Nel contributo si è riscostruita la posizione che era stata assunta dai giudici della Corte di Giustizia in merito alla non configurabilità del controllo analogo, nel caso in cui soggetti privati (i.e.: operatori economici) avessero acquisito una partecipazione in una società in house. Si è poi evidenziato come una delle innovazioni più significative introdotta dalle direttive nn. 23, 24 e 25/2014/UE in tema di affidamenti in house, è rappresentata dal fatto che, pur confermandosi quale regola generale quella del divieto di partecipazione diretta dei privati, sono state ammesse forme di partecipazione di capitali privati nell’ente in house, ancorché in via di eccezione e nel rispetto di determinati presupposti. È stata poi affrontata la questione se, in base alla disciplina positiva, la partecipazione dei privati debba intendersi come “prescritta” o soltanto come “prevista” dalle normative nazionali. Al riguardo si è evidenziato come siano emerse tanto in dottrina quanto in giurisprudenza orientamenti discordanti. Si è tuttavia argomentato come risulti preferibile una ricostruzione interpretativa che non soltanto tenga conto della volontà del legislatore interno – che, con la previsione contenuta nell’art. 5, comma 1, lett. c) del Codice dei contratti, ha inteso dare specifica attuazione alle direttive europee, considerando in modo unitario gli affidamenti diretti a favore di tutti i tipi di enti in house e non soltanto degli enti societari (in house) –, ma che risulti anche compatibile col quadro costituzionale interno. In particolare, si sono evidenziate le ragioni che inducono a ritenere preferibile la soluzione interpretativa prospettata dal Consiglio di Stato in sede consultiva, ovvero quella secondo cui la discrasia tra quanto stabilisce l’art. 5, comma 1, lett. c) del Codice dei contratti e quanto previsto sia dall’art. 16, comma 1 TUSPP che dall’art. 5, comma 3 del Codice dei contratti, con riguardo alla partecipazione dei privati, risulta superabile nel caso in cui si ritenga che la locuzione «prescrive», contenuta all’art. 16, comma 1 TUSPP, nonché all’art. 5, comma 3 del Codice dei contratti, sia da interpretare nel senso che «la legge “prescrive” che possa consentirsi la presenza di privati». Altra questione esaminata è quella inerente alla possibilità o meno anche per amministrazioni aggiudicatrici non affidanti e controllanti di divenire socie di una società in house. Al riguardo si è posto in rilievo che, con riferimento ad una società in house, se occorre individuare quanto meno un’amministrazione aggiudicatrice esercente il controllo analogo, possono certamente esservi altre amministrazioni socie non controllanti e affidanti, sebbene la partecipazione di queste ultime al capitale sociale di società in house possa essere assunta solamente in presenza di un’autorizzazione legislativa. A detta questione risulta peraltro connessa quella riguardante le modalità di individuazione di dette amministrazioni socie non affidanti, atteso che i privati, di regola, dovrebbero essere selezionati in base ad una procedura di evidenza pubblica, a meno che non siano dalla legge direttamente obbligati ad acquisire una partecipazione societaria. Sotto altro profilo, sono state evidenziate altre discrasie sussistenti tra disposizioni del Codice dei contratti e disposizioni contenute nel TULPS in tema di affidamenti in house, rilevandosi, in particolare, come le stesse appaiano superabili in base ad una interpretazione euro-unitariamente orientata delle medesime. Infine, si è argomentato come le Regioni, in quanto titolari di una competenza legislativa residuale e primaria in materia di organizzazione – costituzionalmente riconosciuta – siano legittimate a disciplinare il ricorso ai moduli societari previsti dal codice civile, ex art. 4, comma 5 TUSPP.
