Nel nostro ordinamento la responsabilità solidale appare “ossificata” da una giurisprudenza costante che la ricollega ad alcune delle legittime funzioni della responsabilità civile, paga di ricordare come essa dia maggiori garanzie di effettivo ristoro della vittima ed appiattendosi su questo certo unilaterale profilo sembra rimanere sorda alle perplessità che sotto molteplici profili sono state avanzate dalla dottrina. Tutto il dibattito sui fini della responsabilità civile e sulla svalutazione dello scopo risarcitorio come unico obbiettivo della stessa, nonché l’utilizzo di nuovi strumenti, come quelli offerti dall’analisi economica del diritto, non ne hanno scalfito l’applicazione giurisprudenziale, né sono stati operativamente rilevanti. Al di là di un problema ermeneutico e di impostazioni sistematiche alternative, rimane stupefacente l’immutabilità della law in action. Fuori dei patri confini il dibattito teorico degli interpreti, chiamati a compiere vere e proprie scelte di politica del diritto, onde decidere le regole più adatte al coordinamento delle azioni interpersonali, ha dato vita ad oscillazioni, interventi, dubbi e riforme del regime della responsabilità solidale. Anzi, a dar retta ad una prima impressione, scaturente da una panoramica delle fonti di informazione, si direbbe che il regime della responsabilità solidale è stato uno degli argomenti che, nel panorama mondiale, degli ultimi decenni, ha riscosso maggiore attenzione da parte del legislatore, della dottrina e più in generale degli operatori del diritto. Infatti sono stati avviati studi, commissioni o progetti di riforma, che hanno modificato o comunque sottoposto a vaglio critico questa fattispecie. La tematica concernente la responsabilità solidale presenta caratteristiche di evidente ampiezza e complessità, con profili di difficile definizione. L’argomento è particolarmente insidioso sia perché è interdisciplinare, trovando applicazione nelle più diverse ipotesi di responsabilità, sia perché strettamente connesso tanto al problema del nesso di causalità che a quello del concorso di colpa della vittima. Il tentativo di proiettare il tema in una dimensione concorre poi a aumentare l’effetto per così dire espansivo di queste peculiarità. Oggetto dello studio sono i multiple torts, ossia quelle situazioni in cui una vittima subisce un danno imputabile a più soggetti. La responsabilità dei danneggianti sarà così studiata in una duplice ottica: quella esterna, nei confronti della vittima, e quella interna, nei rapporti tra corresponsabili. L’itinerario della ricerca inizia nei sistemi di Common Law, dapprima in quello inglese studiando l’origine del modello della joint and several liability e si vagliando la sua evoluzione successiva, anche per valutare se le riforme americane al modello originario siano in qualche modo arrivate, anche attraverso vie “nascoste”della judge made law, fino alle coste inglesi. Nel secondo capitolo si incentrerà l’attenzione proprio sull’evoluzione del modello della joint and several liability nel sistema nordamericano, e sui risultati delle Tort Reforms che negli ultimi vent’anni hanno riformato questo settore della responsabilità. Gli Stati Uniti si presentano come un “perfetto laboratorio” per studiare l’impatto dei diversi modelli di responsabilità alternativi o integrativi alla solidale e quindi si porranno in luce le regole ed i risultati raggiunti nei singoli Stati. Sanno quindi oggetto di analisi i modelli del Canada e dell’Australia dove si percepisce la tensione tra soluzioni tradizionali ed innovative. Il Canada è forse il più legato al modello della responsabilità solidale, tanto nelle Province Anglofone che nel Quebec. Infatti nonostante questo sia uno dei primi ordinamenti, in parallelo con gli Stati Uniti, in cui si è sviluppato il dibattito sulle problematiche sottese alla responsabilità solidale, la discussione sulla stessa, lunga decenni, non ha portato a rilevanti modifiche della stessa. L’Australia invece sembra essere stata maggiormente influenzata dalle Tort Reforms statunitensi e il modello della responsabilità solidale ha fatto posto ad originali novità in diversi settori del diritto (è altresì oggetto di attenzione il sistema risarcitorio