Il saggio è incentrato sulla figura di Mario Giacomo Levi (1878 - 1954) e ricostruisce il ruolo di primo piano che nel corso delle due guerre mondiali egli ebbe a supporto dell’industria bellica, nonostante una sostanziale contrarietà ad entrambi i conflitti, ma per ragioni - come si vedrà - molto differenti. Con la prima guerra mondiale Levi, che nel 1909 era divenuto professore ordinario di Chimica tecnologica alla Scuola per ingegneri di Palermo, venne chiamato a sostenere la produzione industriale a supporto del conflitto. Fu attivamente impegnato nel Comitato di mobilitazione industriale, nel Comitato per le industrie chimiche e contribuì alla realizzazione e al perfezionamento di esplosivi e aggressivi chimici. Ciò nonostante ebbe modo di esprimere pubblicamente contrarietà all’intervento italiano - si veda in particolare il tenore degli articoli di Levi e del suo maestro Raffaello Nasini apparsi sugli «Annali di chimica applicata» - da un lato per la sua vicinanza all’ambiente chimico della Technische Hochschule di Karlsruhe, dove si era specializzato, dall’altro in nome di un liberalismo fondato sulla coesistenza pacifica fra le nazioni europee e sulla preminenza della scienza sulle ragioni della politica. È noto che il fascismo sostenne in più modi la chimica italiana e che chimici importanti, come Giuseppe Bruni, Livio Cambi e Nicola Parravano, assunsero incarichi politici di alto livello in seno al governo fascista. Anche Mario Giacomo Levi espresse consenso e collaborazione al regime, da un lato sottoscrivendo il Manifesto degli intellettuali fascisti (1925) e iscrivendosi al Partito nazionale fascista (1926), e dall’altro impegnandosi a sostegno della politica autarchica, tanto da divenire il massimo esperto in Italia nel campo dei problemi dei combustibili. Nel 1921 si trasferì all’Università di Bologna, dove nel 1922 fondò la Scuola superiore di Chimica industriale e dove, nel 1926, divenne direttore della nuova Sezione speciale di studi sui combustibili istituita dal ministero dell’Economia nazionale. Il trasferimento di Mario Giacomo Levi al Politecnico di Milano avvenne nel giugno del 1927, quando, dopo la morte di Ettore Molinari, assunse la cattedra di Chimica tecnologica. Divenuto direttore dell'Istituto di Chimica industriale del Politecnico di Milano e della Sezione combustibili ad esso annessa, nel corso degli anni Trenta fece inoltre parte del Consiglio superiore delle miniere, del Consiglio nazionale per il controllo della combustione, della Commissione ministeriale per le sostanze radioattive e fu membro di diverse commissioni tecniche del Consiglio nazionale delle ricerche, tanto da essere insignito, nel 1935, del titolo di Grande ufficiale della Corona d’Italia. Gli incarichi tecnico-scientifici di Mario Giacomo Levi si interruppero bruscamente nel novembre del 1938, quando fu colpito dai «Provvedimenti per la difesa della razza italiana». L’allontanamento di Levi dal Politecnico fu accolto con amarezza dal direttore Gaudenzio Fantoli, che pubblicamente espresse solidarietà al collega espulso. Il 30 novembre il ministro dell’Educazione nazionale Giuseppe Bottai firmò il decreto con il quale Levi fu dispensato dal servizio a partire dal 14 dicembre successivo. La cessazione dei suoi numerosi incarichi significò per il regime una gravissima perdita in un settore strategico come quello dei combustibili (alla cattedra di Chimica industriale gli succedette, come noto, Giulio Natta). Pertanto, non senza pesanti contraddizioni, il ministero delle Corporazioni cercò di mantenere Levi a capo della Sezione combustibili del Politecnico di Milano, da un lato dispensandolo dalla direzione, e dall’altro confermandolo nelle sue funzioni e mantenendo l’assegno di direzione fino a tutto il 1941. Si giunse addirittura ad aumentare, date le necessità belliche, i contributi economici e l’autonomia amministrativa dell’ente. Il medesimo escamotage fu utilizzato dal ministero dei Lavori pubblici, che dopo il giugno 1940 rinnovò a Levi diversi incarichi di consulenza. Dopo l’8 settembre 1943 Levi si trasferì in Svizzera, dove, presso l’Università di Losanna, fu docente di Chimica industriale presso i campi universitari per fuoriusciti italiani. I corsi permettevano agli studenti universitari di proseguire la formazione accademica, ma anche di approcciarsi criticamente alla disciplina di studio e alla libera discussione: un fatto nuovo per dei giovani formatisi nelle scuole dell’Italia fascista. Per molti versi il supporto tecnico e scientifico che Levi aveva espresso al paese nel corso di tutta la sua carriera si indirizzava ora a quei giovani italiani che avrebbero contribuito alla ricostruzione e alla crescita del paese in un nuovo assetto democratico. Il tenore dei corsi (e delle dispense che si realizzarono) riflette questo anelito. Nel luglio del 1945 Mario Giacomo Levi venne reintegrato al Politecnico di Milano, dove, a fianco di Giulio Natta, riassunse la titolarità della cattedra di Chimica industriale e diresse l’Istituto di Chimica industriale. Proseguì la ricerca e l’insegnamento fino alla morte, avvenuta il 9 dicembre 1954.

Nonostante tutto a fianco della patria. La chimica italiana a servizio delle due guerre mondiali. Il caso di Mario Giacomo Levi / S. Morosini - In: Le Università e le guerre dal Medioevo alla Seconda guerra mondiale[s.l] : Clueb, 2011. - ISBN 978-88-491-3492-6.

