II saggio mette in luce come si registri - durante il ciclo positivo cinque-secentesco - uno sfasamento temporale tra l’espansione economica delle due aree considerate; nella regione spagnola la crescita si verifica tra la fine del XV secolo e gli anni settanta di quello successivo, mentre in Lombardia si realizzatra il 1540 e il 1584; l’apogeo della fase espansiva milanese si colloca a cavallo del 1580, quando oramai la Castiglia è già in fase discendente. Quando la fase inizia ad essere sfavorevole e difficoltà del mondo finanziario iberico si fanno evidenti tra la sospensione dei pagamenti del 1575 e quella del 1596, i banchieri castigliani non hanno margine di manovra di fronte alle decisioni del tesoro centrale, che negozia con gli asentistas genovesi il rinnovo del debito. I mercanti banchieri castigliani non hanno capacità di contrattazione e possono solo adattarsi agli accordi tra la Real Hacienda e i banchieri stranieri. Collocandosi ai livelli inferiori della piramide che rappresenta il sistema di funzionamento delle finanze, le compagnie castigliane sconteranno gli effetti dei patti tra gli attori principali: i responsabili dell’Hacienda della Monarquía Hispánica e i banchieri cosmopoliti. La rete di relazioni dei banchieri castigliani e l’orbita dei loro affari sono più ridotte rispetto a quella dei loro colleghi tedeschi, genovesi o portoghesi che lavorano in Castiglia o dei milanesi attivi nel Ducato. E quello che è più importante, la loro rete non comprende personaggi in grado di difendere con successo i loro interessi. È innegabile che Pedro de Villamor, Juan Luis de Vitoria, Juan Ortega de la Torre e Andrés de Écija detengano una certa quota di mercato ma questa non è molto consistente ed essi forniscono ai propri clienti più intermediazione che prestiti diretti. Inoltre, il loro campo di azione principale è la finanza locale. Questi banchieri prestano ai municipi castigliani reales e ducati per far fronte alle spese ordinarie o straordinarie come gli interventi urbanistici, all’acquisto di grano in epoca di scarsità o al finanziamento delle cause nei diversi gradi delle magistrature. La loro disponibilità finanziaria gli faciliterà la scalata alla carica di consigliere in alcune città della Corona di Castilla, ma difficilmente riusciranno ad ottenere il patriziato; saranno poi attori imprescindibili nell’intermediazione fiscale, vale a dire nell’ingranaggio che farà arrivare quanto riscosso dai tributi nelle mani degli asentistas genovesi che hanno prestato al re. Al contrario, i banchieri milanesi hanno un ruolo importante soprattutto nel finanziamento dell’industria regionale, che invece in Castiglia si finanzia per via endogena. Se a Milano i flussi furono bidirezionali – nel senso che nei momenti espansivi i guadagni degli imprenditori e dei grandi proprietari confluivano nel debito pubblico e nei prestiti al sovrano, mentre nei momenti di recessione i capitali confluivano in prestiti per gli artigiani, i mercanti o i contadini – in Castiglia non si produsse nessun movimento simile. Nella capitale del Ducato i banchieri locali indirizzarono le loro risorse verso impieghi produttivi realizzando così uno straordinario moltiplicatore della crescita economica. Anche lo sfondo teorico legittimò progressivamente un uso dinamico dei capitali, finendo per indentificare la ricchezza con la circolazione del denaro, mentre nella regione spagnola, ad esclusione dell’industria della lana, le attività produttive non furono mai socialmente accreditate. La relazione esistente tra commercio del denaro ed economia reale fa sì che nello Stato milanese nascano innovazioni operative che permetteranno di superare le fasi più acute della crisi finanziaria di fine secolo; tra queste, a partire dalla seconda metà degli anni novanta del XVI secolo, le società in accomandita che finanzieranno in buona parte la produzione serica. Fenomeno sconosciuto, questo, nel caso dei banchieri castigliani che soffriranno costantemente di una scarsa fluidità nella raccolta dei depositi a causa della preferenza accordata dai nobili e dagli abbienti ai servizi dei banchieri stranieri, resi più affidabili agli occhi degli investitori dalla relazione con l’autorità pubblica. Di fronte alla sospensione dei pagamenti del 1596, le compagnie bancarie castigliane non seppero trovare soluzioni alternative vincenti: tentarono una riorganizzazione dimensionale, unendosi per diventare più grandi e competere meglio nel mercato creditizio ma persero sempre più spazio a favore dei soggetti stranieri che erano già più grandi e più efficienti, e finirono così per scomparire. La mancanza di capacità innovativa, sollecitata dalla stretta relazione con l’economia reale, segnò quindi la differenza a favore dei colleghi milanesi che riuscirono invece a prosperare anche di fronte alla redistribuzione del mercato operata dalle congiunture del 1593-4, 1607, 1610, e 1619-22.

