Con la sentenza Cordella e altri c. Italia la Corte europea dei diritti dell’uomo è intervenuta sul caso dell’Ilva di Taranto, ravvisando la violazione del diritto alla vita privata (art. 8 Cedu) e del diritto a un ricorso effettivo (art. 13 Cedu) di oltre centosessanta persone abitanti nelle aree limitrofe agli stabilimenti della nota acciaieria. Prendendo in esame da un lato le evidenze epidemiologiche sulla situazione sanitaria delle popolazioni esposte, dall’altro lato la normativa c.d. “salva-Ilva” emanata a partire dal 2012, il collegio ha ritenuto all’unanimità che le autorità italiane non abbiano ad oggi saputo individuare un ragionevole punto di equilibrio tra l’interesse dei singoli al “benessere” ed alla “qualità della vita” e quello della società in generale alla prosecuzione della produzione. La sentenza offre una prospettiva nuova sull’annoso problema dei danni alla salute da esposizione a sostanze tossiche, ravvisando la responsabilità dello Stato in una materia che finora (quanto meno in Italia) è stata per lo più appannaggio di procedimenti penali avviati nei confronti dei privati gestori delle imprese. Allo stesso tempo, le statuizioni della Corte europea alimentano l’evoluzione in senso “green” dei diritti fondamentali sanciti nella Convenzione, suscitando nuovi interrogativi e problemi esegetici densi di ripercussioni anche sul terreno del diritto penale (si pensi all’estensione degli obblighi di incriminazione di condotte che offendono la vita e la salute), culminanti nella questione in ordine all’opportunità di riaprire il dibattito sulla necessità di introdurre di un autonomo “diritto ad un ambiente sano”.
Ambiente e diritti umani nella sentenza della Corte di Strasburgo sul caso Ilva / S. Zirulia. - In: DIRITTO PENALE CONTEMPORANEO. - ISSN 2039-1676. - 2019:3(2019 Mar 19), pp. 135-162.
Ambiente e diritti umani nella sentenza della Corte di Strasburgo sul caso Ilva
S. Zirulia
Primo
2019
Abstract
Con la sentenza Cordella e altri c. Italia la Corte europea dei diritti dell’uomo è intervenuta sul caso dell’Ilva di Taranto, ravvisando la violazione del diritto alla vita privata (art. 8 Cedu) e del diritto a un ricorso effettivo (art. 13 Cedu) di oltre centosessanta persone abitanti nelle aree limitrofe agli stabilimenti della nota acciaieria. Prendendo in esame da un lato le evidenze epidemiologiche sulla situazione sanitaria delle popolazioni esposte, dall’altro lato la normativa c.d. “salva-Ilva” emanata a partire dal 2012, il collegio ha ritenuto all’unanimità che le autorità italiane non abbiano ad oggi saputo individuare un ragionevole punto di equilibrio tra l’interesse dei singoli al “benessere” ed alla “qualità della vita” e quello della società in generale alla prosecuzione della produzione. La sentenza offre una prospettiva nuova sull’annoso problema dei danni alla salute da esposizione a sostanze tossiche, ravvisando la responsabilità dello Stato in una materia che finora (quanto meno in Italia) è stata per lo più appannaggio di procedimenti penali avviati nei confronti dei privati gestori delle imprese. Allo stesso tempo, le statuizioni della Corte europea alimentano l’evoluzione in senso “green” dei diritti fondamentali sanciti nella Convenzione, suscitando nuovi interrogativi e problemi esegetici densi di ripercussioni anche sul terreno del diritto penale (si pensi all’estensione degli obblighi di incriminazione di condotte che offendono la vita e la salute), culminanti nella questione in ordine all’opportunità di riaprire il dibattito sulla necessità di introdurre di un autonomo “diritto ad un ambiente sano”.File | Dimensione | Formato | |
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