In un progetto di prevenzione primaria nelle scuole medie si rende necessario avere una descrizione della utenza, stabilire l’efficacia di tali interventi, individuare uno strumento per l’individuazione di casi a rischio per disturbo alimentare (DA) e dare forma ad interventi per la diagnosi precoce e il precoce invio in strutture specializzate. Per ottenere tali fini, lo scopo dello studio è individuare lo strumento di screening efficace maneggevole anche da non specialisti per favorire l’individuazione di casi a rischio per DA, la diagnosi e il trattamento precoce come indicato dalle linee guida (APA, 2006). Metodi Lo studio si è svolto tra il 2005 e il 2007 su un campione di 570 studenti tra i 12 e i 18 anni. Previo consenso scritto dei genitori, si sono somministrati agli studenti 3 test autosomministrabili (Eating Attitude Test-26, Strenght Difficulties Questionarrie, Body Shape Questionarrie) e 2 questionari , uno sociodemografico e uno sulle abitudini alimentari. Tutti gli studenti sono stati poi pesati e misurati e sono stati sottoposti ad una intervista clinica semistrutturata per DA secondo DSM-IV dagli specialisti. per l’analisi statistica: ( test di Kolomogorov-Smirnov,matrici di correlazione lineare di Pearson, tabelle di frequenze, statistica chi-quadro (X2) di Pearson, t-test , Anova). Risultati Dai risultati emerge che la percentuale di rischio all’EAT-26 di disturbo alimentare nel campione è del 15,5% (Femmine>Maschi) e che è distribuita omogeneamente per fasce d’età; secondo la distribuzione dei percentili di BMI i soggetti soprappeso e obesi è significativamente maggiore nelle medie e nel sesso maschile, mentre la distribuzione dei soggetti sottopeso o gravemente sottopeso è omogenea in tutte le fasce di età. La preoccupazione per l’immagine corporea (determinata dal valore medio del BSQ), la tendenza a vedersi grassi e la tendenza a svolgere diete è significativamente maggiore nelle femmine che nei maschi ed è significativamente maggiore in fasce d’età corrispondenti al biennio e triennio delle scuole superiori. La distribuzione dell’EAT-26 a rischio non varia dunque per età, sesso, percentili di BMI, e correla significativamente con SDQ, BSQ, tendenza a svolgere diete, a considerarsi grassi e intervista clinica. In particolare i soggetti che soddisfano almeno un criterio per DSM sono il 9% del campione. Tali soggetti sono compresi nel gruppo di soggetti a rischio per EAT-26 tranne 2. Conclusioni L’EAT-26 si rivela un efficace strumento di screening in quanto individua sindromi complete, parziali, subclincihe Non è necessario in contesti di prevenzione sottoporre l’intero campione ad intervista clinica ma solo i soggetti a rischio di DA all’EAT-26, guadagnando in termini di tempestività degli interventi. Il fatto che il rischio di DA secondo l’EAT-26 sia omogeneamente distribuito nella fascia d’età presa in considerazione in questo studio, indica che i programmi di prevenzione primaria di potenziamento dei fattori protettivi devono essere rivolti ad età più precoci. In questa fascia d’età si rende urgente e necessario svolgere programmi di prevenzione secondaria caratterizzati da: interviste cliniche svolte da psicologi scolastici formati sui casi a rischio per DA, interventi di monitoraggio mirati, nonché per i casi individuati clinicamente invio in strutture specializzate
DISTURBI ALIMENTARI IN ETÀ EVOLUTIVA : PROGRAMMI DI PREVENZIONE E RICERCA DI STRUMENTI PER LA DIAGNOSI PRECOCE / F. Cantini, L. Consonni, S. Merelli, G. Sellitto, G. Garghentini, A. Albizzati, C. Lenti. ((Intervento presentato al 24. convegno Congresso Nazionale S.I.N.P.I.A. Società Italiana di Neuropsichiatria Infanzia e dell’ Adolescenza tenutosi a Pozzo Faceto di Fasano nel 2008.
DISTURBI ALIMENTARI IN ETÀ EVOLUTIVA : PROGRAMMI DI PREVENZIONE E RICERCA DI STRUMENTI PER LA DIAGNOSI PRECOCE
C. LentiUltimo
2008
Abstract
In un progetto di prevenzione primaria nelle scuole medie si rende necessario avere una descrizione della utenza, stabilire l’efficacia di tali interventi, individuare uno strumento per l’individuazione di casi a rischio per disturbo alimentare (DA) e dare forma ad interventi per la diagnosi precoce e il precoce invio in strutture specializzate. Per ottenere tali fini, lo scopo dello studio è individuare lo strumento di screening efficace maneggevole anche da non specialisti per favorire l’individuazione di casi a rischio per DA, la diagnosi e il trattamento precoce come indicato dalle linee guida (APA, 2006). Metodi Lo studio si è svolto tra il 2005 e il 2007 su un campione di 570 studenti tra i 12 e i 18 anni. Previo consenso scritto dei genitori, si sono somministrati agli studenti 3 test autosomministrabili (Eating Attitude Test-26, Strenght Difficulties Questionarrie, Body Shape Questionarrie) e 2 questionari , uno sociodemografico e uno sulle abitudini alimentari. Tutti gli studenti sono stati poi pesati e misurati e sono stati sottoposti ad una intervista clinica semistrutturata per DA secondo DSM-IV dagli specialisti. per l’analisi statistica: ( test di Kolomogorov-Smirnov,matrici di correlazione lineare di Pearson, tabelle di frequenze, statistica chi-quadro (X2) di Pearson, t-test , Anova). Risultati Dai risultati emerge che la percentuale di rischio all’EAT-26 di disturbo alimentare nel campione è del 15,5% (Femmine>Maschi) e che è distribuita omogeneamente per fasce d’età; secondo la distribuzione dei percentili di BMI i soggetti soprappeso e obesi è significativamente maggiore nelle medie e nel sesso maschile, mentre la distribuzione dei soggetti sottopeso o gravemente sottopeso è omogenea in tutte le fasce di età. La preoccupazione per l’immagine corporea (determinata dal valore medio del BSQ), la tendenza a vedersi grassi e la tendenza a svolgere diete è significativamente maggiore nelle femmine che nei maschi ed è significativamente maggiore in fasce d’età corrispondenti al biennio e triennio delle scuole superiori. La distribuzione dell’EAT-26 a rischio non varia dunque per età, sesso, percentili di BMI, e correla significativamente con SDQ, BSQ, tendenza a svolgere diete, a considerarsi grassi e intervista clinica. In particolare i soggetti che soddisfano almeno un criterio per DSM sono il 9% del campione. Tali soggetti sono compresi nel gruppo di soggetti a rischio per EAT-26 tranne 2. Conclusioni L’EAT-26 si rivela un efficace strumento di screening in quanto individua sindromi complete, parziali, subclincihe Non è necessario in contesti di prevenzione sottoporre l’intero campione ad intervista clinica ma solo i soggetti a rischio di DA all’EAT-26, guadagnando in termini di tempestività degli interventi. Il fatto che il rischio di DA secondo l’EAT-26 sia omogeneamente distribuito nella fascia d’età presa in considerazione in questo studio, indica che i programmi di prevenzione primaria di potenziamento dei fattori protettivi devono essere rivolti ad età più precoci. In questa fascia d’età si rende urgente e necessario svolgere programmi di prevenzione secondaria caratterizzati da: interviste cliniche svolte da psicologi scolastici formati sui casi a rischio per DA, interventi di monitoraggio mirati, nonché per i casi individuati clinicamente invio in strutture specializzatePubblicazioni consigliate
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