no-fault della Nuova Zelanda). Nei sistemi di Civil Law, è quindi posto in luce nell’esperienza francese il ruolo chiave giocato dalla giurisprudenza, che dapprima ha legittimato l’applicazione della responsabilità solidale, con la creazione della c.d. obligation in solidum ed in seguito ha cercato di limitarne, con scarso risultato, il campo di applicazione. Nell’ultimo capitolo si concentrerà l’attenzione sulla responsabilità solidale nel nostro ordinamento. Non si tratta, benché la prima fase operazionale di misurazione sia comunque essenziale, di fermarsi a misurare le distanze intercorrenti tra le regole operazionali nazionali, quanto di cogliere, attraverso tali regole, i modelli presenti in ciascuna esperienza con l’intento di verificarne l’evoluzione. L’analisi svolta ha registrato come in tutti i sistemi indagati, i soggetti che hanno concorso a causare un “medesimo danno” siano (o per lo meno “siano stati” prima delle riforme), responsabili in solido nei confronti della vittima. Nel corso della ricerca, più che aver appurato la tautologia nel riconoscere il fondamento della solidarietà nell’indivisibilità dell’unico danno, si è negato valore a qualunque ricerca epistemologica che si fondi su una realtà fenomenica del “same damage”. Pensare di poter riscontrare in rerum natura un danno unico è un “falso mito”. Verità tale che appare evidente quando si volga lo sguardo al di fuori dei nostri confini. Si proceda con alcuni esempi: due macchine si scontrano per puro caso nello stesso momento contro una terza vettura, una sul lato di destra ed una sul lato di sinistra. Nei sistemi di common law si tratterebbe di due danni diversi e non vi sarebbe joint and several liability, così come in Francia non si tratterebbe di un’obligation in solidum. Nel diritto vivente italiano la situazione è assai più incerta: c’è chi potrebbe argomentare, come è successo, che si tratti addirittura di un danno unico, ad esempio perché viene leso il medesimo interesse all’utilizzo della vettura. Ancora, se un motociclista investe un pedone causandogli numerose fratture ad una gamba, e successivamente un chirurgo amputa l’arto sbagliato, abbiamo visto che il motociclista e il medico sono several o independent tortfeasors in Inghilterra, mentre nel nostro ordinamento la giurisprudenza che applica la responsabilità solidale per gli esiti sfavorevoli di interventi sanitari a colui che abbia cagionato un sinistro, riterrebbe che si tratti di un danno unico. Facendo un ulteriore esempio, si pensi ad un soggetto affetto da sordità, patologia progressiva dovuta a traumi successivi nel tempo, per essere stato esposto a rumore eccessivo, creato da tre diversi soggetti, in diversi momenti di tempo. Sebbene da un punto di vista medico la vittima sia semplicemente sorda al x%, in Inghilterra, Austria e Svizzera, questo danno è considerato divisibile, mentre in Italia, Polonia e in altri ordinamenti il danno verrebbe probabilmente ritenuto unico. Il recente trend della common law inglese che, al fine di non onerare un tortfeasor di un danno maggiore di quello dallo stesso creato, ha dichiarato danni “diversi” quelli che avrebbero dovuto essere “casi di scuola” di same damage, ha messo in luce come il concetto di “medesimo danno” sia talmente elastico da poter essere impiegato, sic et sempliciter, per applicare o disapplicare joint and several liability. Nel nostro ordinamento la giurisprudenza si è appiattita su un’applicazione quanto mai a maglie larghe della responsabilità solidale, trovando nella maggiore garanzia per la vittima di essere risarcita il lait motive da utilizzare quale “collante” per qualsivoglia decisione e quale motivazione con cui evitare ogni ripensamento sull’utilizzo della stessa. Come si è visto, la responsabilità solidale non dovrebbe servire ad appurare tutte le conseguenze naturalisticamente collegate ad un certo danno al fine di estendere il numero dei responsabili, quanto piuttosto ricercare i soggetti su cui è interesse per il diritto che cada l’onere della responsabilità e ciò precipuamente in una prospettiva di prevenzione degli incidenti. A questa ricostruzione si oppone nel segno di una giustizia redistributiva chi ritiene che la vittima, pagando già