Nella discussione pubblica sulla mafia, come anche in sede storiografica, dell’opera e della figura di Felice Chilanti si è persa quasi ogni traccia. Strano destino, per un giornalista la cui produzione sull’argomento è stata, oltre che pioneristica nel metodo, di eccezionale valore conoscitivo e civile. La sua biografia, sin dalla fine degli anni Quaranta, testimonia di una passione inesauribile per le vicende siciliane – e in particolare per quelle mafiose – cui egli ha dato forma con numerosi reportage in qualità di cronista d’inchiesta, spesso confluiti in volumi di successo1 . A questo proposito il sodalizio con Vittorio Nisticò costituì la chiave di volta di un percorso politico e professionale vissuto all’insegna dell’eterodossia. I due si conobbero nella redazione romana di «Paese Sera», quotidiano fondato nel 1949 da Tommaso Smith e Fausto Coen, dove Chilanti si distinse per le cronache del processo di Viterbo alla banda Giuliano e del caso Montesi, per la campagna contro la legge truffa del 1953 e per i servizi dall’Unione sovietica. Da direttore del quotidiano palermitano «L’Ora», Nisticò lo chiamò a coordinare la prima grande inchiesta sul fenomeno mafioso, pubblicata tra l’ottobre e il dicembre 1958, per poi affidargli incarichi altrettanto prestigiosi negli anni successivi, fra cui la cura di una parte del Rapporto sulla mafia del 1963. La scelta era ricaduta su Chilanti per varie ragioni: la sua indubbia esperienza in campo investigativo, un rapporto pregresso di stima e amicizia e, aspetto determinante, la generale preferenza di Nisticò per le penne politicamente più autonome e originali, quando non apertamente disallineate. A tale criterio egli cercava di attenersi per evitare che il giornale appiattisse fuor di misura la sua linea su quella dell’editore, il Pci, che l’aveva acquistato nel 1954. La vita, il tracciato politico e giornalistico di Chilanti, ma soprattutto il segno intellettuale lasciato nei suoi maggiori lavori d’inchiesta, rappresentano dunque un tramite attraverso cui riflettere sulla Sicilia degli anni Cinquanta e Sessanta e sui termini con cui la questione mafiosa si impose allora all’attenzione della società isolana e nazionale. Una rilettura del profilo e degli scritti di questo brillante cronista sul filo della relazione con Nisticò, consente peraltro di illuminare da un’angolatura specifica quella straordinaria esperienza di giornalismo, e di scuola di giornalismo, che fu il quotidiano «L’Ora», tanto più in occasione del centenario dalla nascita del suo storico direttore.
Felice Chilanti, «L’Ora» e le origini del giornalismo di mafia / C. Dovizio. - In: INTRASFORMAZIONE. - ISSN 2281-1532. - 8:2(2019 Oct), pp. 131-145. [10.4474/DPS/08/02/ANN404/15]
Felice Chilanti, «L’Ora» e le origini del giornalismo di mafia
C. Dovizio
2019
Abstract
Nella discussione pubblica sulla mafia, come anche in sede storiografica, dell’opera e della figura di Felice Chilanti si è persa quasi ogni traccia. Strano destino, per un giornalista la cui produzione sull’argomento è stata, oltre che pioneristica nel metodo, di eccezionale valore conoscitivo e civile. La sua biografia, sin dalla fine degli anni Quaranta, testimonia di una passione inesauribile per le vicende siciliane – e in particolare per quelle mafiose – cui egli ha dato forma con numerosi reportage in qualità di cronista d’inchiesta, spesso confluiti in volumi di successo1 . A questo proposito il sodalizio con Vittorio Nisticò costituì la chiave di volta di un percorso politico e professionale vissuto all’insegna dell’eterodossia. I due si conobbero nella redazione romana di «Paese Sera», quotidiano fondato nel 1949 da Tommaso Smith e Fausto Coen, dove Chilanti si distinse per le cronache del processo di Viterbo alla banda Giuliano e del caso Montesi, per la campagna contro la legge truffa del 1953 e per i servizi dall’Unione sovietica. Da direttore del quotidiano palermitano «L’Ora», Nisticò lo chiamò a coordinare la prima grande inchiesta sul fenomeno mafioso, pubblicata tra l’ottobre e il dicembre 1958, per poi affidargli incarichi altrettanto prestigiosi negli anni successivi, fra cui la cura di una parte del Rapporto sulla mafia del 1963. La scelta era ricaduta su Chilanti per varie ragioni: la sua indubbia esperienza in campo investigativo, un rapporto pregresso di stima e amicizia e, aspetto determinante, la generale preferenza di Nisticò per le penne politicamente più autonome e originali, quando non apertamente disallineate. A tale criterio egli cercava di attenersi per evitare che il giornale appiattisse fuor di misura la sua linea su quella dell’editore, il Pci, che l’aveva acquistato nel 1954. La vita, il tracciato politico e giornalistico di Chilanti, ma soprattutto il segno intellettuale lasciato nei suoi maggiori lavori d’inchiesta, rappresentano dunque un tramite attraverso cui riflettere sulla Sicilia degli anni Cinquanta e Sessanta e sui termini con cui la questione mafiosa si impose allora all’attenzione della società isolana e nazionale. Una rilettura del profilo e degli scritti di questo brillante cronista sul filo della relazione con Nisticò, consente peraltro di illuminare da un’angolatura specifica quella straordinaria esperienza di giornalismo, e di scuola di giornalismo, che fu il quotidiano «L’Ora», tanto più in occasione del centenario dalla nascita del suo storico direttore.| File | Dimensione | Formato | |
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