This paper, following the seventeenth-century treatises on rhetoric and eloquence, especially Tesauro, starts from a physical and palpable notion of the XVIIth-century’s sign and character. Then, it considers the semiotic limitlessness theorized by C.S. Peirce as the substance of the representation and of the seventeenth-century canons of unlimited imitation and metaphorization. The triadic perceian categories are traced, on the other hand, in the seventeenth-century theories on the sign and the metaphor, from Pallavicino to Peregrini. In accordance with Leibniz’s thought, a proportionality is set out in Marino’s poetry and Tesaurus’s rhetoric, between the vagueness of the signifiant and the precision of the signifier. It exemplifies what was concluded with the moments of naming what is real, declined in the XVII-century versification with the universal-linguistic researches, with calligrammatic, impresistic and labyrinthine games, returning to the witty and combinatorial Thesaurus’s semiotic. Finally the metaphorical seventeenth century practice is represented, looking at Deleuze, Gadamer and Ricoeur, as the creation of a real but not alienating alternative, that is regulated by the ordinary canons of beauty and truth.

Seguendo la trattatistica secentesca di retorica e d’eloquenza, in specie Tesauro, si parte da una nozione fisica e corporea del segno e del carattere secentista. Si considera poi l’illimitatezza semiosica teorizzata da C.S. Peirce come fondamento dell’infinità rappresentativa e seriale del segno e dello stesso canone secentesco dell’illimitata imitazione; le triadiche categorie perceiane vengono rintracciate, d’altro canto, in espressioni teoriche secentesche sul segno e sulla metafora, dal Pallavicino al Peregrini. In conformità al pensiero di Leibniz, inoltre, si delinea una proporzionalità, nella poesia del Marino e nell’architettura del Tesauro, tra vaghezza del significante e referenzialità del significato. Si esemplifica quanto concluso con i momenti di nominazione del reale declinati nella versificazione secentista, con le ricerche linguistico-universali, con i giochi calligrammatici, impresistici e labirintici, ritornando sulla semiotica arguta e combinatoria del Tesauro. In ultimo, ridiscutendo, il topos critico della “meraviglia” secentista, si riconducel’esercizio metaforico secentesco, guardando a Deleuze, a Gadamer e a Ricoeur, alla creazione di un reale alternativo ma non straniante, regolato cioè dai canoni ordinari di bellezza e verità.

Semiosi e characteristica dello stile "metaforuto" / G. Alonzo. - In: VS. - ISSN 0393-8255. - 106:1(2008), pp. 3-28.

Semiosi e characteristica dello stile "metaforuto"

G. Alonzo
Primo
2008

Abstract

This paper, following the seventeenth-century treatises on rhetoric and eloquence, especially Tesauro, starts from a physical and palpable notion of the XVIIth-century’s sign and character. Then, it considers the semiotic limitlessness theorized by C.S. Peirce as the substance of the representation and of the seventeenth-century canons of unlimited imitation and metaphorization. The triadic perceian categories are traced, on the other hand, in the seventeenth-century theories on the sign and the metaphor, from Pallavicino to Peregrini. In accordance with Leibniz’s thought, a proportionality is set out in Marino’s poetry and Tesaurus’s rhetoric, between the vagueness of the signifiant and the precision of the signifier. It exemplifies what was concluded with the moments of naming what is real, declined in the XVII-century versification with the universal-linguistic researches, with calligrammatic, impresistic and labyrinthine games, returning to the witty and combinatorial Thesaurus’s semiotic. Finally the metaphorical seventeenth century practice is represented, looking at Deleuze, Gadamer and Ricoeur, as the creation of a real but not alienating alternative, that is regulated by the ordinary canons of beauty and truth.
Seguendo la trattatistica secentesca di retorica e d’eloquenza, in specie Tesauro, si parte da una nozione fisica e corporea del segno e del carattere secentista. Si considera poi l’illimitatezza semiosica teorizzata da C.S. Peirce come fondamento dell’infinità rappresentativa e seriale del segno e dello stesso canone secentesco dell’illimitata imitazione; le triadiche categorie perceiane vengono rintracciate, d’altro canto, in espressioni teoriche secentesche sul segno e sulla metafora, dal Pallavicino al Peregrini. In conformità al pensiero di Leibniz, inoltre, si delinea una proporzionalità, nella poesia del Marino e nell’architettura del Tesauro, tra vaghezza del significante e referenzialità del significato. Si esemplifica quanto concluso con i momenti di nominazione del reale declinati nella versificazione secentista, con le ricerche linguistico-universali, con i giochi calligrammatici, impresistici e labirintici, ritornando sulla semiotica arguta e combinatoria del Tesauro. In ultimo, ridiscutendo, il topos critico della “meraviglia” secentista, si riconducel’esercizio metaforico secentesco, guardando a Deleuze, a Gadamer e a Ricoeur, alla creazione di un reale alternativo ma non straniante, regolato cioè dai canoni ordinari di bellezza e verità.
semiosi ; metafora ; secentismo ; Leibniz ; Peirce ; Tesauro
Settore L-FIL-LET/10 - Letteratura Italiana
Settore M-FIL/01 - Filosofia Teoretica
Settore M-FIL/05 - Filosofia e Teoria dei Linguaggi
2008
VS
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