sulla sua pelle, il danno subito, vada in ogni caso risarcita, soprattutto quando i danneggianti, tramite il sistema assicurativo, di fatto non “rispondono” personalmente della perdita. Questa diventa la motivazione che, pur inespressa nelle sentenze, non di meno ne costituisce la vera ratio decidendi. E così per condannare i corresponsabili si potrebbe arrivare ad accontentarsi di una “responsabilità stocastica” e il giudizio di causalità riceve la dovuta attenzione solo saltuariamente fondandosi l’individuazione della stessa più che altro sull’intuitività o sulla voglia di scaricare il danno sulla deep pocket. Se l’unico fine della responsabilità civile fosse quello risarcitorio, è noto come si potrebbero pensare sistemi alternativi, sicuramente più rapidi, meno costosi e soprattutto utilizzabili da chiunque abbia sofferto un danno, e non solo dalle “deserving victims” che riescono a provare in giudizio la responsabilità altrui. In realtà una valutazione critica di questo argomento richiede un aggancio a quanto si è precedentemente osservato. In sostanza il principio della solidarietà esenta la vittima e pone a carico dei colpevoli il rischio connesso alla possibilità che il contributo causale di ciascun autore del danno risulti giudizialmente indecifrabile oltre beninteso al rischio della nullatenenza di alcuni di loro. Tuttavia l’allocazione del rischio si giustifica n un regime della colpa fondata su un’autentica riprovevolezza della condotta morale dei coautori dell’illecito, mentre addossare ai coautori il rischio di nullatenenza, si giustifica solo alla luce del comprovato nesso di complicità tra loro. Sicché allorquando la colpa diviene una mera finzione si è in difficoltà a giustificare la ragione per cui il rischio della indecifrabilità del contributo causale debba essere posto a carico dei formali coautori dell’illecito e non della vittima, posto che entrambi siano su un piano di irreprensibilità morale, il che peraltro non avviene quando vi sia colpa concorrente. La solidarietà che protegge la vittima diretta del danno esige la mutualità. La mutualità, a sua volta, può essere assicurata dall’industria assicurativa (“assurance oblige”) oppure da forme di “prevenzione sociale” innovative come nel sistema del New Zealand. Le forme di mutualità assicurativa (sistema di mercato) esigono però di essere obbligatorie. Anche nel nostro ordinamento l’estensione senza limiti della responsabilità solidale che scarica il danno sul “primo che passa” dovrà essere oggetto di attento ripensamento. La responsabilità solidale nasce nel terreno della complicità tra coautori del medesimo illecito. Come dire che essa ha le sue radici nel medesimo terreno primitivo che non distingue bene tra illecito civile e condotta criminale. Nel mondo attuale il principio di solidarietà pare essere al centro di due spinte contrastanti. Da un lato il sentimento di solidarietà verso le vittime degli accidenti sospinge a selezionare le regole che siano più favorevoli ad esse, sollevandole quindi dal rischio della nullatenenza (personale) di uno o alcuni coautori dell’illecito, e dal problema spinoso della ricostruzione dell’apporto causale di ciascuno di questi ultimi. Dall’altro lato la coscienza che proprio gli esiti ultimi delle tendenze solidaristiche hanno eroso non solo e non tanto la colorazione criminale dell’illecito aquiliano quanto la colorazione nel senso di negatività morale della condotta, induce a rivedere l’allocazione tradizionale dei due rischi suddetti. Quanto al rischio di nullatenenza si deve osservare come la tradizionale allocazione ai corresponsabili, una volta che sia del tutto svanito il nesso di complicità, che si svolge su un versante eminentemente soggettivo, ormai remoto, è solo una variante applicativa del criterio della “tasca profonda” o del suo omologo francese “richesse oblige”. Come tale essa va incontro alla medesima obiezione che la classifica nell’ambito del “diritto barbaro” posto che fa dipendere l’applicazione di un criterio aggiudicativo, in sé intrinsecamente generale, da circostanze casuali. Quanto al rischio dell’indecifrabilità dell’apporto causale la giustificazione addotta è certamente più seria e pertanto richiede un’analisi più