Nonostante tutto a fianco della patria. La chimica italiana a servizio delle due guerre mondiali. Il caso di Mario Giacomo Levi

S. Morosini
2011

Abstract

Il saggio è incentrato sulla figura di Mario Giacomo Levi (1878 - 1954) e ricostruisce il ruolo di primo piano che nel corso delle due guerre mondiali egli ebbe a supporto dell’industria bellica, nonostante una sostanziale contrarietà ad entrambi i conflitti, ma per ragioni - come si vedrà - molto differenti. Con la prima guerra mondiale Levi, che nel 1909 era divenuto professore ordinario di Chimica tecnologica alla Scuola per ingegneri di Palermo, venne chiamato a sostenere la produzione industriale a supporto del conflitto. Fu attivamente impegnato nel Comitato di mobilitazione industriale, nel Comitato per le industrie chimiche e contribuì alla realizzazione e al perfezionamento di esplosivi e aggressivi chimici. Ciò nonostante ebbe modo di esprimere pubblicamente contrarietà all’intervento italiano - si veda in particolare il tenore degli articoli di Levi e del suo maestro Raffaello Nasini apparsi sugli «Annali di chimica applicata» - da un lato per la sua vicinanza all’ambiente chimico della Technische Hochschule di Karlsruhe, dove si era specializzato, dall’altro in nome di un liberalismo fondato sulla coesistenza pacifica fra le nazioni europee e sulla preminenza della scienza sulle ragioni della politica. È noto che il fascismo sostenne in più modi la chimica italiana e che chimici importanti, come Giuseppe Bruni, Livio Cambi e Nicola Parravano, assunsero incarichi politici di alto livello in seno al governo fascista. Anche Mario Giacomo Levi espresse consenso e collaborazione al regime, da un lato sottoscrivendo il Manifesto degli intellettuali fascisti (1925) e iscrivendosi al Partito nazionale fascista (1926), e dall’altro impegnandosi a sostegno della politica autarchica, tanto da divenire il massimo esperto in Italia nel campo dei problemi dei combustibili. Nel 1921 si trasferì all’Università di Bologna, dove nel 1922 fondò la Scuola superiore di Chimica industriale e dove, nel 1926, divenne direttore della nuova Sezione speciale di studi sui combustibili istituita dal ministero dell’Economia nazionale. Il trasferimento di Mario Giacomo Levi al Politecnico di Milano avvenne nel giugno del 1927, quando, dopo la morte di Ettore Molinari, assunse la cattedra di Chimica tecnologica. Divenuto direttore dell'Istituto di Chimica industriale del Politecnico di Milano e della Sezione combustibili ad esso annessa, nel corso degli anni Trenta fece inoltre parte del Consiglio superiore delle miniere, del Consiglio nazionale per il controllo della combustione, della Commissione ministeriale per le sostanze radioattive e fu membro di diverse commissioni tecniche del Consiglio nazionale delle ricerche, tanto da essere insignito, nel 1935, del titolo di Grande ufficiale della Corona d’Italia. Gli incarichi tecnico-scientifici di Mario Giacomo Levi si interruppero bruscamente nel novembre del 1938, quando fu colpito dai «Provvedimenti per la difesa della razza italiana». L’allontanamento di Levi dal Politecnico fu accolto con amarezza dal direttore Gaudenzio Fantoli, che pubblicamente espresse solidarietà al collega espulso. Il 30 novembre il ministro dell’Educazione nazionale Giuseppe Bottai firmò il decreto con il quale Levi fu dispensato dal servizio a partire dal 14 dicembre successivo. La cessazione dei suoi numerosi incarichi significò per il regime una gravissima perdita in un settore strategico come quello dei combustibili (alla cattedra di Chimica industriale gli succedette, come noto, Giulio Natta). Pertanto, non senza pesanti contraddizioni, il ministero delle Corporazioni cercò di mantenere Levi a capo della Sezione combustibili del Politecnico di Milano, da un lato dispensandolo dalla direzione, e dall’altro confermandolo nelle sue funzioni e mantenendo l’assegno di direzione fino a tutto il 1941. Si giunse addirittura ad aumentare, date le necessità belliche, i contributi economici e l’autonomia amministrativa dell’ente. Il medesimo escamotage fu utilizzato dal ministero dei Lavori pubblici, che dopo il giugno 1940 rinnovò a Levi diversi incarichi di consulenza. Dopo l’8 settembre 1943 Levi si trasferì in Svizzera, dove, presso l’Università di Losanna, fu docente di Chimica industriale presso i campi universitari per fuoriusciti italiani. I corsi permettevano agli studenti universitari di proseguire la formazione accademica, ma anche di approcciarsi criticamente alla disciplina di studio e alla libera discussione: un fatto nuovo per dei giovani formatisi nelle scuole dell’Italia fascista. Per molti versi il supporto tecnico e scientifico che Levi aveva espresso al paese nel corso di tutta la sua carriera si indirizzava ora a quei giovani italiani che avrebbero contribuito alla ricostruzione e alla crescita del paese in un nuovo assetto democratico. Il tenore dei corsi (e delle dispense che si realizzarono) riflette questo anelito. Nel luglio del 1945 Mario Giacomo Levi venne reintegrato al Politecnico di Milano, dove, a fianco di Giulio Natta, riassunse la titolarità della cattedra di Chimica industriale e diresse l’Istituto di Chimica industriale. Proseguì la ricerca e l’insegnamento fino alla morte, avvenuta il 9 dicembre 1954.
Settore M-STO/04 - Storia Contemporanea
2011
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