Storia, letteratura e immagini in Auerbach, Curtius e Bachelard A ridosso della fine della Seconda guerra mondiale escono tre opere capitali della riflessione letteraria e più generalmente estetica del Novecento: Mimesis (1946) di Auerbach, Letteratura eu-ropea e Medioevo latino di Curtius (1948) e l’ultima parte, in due volumi, della tetralogia di Bachelard sugli elementi, La terre et les rêveries de la volonté e La terre et les rêveries du repos (1948). Per quanto diversissime, sia per orientamento metodologico, sia per il genere testuale, queste opere sono accomunate da una profonda urgenza etica, che si concretizza in una preoccupazione lato sensu militante, in sintonia con la coeva nascita del sartriano engagement. Le analogie sono però anche meno generiche: queste opere sono infatti caratterizzate dall’incontro fra una marcatissima e del tutto esplicita intenzione totalizzante, che va di pari passo con una non meno esplicita preoccupazione metodologica, orientata verso una definizione dello statuto epistemologico delle scienze dell’uomo, mediante la costante problematizzazione del soggetto della conoscenza in genere, e di quello della conoscenza caratteristica delle humanae litterae in specie. Fra l’altro, anche Bachelard si occupa esplicitamente, per gran parte della sua tetralogia, non solo di “immagini”, ma proprio di letteratura: a partire dalla convinzione del rapporto di sostanziale omologia fra immagine e letteratura. L’attenzione privilegiata alla letteratura e alle sue forme fa tutt’uno con l’esigenza di costruire un sapere fondato, e per questo capace di sostenere adeguatamente le preoccupazioni etiche, così drammaticamente acuite dal momento storico. Sia Auerbach, sia Curtius, sia Bachelard mostrano una costante attenzione alla questione dello statuto epistemologico delle scienze storiche e più generalmente umane, che si preoccupano di rilegittimare: nella ferma convinzione, da tutti e tre condivisa, che si tratti di un sapere dotato, nella sua specificità, di un rigore che poco ha da invidiare a quello delle scienze cosiddette ‘dure’. Certo per Auerbach e Curtius appare centrale l’idea dell’Europa, intesa non tanto come entità geografica, ma come identità storico-culturale, che va difesa, al punto da prospettarsi come un autentico compito politico-morale, come una missione, che la catastrofe storica dell’Occidente, al termine di due guerre mondiali, rende ancora più necessaria. Questa missione deve concretizzarsi in uno studio rigorosamente formale delle immagini letterarie: dove la tensione di Curtius e Auerbach verso una storiografia capace di aderire alla materialità dei testi appare profondamente affine al costante, fermissimo invito di Bachelard ad aderire sempre alla materialità delle immagini, evitando ogni astratta generalizzazione. Quasi sorprendenti possono, a tale proposito, apparire le condivise convinzioni di Curtius e Bachelard sulla convergenza in corso fra le scienze storiche e le scienze della natura, dopo che la fisica quantistica ha generato una nuova pluralità prospettica. La costruzione di una morfologia storica, con l’obiettivo finale di una “fenomenologia della letteratura”, mette peraltro in luce una relazione profonda, organica, e dichiarata, fra la topica e l’archetipica, con esplicito riferimento a Jung. Auerbach, dal canto suo, insiste piuttosto sulla specificità delle strutture formali della letteratura, caratterizzate al tempo stesso come “forme morali ed estetiche”, che s’intrecciano costantemente con le strutture dell’esperienza reale. Le forme letterarie conservano sempre la loro specificità retorico-stilistica, ma sono anche parte integrante di visioni del mondo, di ideologie. La sede in cui Auerbach ha reso più esplicite le proprie posizioni in materia di teoria letteraria è l’Introduzione. Sullo scopo e il metodo a Lingua letteraria e pubblico nella tarda antichità latina e nel Medioevo: molto significativamente, Auerbach presenta i quattro saggi di cui si compone il libro come “quattro frammenti” che integrano Mimesis. Sottolineando la relatività della posizione storica dello studioso, Auerbach intende certo negare legittimità a ogni tipo di giudizio dogmatico e assoluto; d'altra parte, egli vuole allo stesso tempo limitare i rischi (a suo parere sopravvalutati) di un eccesso di relativismo del giudizio storico: proprio perché l’interpretazione mette radici in una determinata cultura, essa è inevitabilmente vincolata a categorie che sono sì parziali, ma che non possono essere puramente individuali, soggettive. Di fatto, come pensa anche Bachelard, per interpretare e giudicare non occorrono categorie meta-storiche, che semplicemente non esistono: ogni osservatore, ogni studioso si muove comunque a partire dalla storicità della propria posizione. A maggior ragione in questa prospettiva, come pure avviene in Curtius e in Bachelard, il metodo non può essere trascendente rispetto all'oggetto, anzi è tanto più efficace quanto più si lascia modellare dall'oggetto stesso. Tutti e tre i nostri autori nutrono una irriducibile diffidenza verso le metodologie sedicenti oggettive, e verso le epistemologie senza soggetto: comunque declinata, la loro epistemologia prevede sempre una interazione fondativa fra soggetto e oggetto, i quali nascono di necessità insieme. La questione strategica del soggetto è peraltro il luogo dove la dimensione gnoseologica / epistemologica e quella etica si incontrano, e in parte persino coincidono. Bachelard, in particolare, sottolinea un po’ dappertutto che le immagini mettono sempre in gioco un’attitudine valorizzante, che impone un confronto con l’etica, ma anche con la corporeità, con il sogno, e con la totalità dell’essere umano.