attenta. Però proprio perché un’analisi è richiesta non può giustificarsi una regola generale fossile come quella consacrata nell’art. 2055 c.c.. Quest’ultimo presuppone che vi sia una valutazione morale negativa della condotta del soggetto implicato nel danneggiamento. Ove invece venga in rilievo la vera implicazione causalistica priva di connotati negativi in riferimento alla valutazione della condotta, l’allocazione del rischio secondario connesso all’indecifrabilità dell’apporto causale non si giustifica affatto. In riferimento alla categoria della giustificazione da intendersi come (pallida) equivalente della categoria della dimostrazione more geometrico suscita però il problema della fonte. Siamo ormai abituati all’idea che il diritto vivente sia l’esito di una pluralità di formanti. Tuttavia rimane vero che le regole poste dal formante legislativo sono sottratte dal dovere di giustificazione essendo l’esito di un processo di selezione delle soluzioni dei conflitti mediante scelte di policy. Al contrario i fermenti culturali anche quella giurisprudenziale e quello dottrinale sono sottoposti dell’onere della giustificazione di una regola da inserire nel diritto vivente. Diviene pertanto essenziale verificare se il testo dell’art. 2055 c..c è base sufficiente per preservare il principio di solidarietà nella forma in cui la stessa giurisprudenza lo ha collocato. L’indagine storica e comparatistica che si è svolta nelle pagine che precedono suggerisce una risposta tendenzialmente negativa. L’art. 2055 c.c. è regola dall’esegetica dell’art. 2043 c.c., ma si estende al sistema degli artt. 2050, 2051, 2052, 2053, 2054 comma 4 (art. 965 e 978 cod. nav.). Regola cioè in modo uniforme ipotesi di responsabilità per colpa e di responsabilità oggettiva. Con ciò la sua giustificazione razionale necessariamente si perde.

Uno per tutti, tutti per uno : itinerari della responsabilità solidale nel diritto comparato / R.E. Cerchia. - Milano : Giuffrè, 2009 Sep. - ISBN 88-14-14634-9.

Uno per tutti, tutti per uno : itinerari della responsabilità solidale nel diritto comparato

R.E. Cerchia
Primo
2009

Abstract

Nel nostro ordinamento la responsabilità solidale appare “ossificata” da una giurisprudenza costante che la ricollega ad alcune delle legittime funzioni della responsabilità civile, paga di ricordare come essa dia maggiori garanzie di effettivo ristoro della vittima ed appiattendosi su questo certo unilaterale profilo sembra rimanere sorda alle perplessità che sotto molteplici profili sono state avanzate dalla dottrina. Tutto il dibattito sui fini della responsabilità civile e sulla svalutazione dello scopo risarcitorio come unico obbiettivo della stessa, nonché l’utilizzo di nuovi strumenti, come quelli offerti dall’analisi economica del diritto, non ne hanno scalfito l’applicazione giurisprudenziale, né sono stati operativamente rilevanti. Al di là di un problema ermeneutico e di impostazioni sistematiche alternative, rimane stupefacente l’immutabilità della law in action. Fuori dei patri confini il dibattito teorico degli interpreti, chiamati a compiere vere e proprie scelte di politica del diritto, onde decidere le regole più adatte al coordinamento delle azioni interpersonali, ha dato vita ad oscillazioni, interventi, dubbi e riforme del regime della responsabilità solidale. Anzi, a dar retta ad una prima impressione, scaturente da una panoramica delle fonti di informazione, si direbbe che il regime della responsabilità solidale è stato uno degli argomenti che, nel panorama mondiale, degli ultimi decenni, ha riscosso maggiore attenzione da parte del legislatore, della dottrina e più in generale degli operatori del diritto. Infatti sono stati avviati studi, commissioni o progetti di riforma, che hanno modificato o comunque sottoposto a vaglio critico questa fattispecie. La tematica concernente la responsabilità solidale presenta caratteristiche di evidente ampiezza e complessità, con profili di difficile definizione. L’argomento è particolarmente insidioso sia perché è interdisciplinare, trovando applicazione nelle più diverse ipotesi di responsabilità, sia perché strettamente connesso tanto al problema del nesso di causalità che a quello del concorso di colpa della