La partecipazione detenuta in società in house da privati e da altri enti non affidanti e controllanti / A. Maltoni - In: Le società in house / [a cura di] M. Antonioli, A. Bellavista, M. Corradino, V. Donativi, F. Fracchia, S. Glinianski, A. Maltoni. - Napoli : Editoriale Scientifica, 2020. - ISBN 978-88-9391-803-9. - pp. 153-177
La partecipazione detenuta in società in house da privati e da altri enti non affidanti e controllanti
A. Maltoni
2020
Abstract
Nel contributo si è riscostruita la posizione che era stata assunta dai giudici della Corte di Giustizia in merito alla non configurabilità del controllo analogo, nel caso in cui soggetti privati (i.e.: operatori economici) avessero acquisito una partecipazione in una società in house. Si è poi evidenziato come una delle innovazioni più significative introdotta dalle direttive nn. 23, 24 e 25/2014/UE in tema di affidamenti in house, è rappresentata dal fatto che, pur confermandosi quale regola generale quella del divieto di partecipazione diretta dei privati, sono state ammesse forme di partecipazione di capitali privati nell’ente in house, ancorché in via di eccezione e nel rispetto di determinati presupposti. È stata poi affrontata la questione se, in base alla disciplina positiva, la partecipazione dei privati debba intendersi come “prescritta” o soltanto come “prevista” dalle normative nazionali. Al riguardo si è evidenziato come siano emerse tanto in dottrina quanto in giurisprudenza orientamenti discordanti. Si è tuttavia argomentato come risulti preferibile una ricostruzione interpretativa che non soltanto tenga conto della volontà del legislatore interno – che, con la previsione contenuta nell’art. 5, comma 1, lett. c) del Codice dei contratti, ha inteso dare specifica attuazione alle direttive europee, considerando in modo unitario gli affidamenti diretti a favore di tutti i tipi di enti in house e non soltanto degli enti societari (in house) –, ma che risulti anche compatibile col quadro costituzionale interno. In particolare, si sono evidenziate le ragioni che inducono a ritenere preferibile la soluzione interpretativa prospettata dal Consiglio di Stato in sede consultiva, ovvero quella secondo cui la discrasia tra quanto stabilisce l’art. 5, comma 1, lett. c) del Codice dei contratti e quanto previsto sia dall’art. 16, comma 1 TUSPP che dall’art. 5, comma 3 del Codice dei contratti, con riguardo alla partecipazione dei privati, risulta superabile nel caso in cui si ritenga che la locuzione «prescrive», contenuta all’art. 16, comma 1 TUSPP, nonché all’art. 5, comma 3 del Codice dei contratti, sia da interpretare nel senso che «la legge “prescrive” che possa consentirsi la presenza di privati». Altra questione esaminata è quella inerente alla possibilità o meno anche per amministrazioni aggiudicatrici non affidanti e controllanti di divenire socie di una società in house. Al riguardo si è posto in rilievo che, con riferimento ad una società in house, se occorre individuare quanto meno un’amministrazione aggiudicatrice esercente il controllo analogo, possono certamente esservi altre amministrazioni socie non controllanti e affidanti, sebbene la partecipazione di queste ultime al capitale sociale di società in house possa essere assunta solamente in presenza di un’autorizzazione legislativa. A detta questione risulta peraltro connessa quella riguardante le modalità di individuazione di dette amministrazioni socie non affidanti, atteso che i privati, di regola, dovrebbero essere selezionati in base ad una procedura di evidenza pubblica, a meno che non siano dalla legge direttamente obbligati ad acquisire una partecipazione societaria. Sotto altro profilo, sono state evidenziate altre discrasie sussistenti tra disposizioni del Codice dei contratti e disposizioni contenute nel TULPS in tema di affidamenti in house, rilevandosi, in particolare, come le stesse appaiano superabili in base ad una interpretazione euro-unitariamente orientata delle medesime. Infine, si è argomentato come le Regioni, in quanto titolari di una competenza legislativa residuale e primaria in materia di organizzazione – costituzionalmente riconosciuta – siano legittimate a disciplinare il ricorso ai moduli societari previsti dal codice civile, ex art. 4, comma 5 TUSPP.File | Dimensione | Formato | |
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