Since the 1990’s, undercover operations have become an essential investigative technique for combating serious crimes in Italy. However, this type of investigation carries the risk that government agents may induce their targets to commit a crime that they would not have committed otherwise. This article discusses the issue of criminal liability in entrapment cases, through an analysis of the case-law of the Italian and U.S. courts and the European Court of Human Rights (ECtHR). In particular, it analyzes the two fundamental aspects of this issue. First, it examines the position of the agent provocateur, which has been largely discussed by scholars and case-law in Italy. It then turns to the position of the entrapped accused, who has traditionally been considered guilty by the Italian case-law and legal scholarship. However, the ECtHR considers the conviction of an entrapped and provoked accused as a violation of the right to a fair trial (Article 6 ECHR). As such, a paradigm shift in the Italian case-law is required to take this principle into account.
A partire dagli anni Novanta, le operazioni sotto copertura si sono affermate in Italia come uno strumento cardine per la repressione di fenomeni criminali pervasivi e di difficile emersione. Il rischio insito in tali tecniche investigative, tuttavia, è che la legittima finalità di acquisizione probatoria sfoci in una vera e propria provocazione, idonea a persuadere a commettere un reato una persona che — senza l’intervento delle forze dell’ordine — si sarebbe astenuta dall’agire. L’articolo si propone di indagare i profili di responsabilità penale riguardanti la provocazione di polizia in Italia, dando rilievo, altresì, alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo e delle corti statunitensi. Saranno valorizzati, in particolare, i due aspetti complementari del fenomeno: da un lato, la posizione dell’agente provocatore, da sempre oggetto di attenzioni da parte di dottrina e giurisprudenza; dall’altro, la posizione — tradizionalmente rimasta in ombra — del soggetto provocato, la cui responsabilità penale è spesso stata data per scontata. A tal proposito, tuttavia, s’impone un cambio di paradigma: la giurisprudenza della Corte Edu ritiene infatti che violi il diritto ad un giusto processo (art. 6 Cedu) la condanna dell’imputato che non avrebbe commesso il reato in assenza di provocazione.
Provocazione di polizia e responsabilità penale / B. Fragasso. - In: RIVISTA ITALIANA DI DIRITTO E PROCEDURA PENALE. - ISSN 0557-1391. - 65:2(2022), pp. 707-757.
Provocazione di polizia e responsabilità penale
B. Fragasso
2022
Abstract
A partire dagli anni Novanta, le operazioni sotto copertura si sono affermate in Italia come uno strumento cardine per la repressione di fenomeni criminali pervasivi e di difficile emersione. Il rischio insito in tali tecniche investigative, tuttavia, è che la legittima finalità di acquisizione probatoria sfoci in una vera e propria provocazione, idonea a persuadere a commettere un reato una persona che — senza l’intervento delle forze dell’ordine — si sarebbe astenuta dall’agire. L’articolo si propone di indagare i profili di responsabilità penale riguardanti la provocazione di polizia in Italia, dando rilievo, altresì, alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo e delle corti statunitensi. Saranno valorizzati, in particolare, i due aspetti complementari del fenomeno: da un lato, la posizione dell’agente provocatore, da sempre oggetto di attenzioni da parte di dottrina e giurisprudenza; dall’altro, la posizione — tradizionalmente rimasta in ombra — del soggetto provocato, la cui responsabilità penale è spesso stata data per scontata. A tal proposito, tuttavia, s’impone un cambio di paradigma: la giurisprudenza della Corte Edu ritiene infatti che violi il diritto ad un giusto processo (art. 6 Cedu) la condanna dell’imputato che non avrebbe commesso il reato in assenza di provocazione.File | Dimensione | Formato | |
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