando il legame tra (iper)realismo, aderenza meccanica al referente e valore documentario dell’immagine viene meno? Il saggio esamina la questione in riferimento alla parte più essenziale ed espressiva del corpo, cioè al volto, mostrando come il paradigma dell’impronta e del suo valore veritativo sia messo sempre più in crisi dalle tecniche odierne di produzione e manipolazione dell’immagine, come ad esempio quella incentrata sull’uso dei cosiddetti Generative Adversarial Networks (GANs).
face; aesthetics; visual culture; truthfulness; document
Settore M-FIL/04 - Estetica
2023
Book Part (author)
File in questo prodotto:
File Dimensione Formato  
Bildzauber.pdf

accesso riservato

Descrizione: Saggio
Tipologia: Publisher's version/PDF
Dimensione 169.16 kB
Formato Adobe PDF
169.16 kB Adobe PDF   Visualizza/Apri   Richiedi una copia
Pubblicazioni consigliate

I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.

Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/2434/971212
Citazioni
  • ???jsp.display-item.citation.pmc??? ND
  • Scopus ND
  • ???jsp.display-item.citation.isi??? ND
social impact