A cinquecento anni dalla sua realizzazione, l’incisione Melencolia I di Albrecht Dürer non cessa di interrogarci. Il pensiero, la parola tornano sempre di nuovo a cercare di penetrare l’enigma dell’immagine (un’immagine complessa, composta di figure, ma anche di scritte e di numeri). E questo enigma sempre di nuovo resiste alla definitiva soluzione, alimentando la ricerca, stimolando lo studio. Appoggiandosi a una secolare tradizione, che dai trattati aristotelici giunge fino a Marsilio Ficino, i grandi interpreti dei primi decenni del Novecento – da Giehlow e Warburg a Panofsky-Saxl e Benjamin – hanno insistito sulla natura intimamente ambivalente, dialettica, di questa immagine e del temperamento che essa rappresenta, strutturalmente vincolato al pianeta Saturno. In particolare Warburg ci offre una sorta di mise en abyme della melanconia. Essa si contrappone polarmente alla mania, fissando con questa le estremità della gamma possibile delle espressioni emotive dell’umanità, la cui vita affettiva può spingersi fino alla negazione della vita altrui (omicidio), o – per converso – alla negazione della vita propria (suicidio). Come infrarossi e ultravioletti dello spettro emozionale, questi due poli stabiliscono i confini ultimi dell’espressività umana, all’interno dei quali si possono modulare infiniti cromatismi del pathos. Ma la stessa melanconia è, al suo interno, polarizzata in un’antitetica immanente, che oscilla fra uno stato sterile e funesto e una condizione benigna e produttiva, fra la tetraggine improduttiva e la genialità creatrice. Polarità nella polarità, dunque: il che determina il carattere costitutivamente simbolico (un symballein di opposti) di questo temperamento e dell’incisione düreriana che lo raffigura. A questo plesso in vibrante tensione interna è stata dedicata, nel dicembre 2014, la «xvii Settimana di Alti Studi Rinascimentali» – appunto intitolata La “Melencolia” di Albrecht Dürer: cinquecento anni dopo (1514-2014) –, promossa dall’Istituto di Studi Rinascimentali di Ferrara in collaborazione con la fondazione Ferrara Arte e con i Musei di Arte Antica della stessa città. Dei lavori (che si sono aperti nel Salone dei Mesi di Palazzo Schifanoia per poi proseguire nella sala conferenze di Palazzo Bonacossi), del loro ampio raggio e degli stimolanti orizzonti di indagine che si sono dischiusi per opera di specialisti e di giovani ricercatori, il presente volume rende testimonianza. I lettori troveranno a convergere sull’incisione düreriana studiosi impegnati in differenti prospettive disciplinari: filosofia (Marco Bertozzi, Massimo Cacciari, Alice Barale, Giacomo Mercuriali), storia dell’arte (Claudia Wedepohl, Elena Filippi, Giovanni Maria Fara, Tommaso Ranfagni, Stefania Santoni), storia delle religioni (Saverio Campanini, Donato Verardi), storia della letteratura (Laura Antonella Piras, Felice Gambin), senza dimenticare la geometria (Stefania Iurilli). Ma a contatto con l’opera di Dürer gli sconfinamenti tra le diverse discipline sono d’obbligo, regola e non eccezione: Melencolia I è una formidabile occasione per eludere il regime di sorveglianza di quell’occhiuta e sospettosa «polizia di frontiera» che Aby Warburg stigmatizzava proprio nel saggio dedicato a Palazzo Schifanoia. L’immagine dischiude e protegge uno spazio del pensiero e della riflessione che si apre a una teoria e storia della cultura, senza altre specificazioniche non siano quelle dell’umano.
La “Melencolia” di Albrecht Dürer cinquecento anni dopo (1514-2014) / M. Bertozzi, A. Pinotti. - In: SCHIFANOIA. - ISSN 0394-5421. - 2015:48-49(2015), pp. 1-170. (Intervento presentato al 17. convegno Settimana di Alti Studi Rinascimentali : convegno internazionale La “Melencolia” di Albrecht Dürer cinquecento anni dopo (1514-2014) tenutosi a Ferrara nel 2014).
