La riflessione sulla dicibilità del trauma e dell’orrore è uno degli snodi problematici che da sempre anima tanto i dibattiti teorici quanto la pratica letteraria della testimonianza. Nel doloroso esercizio del ricordo il testimone non solo deve affrontare il ripresentarsi della sofferenza, ma si scontra continuamente con i limiti della parola, la complessità del nominare l’innominabile (Reati 1992). Nel contesto della letteratura di testimonianza relativa alla dittatura militare uruguaiana (1973-1985), Oblivion (2007) – Premio Casas de Las Americas 2008 – nel raccontare i quattordici anni di detenzione dell’autrice-testimone Edda Fabbri, mette in scena lo scontro con i limiti del linguaggio e la complessità del fare memoria. La struttura narrativa diviene quindi uno spazio di conflittualità e tensione: tra parola e silenzio, tra dovere del ricordo e necessità dell’oblio. Tra le strategie di superamento dell’indicibilità, Edda Fabbri propone un percorso frammentario che si trattiene a più riprese su immagini di resilienza collettiva: attività creative, gesti affettivi e solidali; un insieme di pratiche che hanno consentito di far fronte all’esperienza traumatica ricreando quelle condizioni che rendono nuovamente possibile la struttura del soggetto (Canevaro 2001). In tale dinamica, l’atto resiliente viene trasfigurato dalla parola letteraria che converte la materialità degli oggetti e le pratiche in ‘voci’ alternative della testimonianza. L’immaginazione letteraria da un lato configura dispositivi di significato capaci di inscenare un controcanto potente e vitale, che si contrappone alle logiche di alienazione imposte dal regime detentivo; dall’altro lato, utilizza gli stessi elementi come mezzo di riflessione meta-testimoniale, che figurano e interrogano l’atto stesso della scrittura. L’obiettivo dell’intervento è quindi quello di illuminare le modalità attraverso cui le figurazioni di questi gesti di resilienza permettono di riflettere sulle soglie di indicibilità e tentarne un superamento. In particolare, si farà riferimento all’attività della tessitura e alla proiezione di immagini.
“Las cosas que no dijimos en palabras” : un’estetica della resilienza in Oblivion di Edda Fabbri / A. Nagini. ((Intervento presentato al convegno Vulnerabilità e resilienza : Voci e pratiche dai margini tenutosi a online nel 2021.
“Las cosas que no dijimos en palabras” : un’estetica della resilienza in Oblivion di Edda Fabbri
A. Nagini
2021
Abstract
La riflessione sulla dicibilità del trauma e dell’orrore è uno degli snodi problematici che da sempre anima tanto i dibattiti teorici quanto la pratica letteraria della testimonianza. Nel doloroso esercizio del ricordo il testimone non solo deve affrontare il ripresentarsi della sofferenza, ma si scontra continuamente con i limiti della parola, la complessità del nominare l’innominabile (Reati 1992). Nel contesto della letteratura di testimonianza relativa alla dittatura militare uruguaiana (1973-1985), Oblivion (2007) – Premio Casas de Las Americas 2008 – nel raccontare i quattordici anni di detenzione dell’autrice-testimone Edda Fabbri, mette in scena lo scontro con i limiti del linguaggio e la complessità del fare memoria. La struttura narrativa diviene quindi uno spazio di conflittualità e tensione: tra parola e silenzio, tra dovere del ricordo e necessità dell’oblio. Tra le strategie di superamento dell’indicibilità, Edda Fabbri propone un percorso frammentario che si trattiene a più riprese su immagini di resilienza collettiva: attività creative, gesti affettivi e solidali; un insieme di pratiche che hanno consentito di far fronte all’esperienza traumatica ricreando quelle condizioni che rendono nuovamente possibile la struttura del soggetto (Canevaro 2001). In tale dinamica, l’atto resiliente viene trasfigurato dalla parola letteraria che converte la materialità degli oggetti e le pratiche in ‘voci’ alternative della testimonianza. L’immaginazione letteraria da un lato configura dispositivi di significato capaci di inscenare un controcanto potente e vitale, che si contrappone alle logiche di alienazione imposte dal regime detentivo; dall’altro lato, utilizza gli stessi elementi come mezzo di riflessione meta-testimoniale, che figurano e interrogano l’atto stesso della scrittura. L’obiettivo dell’intervento è quindi quello di illuminare le modalità attraverso cui le figurazioni di questi gesti di resilienza permettono di riflettere sulle soglie di indicibilità e tentarne un superamento. In particolare, si farà riferimento all’attività della tessitura e alla proiezione di immagini.Pubblicazioni consigliate
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