Con una decisione assunta all’esito della camera di consiglio del 9 giugno 2020, la Corte costituzionale ha affrontato la questione della legittimità costituzionale, in rapporto agli artt. 21, 117, co. 1 e 10 Cedu, della comminatoria della pena detentiva per il delitto di diffamazione a mezzo stampa. La questione è stata sollevata con due diverse ordinanze, che qui possono leggersi in allegato, da parte del Tribunale di Salerno e del Tribunale di Bari. Essa riguarda, in particolare, gli artt. 595, co. 3 c.p. e 13 l. 8 febbraio 1948, n. 47, che puniscono la diffamazione a mezzo stampa, consistente nell’attribuzione di un fatto determinato, con le pene congiunte della reclusione da uno a sei anni e della multa non inferiore a euro 250 (se difetta l’attribuzione di un fatto determinato, l’art. 595, co. 3 c.p. commina la pena, in questo caso alternativa, della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a 516 euro). Le questioni portate all’attenzione della Corte costituzionale pongono il problema della compatibilità con il principio della libertà di espressione di una normativa che minacci il carcere per i giornalisti, in ipotesi di offesa alla reputazione altrui ritenuta non giustificata dal diritto di cronaca/critica. E’ un problema ormai annoso, che come è noto ha le sue premesse nella giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Dal 2004 (Grande Camera, Cumpana e Mazare c. Romania), si è infatti consolidato nella giurisprudenza della Corte di Strasburgo il principio secondo cui, al di fuori di casi eccezionali, rappresentati dai discorsi d’odio e dall’incitazione alla violenza, l'applicazione di una pena detentiva rappresenta un’ingerenza sproporzionata e non necessaria nella libertà di espressione tutelata dall’art. 10 Cedu, che attraverso un chilling effect inibisce l’esercizio della libertà di stampa e limita l’essenziale funzione svolta dai giornalisti quali cani da guardia (watchdogs) della democrazia. Il principio è stato affermato, tra l’altro, in tre fondamentali sentenze relative all’Italia: Belpietro c. Italia (2013), Ricci c. Italia (2013), Sallusti c. Italia (2019).

Carcere per i giornalisti: la Corte costituzionale adotta lo 'schema-Cappato' e passa la palla al Parlamento, rinviando l'udienza di un anno / G.L. Gatta. - In: SISTEMA PENALE. - ISSN 2704-8098. - 2020:(2020 Jun 10).

Carcere per i giornalisti: la Corte costituzionale adotta lo 'schema-Cappato' e passa la palla al Parlamento, rinviando l'udienza di un anno

G.L. Gatta
2020

Abstract

Con una decisione assunta all’esito della camera di consiglio del 9 giugno 2020, la Corte costituzionale ha affrontato la questione della legittimità costituzionale, in rapporto agli artt. 21, 117, co. 1 e 10 Cedu, della comminatoria della pena detentiva per il delitto di diffamazione a mezzo stampa. La questione è stata sollevata con due diverse ordinanze, che qui possono leggersi in allegato, da parte del Tribunale di Salerno e del Tribunale di Bari. Essa riguarda, in particolare, gli artt. 595, co. 3 c.p. e 13 l. 8 febbraio 1948, n. 47, che puniscono la diffamazione a mezzo stampa, consistente nell’attribuzione di un fatto determinato, con le pene congiunte della reclusione da uno a sei anni e della multa non inferiore a euro 250 (se difetta l’attribuzione di un fatto determinato, l’art. 595, co. 3 c.p. commina la pena, in questo caso alternativa, della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a 516 euro). Le questioni portate all’attenzione della Corte costituzionale pongono il problema della compatibilità con il principio della libertà di espressione di una normativa che minacci il carcere per i giornalisti, in ipotesi di offesa alla reputazione altrui ritenuta non giustificata dal diritto di cronaca/critica. E’ un problema ormai annoso, che come è noto ha le sue premesse nella giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Dal 2004 (Grande Camera, Cumpana e Mazare c. Romania), si è infatti consolidato nella giurisprudenza della Corte di Strasburgo il principio secondo cui, al di fuori di casi eccezionali, rappresentati dai discorsi d’odio e dall’incitazione alla violenza, l'applicazione di una pena detentiva rappresenta un’ingerenza sproporzionata e non necessaria nella libertà di espressione tutelata dall’art. 10 Cedu, che attraverso un chilling effect inibisce l’esercizio della libertà di stampa e limita l’essenziale funzione svolta dai giornalisti quali cani da guardia (watchdogs) della democrazia. Il principio è stato affermato, tra l’altro, in tre fondamentali sentenze relative all’Italia: Belpietro c. Italia (2013), Ricci c. Italia (2013), Sallusti c. Italia (2019).
diffamazione, carcere per i giornalisti, diritti umani, corte costituzionale
Settore IUS/17 - Diritto Penale
10-giu-2020
https://sistemapenale.it/it/notizie/corte-costituzionale-carcere-per-i-giornalisti-rinvio-udienza-22-giugno-2021-in-attesa-del-parlamento
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