vittima. Il tentativo di proiettare il tema in una dimensione concorre poi a aumentare l’effetto per così dire espansivo di queste peculiarità. Oggetto dello studio sono i multiple torts, ossia quelle situazioni in cui una vittima subisce un danno imputabile a più soggetti. La responsabilità dei danneggianti sarà così studiata in una duplice ottica: quella esterna, nei confronti della vittima, e quella interna, nei rapporti tra corresponsabili. L’itinerario della ricerca inizia nei sistemi di Common Law, dapprima in quello inglese studiando l’origine del modello della joint and several liability e si vagliando la sua evoluzione successiva, anche per valutare se le riforme americane al modello originario siano in qualche modo arrivate, anche attraverso vie “nascoste”della judge made law, fino alle coste inglesi. Nel secondo capitolo si incentrerà l’attenzione proprio sull’evoluzione del modello della joint and several liability nel sistema nordamericano, e sui risultati delle Tort Reforms che negli ultimi vent’anni hanno riformato questo settore della responsabilità. Gli Stati Uniti si presentano come un “perfetto laboratorio” per studiare l’impatto dei diversi modelli di responsabilità alternativi o integrativi alla solidale e quindi si porranno in luce le regole ed i risultati raggiunti nei singoli Stati. Sanno quindi oggetto di analisi i modelli del Canada e dell’Australia dove si percepisce la tensione tra soluzioni tradizionali ed innovative. Il Canada è forse il più legato al modello della responsabilità solidale, tanto nelle Province Anglofone che nel Quebec. Infatti nonostante questo sia uno dei primi ordinamenti, in parallelo con gli Stati Uniti, in cui si è sviluppato il dibattito sulle problematiche sottese alla responsabilità solidale, la discussione sulla stessa, lunga decenni, non ha portato a rilevanti modifiche della stessa. L’Australia invece sembra essere stata maggiormente influenzata dalle Tort Reforms statunitensi e il modello della responsabilità solidale ha fatto posto ad originali novità in diversi settori del diritto (è altresì oggetto di attenzione il sistema risarcitorio no-fault della Nuova Zelanda). Nei sistemi di Civil Law, è quindi posto in luce nell’esperienza francese il ruolo chiave giocato dalla giurisprudenza, che dapprima ha legittimato l’applicazione della responsabilità solidale, con la creazione della c.d. obligation in solidum ed in seguito ha cercato di limitarne, con scarso risultato, il campo di applicazione. Nell’ultimo capitolo si concentrerà l’attenzione sulla responsabilità solidale nel nostro ordinamento. Non si tratta, benché la prima fase operazionale di misurazione sia comunque essenziale, di fermarsi a misurare le distanze intercorrenti tra le regole operazionali nazionali, quanto di cogliere, attraverso tali regole, i modelli presenti in ciascuna esperienza con l’intento di verificarne l’evoluzione. L’analisi svolta ha registrato come in tutti i sistemi indagati, i soggetti che hanno concorso a causare un “medesimo danno” siano (o per lo meno “siano stati” prima delle riforme), responsabili in solido nei confronti della vittima. Nel corso della ricerca, più che aver appurato la tautologia nel riconoscere il fondamento della solidarietà nell’indivisibilità dell’unico danno, si è negato valore a qualunque ricerca epistemologica che si fondi su una realtà fenomenica del “same damage”. Pensare di poter riscontrare in rerum natura un danno unico è un “falso mito”. Verità tale che appare evidente quando si volga lo sguardo al di fuori dei nostri confini. Si proceda con alcuni esempi: due macchine si scontrano per puro caso nello stesso momento contro una terza vettura, una sul lato di destra ed una sul lato di sinistra. Nei sistemi di common law si tratterebbe di due danni diversi e non vi sarebbe joint and several liability, così come in Francia non si tratterebbe di un’obligation in solidum. Nel diritto vivente italiano la situazione è assai più incerta: c’è chi potrebbe argomentare, come è successo, che si tratti addirittura di un danno unico, ad esempio perché viene leso il medesimo interesse all’utilizzo della vettura. Ancora, se un motociclista investe un pedone causandogli numerose fratture ad una gamba, e