La figura di Zannoni è paradigmatica degli elementi che contraddistinguono la scultura italiana nei decenni finali dell’Ottocento e perdurano in alcuni casi estremi sino al primo Novecento. La formazione condotta fra studi privati e sale delle Accademie consentì al giovane scultore di acquisire una mirabile padronanza nella lavorazione del marmo, che accomuna Zannoni a molti altri suoi colleghi della Scuola di Milano, cui in effetti può essere associato anche questo artista veronese, sia per l’effettiva permanenza nel capoluogo lombardo, sia per aver egli partecipato alle principali Esposizioni internazionali nel settore riservato alla scuola lombarda. La scultura di genere, con fortunate e replicate figure femminili o infantili, pare però essere stata coltivata dall’artista solo nei primi decenni di attività. Una seconda e più corposa fase della sua carriera è infatti riconoscibile nella vasta produzione funeraria. In questo specifico ambito la critica ha evidenziato che «l’opera di Zannoni era quello stile che i suoi ammiratori definivano “bizantino”, ovvero eclettico, polimaterico e ricco di cromatismi, con i marmi di varia natura e le dorature – in gran parte perse, ma visibili nelle bellissime foto di Lotze – che impreziosiscono le inquadrature architettoniche» (C. Bertoni, in Ugo Zannoni 2014, s.n.p.). Palcoscenico privilegiato per l’arte di Zannoni fu la sua città, Verona (dove ancora oggi si conservano la quasi totalità delle sue opere), che lo conobbe e apprezzò fin dal clamoroso successo del Monumento a Dante del 1864 – dove peraltro la fama dell’opera si sovrappose al valore politico e ideologico della celebrazione di un grande italiano in una città ancora sotto il dominio austriaco. La fase finale della produzione dello scultore, segnatamente a partire dal rientro in città attorno al 1889 e sino alla morte trent’anni dopo, fu segnata da numerosissimi interventi di carattere sacro per edifici religiosi spesso di nuova costruzione o in fase di rinnovamento (i santuari della Madonna di Lourdes e della Madonna della Corona sono i casi più eclatanti). In tale tipo di attività, inevitabilmente, Zannoni pare adeguarsi alla ripetizione di stilemi consolidati, con esiti che, in linea generale, non riescono a eguagliare quanto realizzato nei due decenni migliori a partire dalla metà degli anni Settanta.

Zannoni, Ugo / M. Cavenago - In: Dizionario biografico degli italiani. 100: Vittorio Emanuele 1.-Zurlo[s.l] : Istituto della Enciclopedia Italiana, 2020. - ISBN 9788812000326. - pp. 543-546

Zannoni, Ugo

M. Cavenago
2020

Abstract

La figura di Zannoni è paradigmatica degli elementi che contraddistinguono la scultura italiana nei decenni finali dell’Ottocento e perdurano in alcuni casi estremi sino al primo Novecento. La formazione condotta fra studi privati e sale delle Accademie consentì al giovane scultore di acquisire una mirabile padronanza nella lavorazione del marmo, che accomuna Zannoni a molti altri suoi colleghi della Scuola di Milano, cui in effetti può essere associato anche questo artista veronese, sia per l’effettiva permanenza nel capoluogo lombardo, sia per aver egli partecipato alle principali Esposizioni internazionali nel settore riservato alla scuola lombarda. La scultura di genere, con fortunate e replicate figure femminili o infantili, pare però essere stata coltivata dall’artista solo nei primi decenni di attività. Una seconda e più corposa fase della sua carriera è infatti riconoscibile nella vasta produzione funeraria. In questo specifico ambito la critica ha evidenziato che «l’opera di Zannoni era quello stile che i suoi ammiratori definivano “bizantino”, ovvero eclettico, polimaterico e ricco di cromatismi, con i marmi di varia natura e le dorature – in gran parte perse, ma visibili nelle bellissime foto di Lotze – che impreziosiscono le inquadrature architettoniche» (C. Bertoni, in Ugo Zannoni 2014, s.n.p.). Palcoscenico privilegiato per l’arte di Zannoni fu la sua città, Verona (dove ancora oggi si conservano la quasi totalità delle sue opere), che lo conobbe e apprezzò fin dal clamoroso successo del Monumento a Dante del 1864 – dove peraltro la fama dell’opera si sovrappose al valore politico e ideologico della celebrazione di un grande italiano in una città ancora sotto il dominio austriaco. La fase finale della produzione dello scultore, segnatamente a partire dal rientro in città attorno al 1889 e sino alla morte trent’anni dopo, fu segnata da numerosissimi interventi di carattere sacro per edifici religiosi spesso di nuova costruzione o in fase di rinnovamento (i santuari della Madonna di Lourdes e della Madonna della Corona sono i casi più eclatanti). In tale tipo di attività, inevitabilmente, Zannoni pare adeguarsi alla ripetizione di stilemi consolidati, con esiti che, in linea generale, non riescono a eguagliare quanto realizzato nei due decenni migliori a partire dalla metà degli anni Settanta.
Verona; scultura; monumenti pubblici
Settore L-ART/03 - Storia dell'Arte Contemporanea
2020
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