Nulla si sa sulla famiglia d’origine, se non che Segarelli nacque nel contado di Parma, forse a Ozzano Taro. Nel 1260, nell’anno della grande devozione dei flagellanti e dell’inizio dell’età dello Spirito Santo per Gioacchino da Fiore, cercò di entrare nel convento dei frati minori di Parma, ma non venne accolto per le sue origini modeste a quanto scrive il frate minore Salimbene de Adam. Non è possibile confermare se ciò corrisponda ad un fatto reale dal momento che, oltre a questa fonte, non ne sono sopravvissute altre sui venticinque anni successivi e, soprattutto, nessuna testimonianza diretta di Gherardo Segarelli. Protrattasi per quarant’anni, la sua avventura religiosa si colloca nell’ambito del grande tema della predicazione itinerante di laici – uomini e donne – attratti dalla forza del messaggio di Cristo e dal fascino della mendicanza evangelica: un’esperienza religiosa che attraversa l’intera storia del cristianesimo medievale. Da ciò l’autodefinizione «Apostoli» o «Apostoli di Cristo» o «Poveri di Cristo», ma anche «minimi [di Cristo]». Risulta pertanto errato il termine Apostolici utilizzato in modo pressoché esclusivo dalla storiografia (e addirittura nelle voci enciclopediche). È importante ricordare che il termine Apostoli, o «fratres Apostoli» (Acta, 1982, p. 114), indicando un’esperienza itinerante di adesione piena al messaggio di Gesù, non autorizza a concepire una – inesistente – forma di religiosità istituzionalizzata. Le espressioni «religio Apostolorum» o «Ordo Apostolorum» (Practica inquisitionis, 1886, pp. 327, 329) indicano un gruppo religioso: non un Ordine istituzionalizzato. Lo stesso vale per «frater Girardus»: i termini frater e soror sono da intendersi nel senso di fratello (di cui ‘frate’ è un diminutivo) e sorella, non certo di frate e suora appartenenti ad un Ordine istituzionalizzato (Benedetti, 2009, p. 126). Altrettanto forzato risulta vedere in Gherardo il fondatore di una forma di vita religiosa di cui, peraltro, non volle mai assumere la guida. Negli Statuti cittadini di Parma del 1250 si trova un riferimento ad una «casa del gruppo degli Apostoli» («domus religionis Apostolorum») e nel 1264 si decreta che ai «fratelli chiamati Apostoli» («fratres qui dicuntur Apostoli») debba essere accordata la stessa elemosina convenuta per gli altri Ordini Mendicanti (Statuta Communis Parmae 1856, pp. 116, 435). Nel 1269 il vescovo Obizzo Sanvitali, nipote di Innocenzo IV, concesse un’indulgenza di quaranta giorni a chi offriva elemosine alle «sorelle degli Apostoli» («sorores dicte apostolorum», Orioli, 1988, p. 65). Plausibilmente collegate a Gherardo, o ad una religiosità di cui si farà portavoce, queste disposizioni mostrano l’iniziale favore dell’autorità civile e vescovile. Indiscutibile è la volontà di sottomissione alla Chiesa se, incerti sulla fisionomia organizzativa da assumere circa un «capo» («rector»), si rivolsero a Alberto da Parma, uno dei sette notai della curia romana, che li indirizzò all’abate cisterciense di Fontevivo, il quale suggerì di non mutare la loro modalità di vita (Chronica, 1962, p. 377).
SEGARELLI, Gherardo (Gerardus Segarelli, Gerardinus o Ghirardinus Segalellus) / M. Benedetti - In: Dizionario biografico degli italiani. 91: Savoia-SemeriaPrima edizione. - [s.l] : Enciclopedia Treccani, 2018. - ISBN 978-88-12-00032-6.
SEGARELLI, Gherardo (Gerardus Segarelli, Gerardinus o Ghirardinus Segalellus)
M. Benedetti
2018
Abstract
Nulla si sa sulla famiglia d’origine, se non che Segarelli nacque nel contado di Parma, forse a Ozzano Taro. Nel 1260, nell’anno della grande devozione dei flagellanti e dell’inizio dell’età dello Spirito Santo per Gioacchino da Fiore, cercò di entrare nel convento dei frati minori di Parma, ma non venne accolto per le sue origini modeste a quanto scrive il frate minore Salimbene de Adam. Non è possibile confermare se ciò corrisponda ad un fatto reale dal momento che, oltre a questa fonte, non ne sono sopravvissute altre sui venticinque anni successivi e, soprattutto, nessuna testimonianza diretta di Gherardo Segarelli. Protrattasi per quarant’anni, la sua avventura religiosa si colloca nell’ambito del grande tema della predicazione itinerante di laici – uomini e donne – attratti dalla forza del messaggio di Cristo e dal fascino della mendicanza evangelica: un’esperienza religiosa che attraversa l’intera storia del cristianesimo medievale. Da ciò l’autodefinizione «Apostoli» o «Apostoli di Cristo» o «Poveri di Cristo», ma anche «minimi [di Cristo]». Risulta pertanto errato il termine Apostolici utilizzato in modo pressoché esclusivo dalla storiografia (e addirittura nelle voci enciclopediche). È importante ricordare che il termine Apostoli, o «fratres Apostoli» (Acta, 1982, p. 114), indicando un’esperienza itinerante di adesione piena al messaggio di Gesù, non autorizza a concepire una – inesistente – forma di religiosità istituzionalizzata. Le espressioni «religio Apostolorum» o «Ordo Apostolorum» (Practica inquisitionis, 1886, pp. 327, 329) indicano un gruppo religioso: non un Ordine istituzionalizzato. Lo stesso vale per «frater Girardus»: i termini frater e soror sono da intendersi nel senso di fratello (di cui ‘frate’ è un diminutivo) e sorella, non certo di frate e suora appartenenti ad un Ordine istituzionalizzato (Benedetti, 2009, p. 126). Altrettanto forzato risulta vedere in Gherardo il fondatore di una forma di vita religiosa di cui, peraltro, non volle mai assumere la guida. Negli Statuti cittadini di Parma del 1250 si trova un riferimento ad una «casa del gruppo degli Apostoli» («domus religionis Apostolorum») e nel 1264 si decreta che ai «fratelli chiamati Apostoli» («fratres qui dicuntur Apostoli») debba essere accordata la stessa elemosina convenuta per gli altri Ordini Mendicanti (Statuta Communis Parmae 1856, pp. 116, 435). Nel 1269 il vescovo Obizzo Sanvitali, nipote di Innocenzo IV, concesse un’indulgenza di quaranta giorni a chi offriva elemosine alle «sorelle degli Apostoli» («sorores dicte apostolorum», Orioli, 1988, p. 65). Plausibilmente collegate a Gherardo, o ad una religiosità di cui si farà portavoce, queste disposizioni mostrano l’iniziale favore dell’autorità civile e vescovile. Indiscutibile è la volontà di sottomissione alla Chiesa se, incerti sulla fisionomia organizzativa da assumere circa un «capo» («rector»), si rivolsero a Alberto da Parma, uno dei sette notai della curia romana, che li indirizzò all’abate cisterciense di Fontevivo, il quale suggerì di non mutare la loro modalità di vita (Chronica, 1962, p. 377).File | Dimensione | Formato | |
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