successivamente un chirurgo amputa l’arto sbagliato, abbiamo visto che il motociclista e il medico sono several o independent tortfeasors in Inghilterra, mentre nel nostro ordinamento la giurisprudenza che applica la responsabilità solidale per gli esiti sfavorevoli di interventi sanitari a colui che abbia cagionato un sinistro, riterrebbe che si tratti di un danno unico. Facendo un ulteriore esempio, si pensi ad un soggetto affetto da sordità, patologia progressiva dovuta a traumi successivi nel tempo, per essere stato esposto a rumore eccessivo, creato da tre diversi soggetti, in diversi momenti di tempo. Sebbene da un punto di vista medico la vittima sia semplicemente sorda al x%, in Inghilterra, Austria e Svizzera, questo danno è considerato divisibile, mentre in Italia, Polonia e in altri ordinamenti il danno verrebbe probabilmente ritenuto unico. Il recente trend della common law inglese che, al fine di non onerare un tortfeasor di un danno maggiore di quello dallo stesso creato, ha dichiarato danni “diversi” quelli che avrebbero dovuto essere “casi di scuola” di same damage, ha messo in luce come il concetto di “medesimo danno” sia talmente elastico da poter essere impiegato, sic et sempliciter, per applicare o disapplicare joint and several liability. Nel nostro ordinamento la giurisprudenza si è appiattita su un’applicazione quanto mai a maglie larghe della responsabilità solidale, trovando nella maggiore garanzia per la vittima di essere risarcita il lait motive da utilizzare quale “collante” per qualsivoglia decisione e quale motivazione con cui evitare ogni ripensamento sull’utilizzo della stessa. Come si è visto, la responsabilità solidale non dovrebbe servire ad appurare tutte le conseguenze naturalisticamente collegate ad un certo danno al fine di estendere il numero dei responsabili, quanto piuttosto ricercare i soggetti su cui è interesse per il diritto che cada l’onere della responsabilità e ciò precipuamente in una prospettiva di prevenzione degli incidenti. A questa ricostruzione si oppone nel segno di una giustizia redistributiva chi ritiene che la vittima, pagando già sulla sua pelle, il danno subito, vada in ogni caso risarcita, soprattutto quando i danneggianti, tramite il sistema assicurativo, di fatto non “rispondono” personalmente della perdita. Questa diventa la motivazione che, pur inespressa nelle sentenze, non di meno ne costituisce la vera ratio decidendi. E così per condannare i corresponsabili si potrebbe arrivare ad accontentarsi di una “responsabilità stocastica” e il giudizio di causalità riceve la dovuta attenzione solo saltuariamente fondandosi l’individuazione della stessa più che altro sull’intuitività o sulla voglia di scaricare il danno sulla deep pocket. Se l’unico fine della responsabilità civile fosse quello risarcitorio, è noto come si potrebbero pensare sistemi alternativi, sicuramente più rapidi, meno costosi e soprattutto utilizzabili da chiunque abbia sofferto un danno, e non solo dalle “deserving victims” che riescono a provare in giudizio la responsabilità altrui. In realtà una valutazione critica di questo argomento richiede un aggancio a quanto si è precedentemente osservato. In sostanza il principio della solidarietà esenta la vittima e pone a carico dei colpevoli il rischio connesso alla possibilità che il contributo causale di ciascun autore del danno risulti giudizialmente indecifrabile oltre beninteso al rischio della nullatenenza di alcuni di loro. Tuttavia l’allocazione del rischio si giustifica n un regime della colpa fondata su un’autentica riprovevolezza della condotta morale dei coautori dell’illecito, mentre addossare ai coautori il rischio di nullatenenza, si giustifica solo alla luce del comprovato nesso di complicità tra loro. Sicché allorquando la colpa diviene una mera finzione si è in difficoltà a giustificare la ragione per cui il rischio della indecifrabilità del contributo causale debba essere posto a carico dei formali coautori dell’illecito e non della vittima, posto che entrambi siano su un piano di irreprensibilità morale, il che peraltro non avviene quando vi sia colpa concorrente. La solidarietà che protegge la vittima diretta del danno esige la mutualità. La mutualità, a