È assai noto come l’introduzione dell’istituto della mediazione abbia rappresentato – almeno per ciò che concerne l’ordinamento italiano – una vera e propria inversione di tendenza rispetto ad una visione “processo-centrica” della risoluzione delle controversie. Con essa, infatti – almeno negli intenti – si è cercato di mettere da parte quello che molti definivano un vero e proprio “culto del processo”. Un culto che, tuttavia, è stata messo profondamente in crisi da una crescente incapacità da parte dell’Autorità giurisdizionale di fornire una risposta adeguata e in tempi ragionevoli all’aumentata domanda di tutela proveniente dalla società civile che ha portato il legislatore ad approntare delle riforme volte all’“accelerazione” della risoluzione delle controversie, i cui sforzi maggiori si sono profusi proprio nella mediazione. Tuttavia, la scelta (e l’utilizzo) del termine “mediazione” per connotare tanto la disciplina contenuta nell’art. 17-bis del d.lgs. n. 546/1992, quanto quella disciplinata dal d.lgs. n. 28/2010 e s.m.i., è stata, sotto certi aspetti, infelice. Infatti, se da un lato questa mette in evidenza il loro carattere funzionale – concernente, per l’appunto l’intento deflattivo dei giudizi – dall’altro lato sottende delle differenze strutturali che difficilmente possono essere in qualche modo ricondotte ad unitatem e che possono creare più di un fraintendimento. Al di là del generale intento deflazionistico cui il legislatore ha esplicitamente inteso riferirsi con i procedimenti di mediazione in discorso, i marcatori differenziali tra mediazione civilistica e mediazione tributaria sono molteplici e, attraverso questo mio intervento cercherò di mettere in evidenza i più significativi.
Mediazione civile e mediazione tributaria: un accostamento nominalmente ingannevole / D. Corraro. ((Intervento presentato al convegno Mediazione, conciliazione e processo tributario tenutosi a Online : 17 marzo nel 2022.
Mediazione civile e mediazione tributaria: un accostamento nominalmente ingannevole.
D. Corraro
2022
Abstract
È assai noto come l’introduzione dell’istituto della mediazione abbia rappresentato – almeno per ciò che concerne l’ordinamento italiano – una vera e propria inversione di tendenza rispetto ad una visione “processo-centrica” della risoluzione delle controversie. Con essa, infatti – almeno negli intenti – si è cercato di mettere da parte quello che molti definivano un vero e proprio “culto del processo”. Un culto che, tuttavia, è stata messo profondamente in crisi da una crescente incapacità da parte dell’Autorità giurisdizionale di fornire una risposta adeguata e in tempi ragionevoli all’aumentata domanda di tutela proveniente dalla società civile che ha portato il legislatore ad approntare delle riforme volte all’“accelerazione” della risoluzione delle controversie, i cui sforzi maggiori si sono profusi proprio nella mediazione. Tuttavia, la scelta (e l’utilizzo) del termine “mediazione” per connotare tanto la disciplina contenuta nell’art. 17-bis del d.lgs. n. 546/1992, quanto quella disciplinata dal d.lgs. n. 28/2010 e s.m.i., è stata, sotto certi aspetti, infelice. Infatti, se da un lato questa mette in evidenza il loro carattere funzionale – concernente, per l’appunto l’intento deflattivo dei giudizi – dall’altro lato sottende delle differenze strutturali che difficilmente possono essere in qualche modo ricondotte ad unitatem e che possono creare più di un fraintendimento. Al di là del generale intento deflazionistico cui il legislatore ha esplicitamente inteso riferirsi con i procedimenti di mediazione in discorso, i marcatori differenziali tra mediazione civilistica e mediazione tributaria sono molteplici e, attraverso questo mio intervento cercherò di mettere in evidenza i più significativi.File | Dimensione | Formato | |
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