Storia, letteratura e immagini in Auerbach, Curtius e Bachelard / G. Turchetta (NUMERUS). - In: L' Europa vista da Istanbul : Mimesis (1946) e la ricostruzione intellettuale di Erich Auerbach / [a cura di] L. Curreri. - Milano : Sossella, 2014. - ISBN 9788897356059. - pp. 54-64

Storia, letteratura e immagini in Auerbach, Curtius e Bachelard

G. Turchetta
Primo
2014

Abstract

Storia, letteratura e immagini in Auerbach, Curtius e Bachelard A ridosso della fine della Seconda guerra mondiale escono tre opere capitali della riflessione letteraria e più generalmente estetica del Novecento: Mimesis (1946) di Auerbach, Letteratura eu-ropea e Medioevo latino di Curtius (1948) e l’ultima parte, in due volumi, della tetralogia di Bachelard sugli elementi, La terre et les rêveries de la volonté e La terre et les rêveries du repos (1948). Per quanto diversissime, sia per orientamento metodologico, sia per il genere testuale, queste opere sono accomunate da una profonda urgenza etica, che si concretizza in una preoccupazione lato sensu militante, in sintonia con la coeva nascita del sartriano engagement. Le analogie sono però anche meno generiche: queste opere sono infatti caratterizzate dall’incontro fra una marcatissima e del tutto esplicita intenzione totalizzante, che va di pari passo con una non meno esplicita preoccupazione metodologica, orientata verso una definizione dello statuto epistemologico delle scienze dell’uomo, mediante la costante problematizzazione del soggetto della conoscenza in genere, e di quello della conoscenza caratteristica delle humanae litterae in specie. Fra l’altro, anche Bachelard si occupa esplicitamente, per gran parte della sua tetralogia, non solo di “immagini”, ma proprio di letteratura: a partire dalla convinzione del rapporto di sostanziale omologia fra immagine e letteratura. L’attenzione privilegiata alla letteratura e alle sue forme fa tutt’uno con l’esigenza di costruire un sapere fondato, e per questo capace di sostenere adeguatamente le preoccupazioni etiche, così drammaticamente acuite dal momento storico. Sia Auerbach, sia Curtius, sia Bachelard mostrano una costante attenzione alla questione dello statuto epistemologico delle scienze storiche e più generalmente umane, che si preoccupano di rilegittimare: nella ferma convinzione, da tutti e tre condivisa, che si tratti di un sapere dotato, nella sua specificità, di un rigore che poco ha da invidiare a quello delle scienze cosiddette ‘dure’. Certo per Auerbach e Curtius appare centrale l’idea dell’Europa, intesa non tanto come entità geografica, ma come identità storico-culturale, che va difesa, al punto da prospettarsi come un autentico compito politico-morale, come una missione, che la catastrofe storica dell’Occidente, al termine di due guerre mondiali, rende ancora più necessaria. Questa missione deve concretizzarsi in uno studio rigorosamente formale delle immagini letterarie: dove la tensione di Curtius e Auerbach verso una storiografia capace di aderire alla materialità dei testi appare profondamente affine al costante, fermissimo invito di Bachelard ad aderire sempre alla materialità delle immagini, evitando ogni astratta generalizzazione. Quasi sorprendenti possono, a