sua volta, può essere assicurata dall’industria assicurativa (“assurance oblige”) oppure da forme di “prevenzione sociale” innovative come nel sistema del New Zealand. Le forme di mutualità assicurativa (sistema di mercato) esigono però di essere obbligatorie. Anche nel nostro ordinamento l’estensione senza limiti della responsabilità solidale che scarica il danno sul “primo che passa” dovrà essere oggetto di attento ripensamento. La responsabilità solidale nasce nel terreno della complicità tra coautori del medesimo illecito. Come dire che essa ha le sue radici nel medesimo terreno primitivo che non distingue bene tra illecito civile e condotta criminale. Nel mondo attuale il principio di solidarietà pare essere al centro di due spinte contrastanti. Da un lato il sentimento di solidarietà verso le vittime degli accidenti sospinge a selezionare le regole che siano più favorevoli ad esse, sollevandole quindi dal rischio della nullatenenza (personale) di uno o alcuni coautori dell’illecito, e dal problema spinoso della ricostruzione dell’apporto causale di ciascuno di questi ultimi. Dall’altro lato la coscienza che proprio gli esiti ultimi delle tendenze solidaristiche hanno eroso non solo e non tanto la colorazione criminale dell’illecito aquiliano quanto la colorazione nel senso di negatività morale della condotta, induce a rivedere l’allocazione tradizionale dei due rischi suddetti. Quanto al rischio di nullatenenza si deve osservare come la tradizionale allocazione ai corresponsabili, una volta che sia del tutto svanito il nesso di complicità, che si svolge su un versante eminentemente soggettivo, ormai remoto, è solo una variante applicativa del criterio della “tasca profonda” o del suo omologo francese “richesse oblige”. Come tale essa va incontro alla medesima obiezione che la classifica nell’ambito del “diritto barbaro” posto che fa dipendere l’applicazione di un criterio aggiudicativo, in sé intrinsecamente generale, da circostanze casuali. Quanto al rischio dell’indecifrabilità dell’apporto causale la giustificazione addotta è certamente più seria e pertanto richiede un’analisi più attenta. Però proprio perché un’analisi è richiesta non può giustificarsi una regola generale fossile come quella consacrata nell’art. 2055 c.c.. Quest’ultimo presuppone che vi sia una valutazione morale negativa della condotta del soggetto implicato nel danneggiamento. Ove invece venga in rilievo la vera implicazione causalistica priva di connotati negativi in riferimento alla valutazione della condotta, l’allocazione del rischio secondario connesso all’indecifrabilità dell’apporto causale non si giustifica affatto. In riferimento alla categoria della giustificazione da intendersi come (pallida) equivalente della categoria della dimostrazione more geometrico suscita però il problema della fonte. Siamo ormai abituati all’idea che il diritto vivente sia l’esito di una pluralità di formanti. Tuttavia rimane vero che le regole poste dal formante legislativo sono sottratte dal dovere di giustificazione essendo l’esito di un processo di selezione delle soluzioni dei conflitti mediante scelte di policy. Al contrario i fermenti culturali anche quella giurisprudenziale e quello dottrinale sono sottoposti dell’onere della giustificazione di una regola da inserire nel diritto vivente. Diviene pertanto essenziale verificare se il testo dell’art. 2055 c..c è base sufficiente per preservare il principio di solidarietà nella forma in cui la stessa giurisprudenza lo ha collocato. L’indagine storica e comparatistica che si è svolta nelle pagine che precedono suggerisce una risposta tendenzialmente negativa. L’art. 2055 c.c. è regola dall’esegetica dell’art. 2043 c.c., ma si estende al sistema degli artt. 2050, 2051, 2052, 2053, 2054 comma 4 (art. 965 e 978 cod. nav.). Regola cioè in modo uniforme ipotesi di responsabilità per colpa e di responsabilità oggettiva. Con ciò la sua giustificazione razionale necessariamente si perde.
set-2009
Settore IUS/02 - Diritto Privato Comparato
Uno per tutti, tutti per uno : itinerari della responsabilità solidale nel diritto comparato / R.E. Cerchia. - Milano : Giuffrè, 2009 Sep. - ISBN 88-14-14634-9.
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