La “Melencolia” di Albrecht Dürer cinquecento anni dopo (1514-2014)
A. Pinotti
2015
Abstract
A cinquecento anni dalla sua realizzazione, l’incisione Melencolia I di Albrecht Dürer non cessa di interrogarci. Il pensiero, la parola tornano sempre di nuovo a cercare di penetrare l’enigma dell’immagine (un’immagine complessa, composta di figure, ma anche di scritte e di numeri). E questo enigma sempre di nuovo resiste alla definitiva soluzione, alimentando la ricerca, stimolando lo studio. Appoggiandosi a una secolare tradizione, che dai trattati aristotelici giunge fino a Marsilio Ficino, i grandi interpreti dei primi decenni del Novecento – da Giehlow e Warburg a Panofsky-Saxl e Benjamin – hanno insistito sulla natura intimamente ambivalente, dialettica, di questa immagine e del temperamento che essa rappresenta, strutturalmente vincolato al pianeta Saturno. In particolare Warburg ci offre una sorta di mise en abyme della melanconia. Essa si contrappone polarmente alla mania, fissando con questa le estremità della gamma possibile delle espressioni emotive dell’umanità, la cui vita affettiva può spingersi fino alla negazione della vita altrui (omicidio), o – per converso – alla negazione della vita propria (suicidio). Come infrarossi e ultravioletti dello spettro emozionale, questi due poli stabiliscono i confini ultimi dell’espressività umana, all’interno dei quali si possono modulare infiniti cromatismi del pathos. Ma la stessa melanconia è, al suo interno, polarizzata in un’antitetica immanente, che oscilla fra uno stato sterile e funesto e una condizione benigna e produttiva, fra la tetraggine improduttiva e la genialità creatrice. Polarità nella polarità, dunque: il che determina il carattere costitutivamente simbolico (un symballein di opposti) di questo temperamento e dell’incisione düreriana che lo raffigura. A questo plesso in vibrante tensione interna è stata dedicata, nel dicembre 2014, la «xvii Settimana di Alti Studi Rinascimentali» – appunto intitolata La “Melencolia” di Albrecht Dürer: cinquecento anni dopo (1514-2014) –, promossa dall’Istituto di Studi Rinascimentali di Ferrara in collaborazione con la fondazione Ferrara Arte e con i Musei di Arte Antica della stessa città. Dei lavori (che si sono aperti nel Salone dei Mesi di Palazzo Schifanoia per poi proseguire nella sala conferenze di Palazzo Bonacossi), del loro ampio raggio e degli stimolanti orizzonti di indagine che si sono dischiusi per opera di specialisti e di giovani ricercatori, il presente volume rende testimonianza. I lettori troveranno a convergere sull’incisione düreriana studiosi impegnati in differenti prospettive disciplinari: filosofia (Marco Bertozzi, Massimo Cacciari, Alice Barale, Giacomo Mercuriali), storia dell’arte (Claudia Wedepohl, Elena Filippi, Giovanni Maria Fara, Tommaso Ranfagni, Stefania Santoni), storia delle religioni (Saverio Campanini, Donato Verardi), storia della letteratura (Laura Antonella Piras, Felice Gambin), senza dimenticare la geometria (Stefania Iurilli). Ma a contatto con l’opera di Dürer gli sconfinamenti tra le diverse discipline sono d’obbligo, regola e non eccezione: Melencolia I è una formidabile occasione per eludere il regime di sorveglianza di quell’occhiuta e sospettosa «polizia di frontiera» che Aby Warburg stigmatizzava proprio nel saggio dedicato a Palazzo Schifanoia. L’immagine dischiude e protegge uno spazio del pensiero e della riflessione che si apre a una teoria e storia della cultura, senza altre specificazioniche non siano quelle dell’umano.| File | Dimensione | Formato | |
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