Nel secondo dopoguerra, le élites politiche e intellettuali europee sono state accomunate dalla convinzione che la regolazione delle loro “economie di mercato” non potesse essere lasciata interamente al mercato, bensì rispondere in qualche misura a un “modello sociale”, che le differenziasse dall’economia nord-americana. Sino alla fine degli anni ’70 questo progetto di regolazione dell’economia si concretizza nello sviluppo di un “welfare state keynesiano” da un lato e nel crescente ruolo delle istituzioni delle relazioni industriali, quali i sindacati, la contrattazione collettiva, la concertazione, dall’altro. Successivamente, nel dibattito degli economisti, che domina anche le raccomandazioni di policy dei vari organismi sovra-nazionali oltre che le politiche concrete di alcuni governi, il modello sociale europeo diventa sinonimo di rigidità, di inefficienze e di sprechi, di ostacolo all’efficienza allocativa del mercato, di fardello insostenibile per economie che devono ormai competere su scala globale. La ricetta generale di de-regolazione dell’economia implica di fatto un abbandono della stessa idea di un modello sociale. Tuttavia, non è mai esistito un unico modello sociale europeo, bensì una pluralità di modelli. Alcuni paesi europei, o modelli sociali da loro incarnati, sono stati capaci di competere sulla scena globale senza trasformarsi in economie di puro mercato sull’esempio nord-americano, senza cioè abbandonare molti dei tratti che si considerano distintivi del modello sociale europeo.
Ascesa e declino del modello sociale europeo / M. Regini - In: Processi e trasformazioni sociali : la societa europea dagli anni Sessanta a oggi / [a cura di] L. Sciolla. - Bari : Laterza, 2009. - ISBN 978-88-420-9114-1.
Ascesa e declino del modello sociale europeo
M. ReginiPrimo
2009
Abstract
Nel secondo dopoguerra, le élites politiche e intellettuali europee sono state accomunate dalla convinzione che la regolazione delle loro “economie di mercato” non potesse essere lasciata interamente al mercato, bensì rispondere in qualche misura a un “modello sociale”, che le differenziasse dall’economia nord-americana. Sino alla fine degli anni ’70 questo progetto di regolazione dell’economia si concretizza nello sviluppo di un “welfare state keynesiano” da un lato e nel crescente ruolo delle istituzioni delle relazioni industriali, quali i sindacati, la contrattazione collettiva, la concertazione, dall’altro. Successivamente, nel dibattito degli economisti, che domina anche le raccomandazioni di policy dei vari organismi sovra-nazionali oltre che le politiche concrete di alcuni governi, il modello sociale europeo diventa sinonimo di rigidità, di inefficienze e di sprechi, di ostacolo all’efficienza allocativa del mercato, di fardello insostenibile per economie che devono ormai competere su scala globale. La ricetta generale di de-regolazione dell’economia implica di fatto un abbandono della stessa idea di un modello sociale. Tuttavia, non è mai esistito un unico modello sociale europeo, bensì una pluralità di modelli. Alcuni paesi europei, o modelli sociali da loro incarnati, sono stati capaci di competere sulla scena globale senza trasformarsi in economie di puro mercato sull’esempio nord-americano, senza cioè abbandonare molti dei tratti che si considerano distintivi del modello sociale europeo.Pubblicazioni consigliate
I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.