Quando la nebbia ottunde i cervelli, quale comunicazione può residuare? Fu questo il concetto che informò per secoli le possibilità di comunicazione con le persone che vivevano la condizione della demenza. Cercare di far dissolvere quella nebbia, in una condizione di ripristino, protesica, rappresentava un obiettivo di variabile realizzabilità (1). Non ci sorprende il fatto che gli sforzi fossero concentrati sulle classi di età più giovani, né che si potessero riscontrare sovrapposizioni concettuali ed operative con altre condizioni di disabilità (si pensi, per esempio, al sordomutismo) (2). Per gli anziani al più potevano essere promosse la mera istituzionalizzazione, affiancata o meno da pratiche di maternage. Solo a partire dal secondo dopoguerra (3) si è iniziato un percorso, non ancora concluso, che cerca di riconoscere universalmente la popolazione anziana quale portatrice di valori, diritti, ruoli sociali attivi. Anche in questo contesto uno dei punti maggiormente problematici rimane quello della condizione che noi definiamo con il termine di demenza. Solo negli ultimi decenni l’attenzione si è rivolta alla realtà ed alla possibilità di mantenere la qualità della comunicazione (4). (1) Porro A., Franchini A. F., Bock G., Disabilità e storia della medicina, Rudiano, GAM editrice, 2004. (2) La sordo-mudez, Actas Ciba, 1948, (5), pp. 126-163. (3) Porro A. 1850-1950: un secolo di vecchi, In: L’anziano e la sua cultura. Aspetti biologici, psicologici e relazionali. A cura di Carlo Cristini, Torre Boldone, Grafital, 2007, pp. 16-18. (4) Porro A., Cristini C., Histoire des évolutions démentielles, In: Arfeux-Vaucher G., Ploton L. (Eds.), Les démences au croisement des non-savoirs. Chemins de la complexité, Rennes, Presses de l’EHESP, 2012, pp. 197-208.
Per una storia della comunicazione con il malato di demenza / A. Porro, G. Cesa-Bianchi. ((Intervento presentato al 13. convegno Convegno Nazionale di Psicologia dell'Invecchiamento tenutosi a Padova nel 2020.
Per una storia della comunicazione con il malato di demenza
A. Porro;G. Cesa-Bianchi
2020
Abstract
Quando la nebbia ottunde i cervelli, quale comunicazione può residuare? Fu questo il concetto che informò per secoli le possibilità di comunicazione con le persone che vivevano la condizione della demenza. Cercare di far dissolvere quella nebbia, in una condizione di ripristino, protesica, rappresentava un obiettivo di variabile realizzabilità (1). Non ci sorprende il fatto che gli sforzi fossero concentrati sulle classi di età più giovani, né che si potessero riscontrare sovrapposizioni concettuali ed operative con altre condizioni di disabilità (si pensi, per esempio, al sordomutismo) (2). Per gli anziani al più potevano essere promosse la mera istituzionalizzazione, affiancata o meno da pratiche di maternage. Solo a partire dal secondo dopoguerra (3) si è iniziato un percorso, non ancora concluso, che cerca di riconoscere universalmente la popolazione anziana quale portatrice di valori, diritti, ruoli sociali attivi. Anche in questo contesto uno dei punti maggiormente problematici rimane quello della condizione che noi definiamo con il termine di demenza. Solo negli ultimi decenni l’attenzione si è rivolta alla realtà ed alla possibilità di mantenere la qualità della comunicazione (4). (1) Porro A., Franchini A. F., Bock G., Disabilità e storia della medicina, Rudiano, GAM editrice, 2004. (2) La sordo-mudez, Actas Ciba, 1948, (5), pp. 126-163. (3) Porro A. 1850-1950: un secolo di vecchi, In: L’anziano e la sua cultura. Aspetti biologici, psicologici e relazionali. A cura di Carlo Cristini, Torre Boldone, Grafital, 2007, pp. 16-18. (4) Porro A., Cristini C., Histoire des évolutions démentielles, In: Arfeux-Vaucher G., Ploton L. (Eds.), Les démences au croisement des non-savoirs. Chemins de la complexité, Rennes, Presses de l’EHESP, 2012, pp. 197-208.File | Dimensione | Formato | |
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