È noto a tutti che il finale dei Capuleti e Montecchi di Bellini (1830) fu quasi subito sostituito dalle scene omologhe dell’opera di Vaccaj sullo stesso soggetto, Giulietta e Romeo (1825), e che tale sostituzione divenne prassi comune per tutto il corso dell’Ottocento. La prassi è attribuita al capriccio della Malibran, che cantando a Bologna nel 1832 sarebbe rimasta insoddisfatta del finale belliniano, poco adatto alle velleità esibizionistiche di una primadonna. Il finale dell’opera di Vaccaj, in effetti, mette in risalto alcuni momenti lirici (tra i quali il celebre “Ah! se tu dormi svegliati”), strutturati come pezzi chiusi, ed è calato nelle forme della tradizione italiana con tutte le sue chiare articolazioni, mentre il finale dell’opera di Bellini, indirizzato a una maggiore concisione e tensione drammatica, trapassa elasticamente dal recitativo all’arioso e non presenta scansioni formali altrettanto nette. È probabile che per gli interpreti e per il pubblico italiano dell’epoca la musica di Vaccaj, che alterna con regolarità momenti dinamici e stasi liriche formalizzate e subordina l’azione drammatica al canto, suonasse più familiare della musica di Bellini, che nel finale dei Capuleti concede poco alle convenzioni belcantistiche e alle aspettative comuni. L’evidenza documentaria mostra, tuttavia, una situazione piuttosto articolata. Intanto non fu la Malibran che operò per prima la sostituzione: la prassi venne inaugurata già nel marzo del 1831 a Firenze, ad opera della Ferlotti. La sostituzione, inoltre, fu preparata da un giudizio largamente diffuso e condiviso: sin dalle prime rappresentazioni l’opera di Bellini venne messa a confronto con quella di Vaccaj, e il paragone si risolse, in genere, in favore del predecessore. I giudizi formulati nelle recensioni e negli scritti critici, tuttavia, non sono del tutto concordi. Mentre i più predilessero il finale di Vaccaj, e persino quello della vecchia opera di Zingarelli (1796) sullo stesso soggetto drammatico, altri protestarono contro l’abuso della sostituzione e mostrarono di apprezzare la novità e il valore del finale originario. Fra questi ultimi rientra Romani, l’autore del testo poetico delle due opere, che innescò una violenta polemica contro la manomissione del libretto e della partitura dei Capuleti e Montecchi. Ci furono anche cantanti, come la Ronzi De Begnis, che andarono controcorrente ripristinando il finale di Bellini. Per tutto l’Ottocento, nondimeno, I Capuleti e i Montecchi furono eseguiti con il finale sostituito. Il giudizio estetico venne ribaltato solo nel Novecento, a partire da Pizzetti, che riconobbe al finale belliniano tutto il suo valore drammatico, e più ancora dalle rappresentazioni del centenario, nel 1935, che fecero da preludio al rientro definitivo in repertorio dell’opera belliniana.

Bellini e Vaccaj : peripezie di un finale / C. Toscani - In: Vincenzo Bellini nel secondo centenario della nascita. / [a cura di] G. Seminara, A. Tedesco. - Firenze : Olschki, 2004. - ISBN 88-222-5390-6. - pp. 535-567 (( convegno Vincenzo Bellini nel secondo centenario della nascita tenutosi a Catania nel 2001.

Bellini e Vaccaj : peripezie di un finale

C. Toscani
Primo
2004

Abstract

È noto a tutti che il finale dei Capuleti e Montecchi di Bellini (1830) fu quasi subito sostituito dalle scene omologhe dell’opera di Vaccaj sullo stesso soggetto, Giulietta e Romeo (1825), e che tale sostituzione divenne prassi comune per tutto il corso dell’Ottocento. La prassi è attribuita al capriccio della Malibran, che cantando a Bologna nel 1832 sarebbe rimasta insoddisfatta del finale belliniano, poco adatto alle velleità esibizionistiche di una primadonna. Il finale dell’opera di Vaccaj, in effetti, mette in risalto alcuni momenti lirici (tra i quali il celebre “Ah! se tu dormi svegliati”), strutturati come pezzi chiusi, ed è calato nelle forme della tradizione italiana con tutte le sue chiare articolazioni, mentre il finale dell’opera di Bellini, indirizzato a una maggiore concisione e tensione drammatica, trapassa elasticamente dal recitativo all’arioso e non presenta scansioni formali altrettanto nette. È probabile che per gli interpreti e per il pubblico italiano dell’epoca la musica di Vaccaj, che alterna con regolarità momenti dinamici e stasi liriche formalizzate e subordina l’azione drammatica al canto, suonasse più familiare della musica di Bellini, che nel finale dei Capuleti concede poco alle convenzioni belcantistiche e alle aspettative comuni. L’evidenza documentaria mostra, tuttavia, una situazione piuttosto articolata. Intanto non fu la Malibran che operò per prima la sostituzione: la prassi venne inaugurata già nel marzo del 1831 a Firenze, ad opera della Ferlotti. La sostituzione, inoltre, fu preparata da un giudizio largamente diffuso e condiviso: sin dalle prime rappresentazioni l’opera di Bellini venne messa a confronto con quella di Vaccaj, e il paragone si risolse, in genere, in favore del predecessore. I giudizi formulati nelle recensioni e negli scritti critici, tuttavia, non sono del tutto concordi. Mentre i più predilessero il finale di Vaccaj, e persino quello della vecchia opera di Zingarelli (1796) sullo stesso soggetto drammatico, altri protestarono contro l’abuso della sostituzione e mostrarono di apprezzare la novità e il valore del finale originario. Fra questi ultimi rientra Romani, l’autore del testo poetico delle due opere, che innescò una violenta polemica contro la manomissione del libretto e della partitura dei Capuleti e Montecchi. Ci furono anche cantanti, come la Ronzi De Begnis, che andarono controcorrente ripristinando il finale di Bellini. Per tutto l’Ottocento, nondimeno, I Capuleti e i Montecchi furono eseguiti con il finale sostituito. Il giudizio estetico venne ribaltato solo nel Novecento, a partire da Pizzetti, che riconobbe al finale belliniano tutto il suo valore drammatico, e più ancora dalle rappresentazioni del centenario, nel 1935, che fecero da preludio al rientro definitivo in repertorio dell’opera belliniana.
Settore L-ART/07 - Musicologia e Storia della Musica
2004
Teatro Massimo Bellini
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