tale proposito, apparire le condivise convinzioni di Curtius e Bachelard sulla convergenza in corso fra le scienze storiche e le scienze della natura, dopo che la fisica quantistica ha generato una nuova pluralità prospettica. La costruzione di una morfologia storica, con l’obiettivo finale di una “fenomenologia della letteratura”, mette peraltro in luce una relazione profonda, organica, e dichiarata, fra la topica e l’archetipica, con esplicito riferimento a Jung. Auerbach, dal canto suo, insiste piuttosto sulla specificità delle strutture formali della letteratura, caratterizzate al tempo stesso come “forme morali ed estetiche”, che s’intrecciano costantemente con le strutture dell’esperienza reale. Le forme letterarie conservano sempre la loro specificità retorico-stilistica, ma sono anche parte integrante di visioni del mondo, di ideologie. La sede in cui Auerbach ha reso più esplicite le proprie posizioni in materia di teoria letteraria è l’Introduzione. Sullo scopo e il metodo a Lingua letteraria e pubblico nella tarda antichità latina e nel Medioevo: molto significativamente, Auerbach presenta i quattro saggi di cui si compone il libro come “quattro frammenti” che integrano Mimesis. Sottolineando la relatività della posizione storica dello studioso, Auerbach intende certo negare legittimità a ogni tipo di giudizio dogmatico e assoluto; d'altra parte, egli vuole allo stesso tempo limitare i rischi (a suo parere sopravvalutati) di un eccesso di relativismo del giudizio storico: proprio perché l’interpretazione mette radici in una determinata cultura, essa è inevitabilmente vincolata a categorie che sono sì parziali, ma che non possono essere puramente individuali, soggettive. Di fatto, come pensa anche Bachelard, per interpretare e giudicare non occorrono categorie meta-storiche, che semplicemente non esistono: ogni osservatore, ogni studioso si muove comunque a partire dalla storicità della propria posizione. A maggior ragione in questa prospettiva, come pure avviene in Curtius e in Bachelard, il metodo non può essere trascendente rispetto all'oggetto, anzi è tanto più efficace quanto più si lascia modellare dall'oggetto stesso. Tutti e tre i nostri autori nutrono una irriducibile diffidenza verso le metodologie sedicenti oggettive, e verso le epistemologie senza soggetto: comunque declinata, la loro epistemologia prevede sempre una interazione fondativa fra soggetto e oggetto, i quali nascono di necessità insieme. La questione strategica del soggetto è peraltro il luogo dove la dimensione gnoseologica / epistemologica e quella etica si incontrano, e in parte persino coincidono. Bachelard, in particolare, sottolinea un po’ dappertutto che le immagini mettono sempre in gioco un’attitudine valorizzante, che impone un confronto con l’etica, ma anche con la corporeità, con il sogno, e con la totalità dell’essere umano.
Auerbach; Curtius; Bachelard; Mimesis; critica letteraria; filologia romanza; letterature comparate; storia letteraria
Settore L-FIL-LET/11 - Letteratura Italiana Contemporanea
Settore L-FIL-LET/14 - Critica Letteraria e Letterature Comparate
Settore L-FIL-LET/10 - Letteratura Italiana
2014
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