Decadencia y desventura de un negocio en crisis: la banca castellana a finales del siglo XVI y su próspero contrapunto milanés / E.M. García Guerra, G. De Luca (ATTI DELLE «SETTIMANE DI STUDI» E ALTRI CONVEGNI). - In: Le crisi finanziarie : gestione, implicazioni sociali e conseguenze nell’età preindustriale = The financial crises : their management, their social implications and their consequences in pre-industrial times : selezione di ricerche = Selection of essays / [a cura di] G. Nigro. - Prima edizione. - Firenze : Firenze University Press, 2016. - ISBN 9788866559481. - pp. 283-325

Decadencia y desventura de un negocio en crisis: la banca castellana a finales del siglo XVI y su próspero contrapunto milanés

G. De Luca
2016

Abstract

II saggio mette in luce come si registri - durante il ciclo positivo cinque-secentesco - uno sfasamento temporale tra l’espansione economica delle due aree considerate; nella regione spagnola la crescita si verifica tra la fine del XV secolo e gli anni settanta di quello successivo, mentre in Lombardia si realizzatra il 1540 e il 1584; l’apogeo della fase espansiva milanese si colloca a cavallo del 1580, quando oramai la Castiglia è già in fase discendente. Quando la fase inizia ad essere sfavorevole e difficoltà del mondo finanziario iberico si fanno evidenti tra la sospensione dei pagamenti del 1575 e quella del 1596, i banchieri castigliani non hanno margine di manovra di fronte alle decisioni del tesoro centrale, che negozia con gli asentistas genovesi il rinnovo del debito. I mercanti banchieri castigliani non hanno capacità di contrattazione e possono solo adattarsi agli accordi tra la Real Hacienda e i banchieri stranieri. Collocandosi ai livelli inferiori della piramide che rappresenta il sistema di funzionamento delle finanze, le compagnie castigliane sconteranno gli effetti dei patti tra gli attori principali: i responsabili dell’Hacienda della Monarquía Hispánica e i banchieri cosmopoliti. La rete di relazioni dei banchieri castigliani e l’orbita dei loro affari sono più ridotte rispetto a quella dei loro colleghi tedeschi, genovesi o portoghesi che lavorano in Castiglia o dei milanesi attivi nel Ducato. E quello che è più importante, la loro rete non comprende personaggi in grado di difendere con successo i loro interessi. È innegabile che Pedro de Villamor, Juan Luis de Vitoria, Juan Ortega de la Torre e Andrés de Écija detengano una certa quota di mercato ma questa non è molto consistente ed essi forniscono ai propri clienti più intermediazione che prestiti diretti. Inoltre, il loro campo di azione principale è la finanza locale. Questi banchieri prestano ai municipi castigliani reales e ducati per far fronte alle spese ordinarie o straordinarie come gli interventi urbanistici, all’acquisto di grano in epoca di scarsità o al finanziamento delle cause nei diversi gradi delle magistrature. La loro disponibilità finanziaria gli faciliterà la scalata alla carica di consigliere in alcune città della Corona di Castilla, ma difficilmente riusciranno ad ottenere il patriziato; saranno poi attori imprescindibili nell’intermediazione fiscale, vale a dire nell’ingranaggio che farà arrivare quanto riscosso dai tributi nelle mani degli asentistas genovesi che hanno prestato al re. Al contrario, i banchieri milanesi hanno un ruolo importante soprattutto nel finanziamento dell’industria regionale, che invece in Castiglia si finanzia per via endogena. Se a Milano i flussi furono bidirezionali – nel senso che nei momenti espansivi i guadagni degli imprenditori e dei grandi proprietari confluivano nel debito pubblico e nei prestiti al sovrano, mentre nei momenti di recessione i capitali confluivano in prestiti per gli artigiani, i mercanti o i contadini – in Castiglia non si produsse nessun movimento simile. Nella capitale del Ducato i banchieri locali indirizzarono le loro risorse verso impieghi produttivi realizzando così uno straordinario moltiplicatore della crescita economica. Anche lo sfondo teorico legittimò progressivamente un uso dinamico dei capitali, finendo per indentificare la ricchezza con la circolazione del denaro, mentre nella regione spagnola, ad esclusione dell’industria della lana, le attività produttive non furono mai socialmente accreditate. La relazione esistente tra commercio del denaro ed economia reale fa sì che nello Stato milanese nascano innovazioni operative che permetteranno di superare le fasi più acute della crisi finanziaria di fine secolo; tra queste, a partire dalla seconda metà degli anni novanta del XVI secolo, le società in accomandita che finanzieranno in buona parte la produzione serica. Fenomeno sconosciuto, questo, nel caso dei banchieri castigliani che soffriranno costantemente di una scarsa fluidità nella raccolta dei depositi a causa della preferenza accordata dai nobili e dagli abbienti ai servizi dei banchieri stranieri, resi più affidabili agli occhi degli investitori dalla relazione con l’autorità pubblica. Di fronte alla sospensione dei pagamenti del 1596, le compagnie bancarie castigliane non seppero trovare soluzioni alternative vincenti: tentarono una riorganizzazione dimensionale, unendosi per diventare più grandi e competere meglio nel mercato creditizio ma persero sempre più spazio a favore dei soggetti stranieri che erano già più grandi e più efficienti, e finirono così per scomparire. La mancanza di capacità innovativa, sollecitata dalla stretta relazione con l’economia reale, segnò quindi la differenza a favore dei colleghi milanesi che riuscirono invece a prosperare anche di fronte alla redistribuzione del mercato operata dalle congiunture del 1593-4, 1607, 1610, e 1619-22.
attività bancaria; crisi; fine XVI secolo-Inizio XVII, Castiglia, Milano
Settore SECS-P/12 - Storia Economica
2016
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