L’atto di procurarsi dei tagli sulle braccia è da considerarsi una forma di autolesionismo o un tentativo di suicidio? Chi ha compiuto il gesto aveva intenzione di porre fine alla sua vita? Spesso è molto difficile dare una risposta. È anche vero che un gesto autolesionistico spesso può condurre a morte. In questo caso potremmo parlare di tentato suicidio o di atto autolesionistico finito male? È difficile porre una distinzione netta tra i due termini. Spesso non è chiaro se si tratta di un tentato suicidio o di un gesto volto alla richiesta di vicinanza o di aiuto. Generalmente l’atto autolesivo più comune è il taglio, ossia il diretto ferimento di un tessuto del corpo. Spesso però sono da ricondursi a autolesionismo anche altri comportamenti quali il bruciarsi, l’infliggersi graffi, colpire una o più parti del corpo, tirarsi i capelli e l’ingerire sostanze tossiche, agenti chimici, farmaci o oggetti. Come già espresso nella definizione iniziale il fine ultimo dell’autolesionismo non è il suicidio, ma il rapporto tra i due comportamenti è molto complesso. Spesso infatti l’ideazione autolesiva e la sua messa in opera può essere pericolosa per la vita. Si è visto che nei pazienti con ideazione autolesiva, ospedalizzati e non, vi è comunque un più alto rischio di suicidio (40-60% dei suicidi, Hawton K, 2003). Bisogna però mantenere sempre ben presente che collegare il pz con ideazione autolesiva ad un potenziale suicida è nella maggior parte dei casi inesatto. Nel DSM-IV-TR, l’autolesionismo viene indicato come un sintomo del Disturbo di Personalità Borderline. Inoltre si può manifestare in soggetti che soffrono di depressione, disturbi d’ansia, abuso di sostanze, disturbo post-traumatico da stress, schizofrenia e disturbi alimentari. La fascia di età più colpita sembra essere quella compresa tra i 12 e i 24 anni (National Clinical Practice Guideline number 16: Self-Harm, The British Psycological Society, 2009), ma si può verificare in qualunque fascia di età, soprattutto in soggetti anziani o portatori di gravi malattie croniche invalidanti, in questo caso l’ideazione autolesiva assume un particolare significato di gravità (Pierce, 1987). In genere si è portati a pensare che l’ideazione autolesiva e il gesto che ne può scaturire significhi ricerca di attenzioni. Questo non è completamente esatto poiché in molti casi i pz sono consapevoli delle loro ferite e cicatrici e ciò provoca un senso di vergogna e di colpa che porta loro a fare di tutto per nascondere le loro ferite e i segni. Poiché il 70% (Greydanus, 2009) degli atti autolesivi si presentano come tagli sulla superficie corporea, le aree interessate sono quelle che si possono nascondere più facilmente e/o non visibili agli altri (Hodgson, 2004). Come già menzionato il pz che pratica l’autolesionismo non lo fa di solito per porre fine alla propria vita; in genere è un modo per alleviare un disagio o un dolore emotivo, diventa quindi un modo per comunicare il proprio disagio all’esterno (Philip Barcker, 2010). Lo Studio Britannico ONS ha trovato che solo due sono i motivi per cui si pratica l’autolesionismo: • rabbia verso se stessi • ricerca di attenta vicinanza. Per alcune persone danneggiare se stessi può essere un modo per ricevere maggiore dedizione dagli altri o di chiedere in modo diretto aiuto, ma può essere anche un modo per manipolare gli altri. Per alcuni pazienti diventa un modo per scappare, dissociarsi, separando la mente dai sentimenti di angoscia che provano. In questo modo si fa credere alla mente che la sofferenza che si percepisce è causata dall’autolesionismo e non dai problemi reali preesistenti. Il dolore fisico diventa quindi un modo per distrarsi da quello emotivo. Diciamo che dietro l’ideazione e il gesto in se c’è il bisogno di fermare il dolore emotivo, una sensazione di inquietudine o uno stato di agitazione interiore.

Il paziente con ideazione autolesiva / E.P. Nocito, C. Bressi. ((Intervento presentato al convegno Richieste psichiatriche nell'ospedale generale tenutosi a Milano nel 2013.

Il paziente con ideazione autolesiva

C. Bressi
2013

Abstract

L’atto di procurarsi dei tagli sulle braccia è da considerarsi una forma di autolesionismo o un tentativo di suicidio? Chi ha compiuto il gesto aveva intenzione di porre fine alla sua vita? Spesso è molto difficile dare una risposta. È anche vero che un gesto autolesionistico spesso può condurre a morte. In questo caso potremmo parlare di tentato suicidio o di atto autolesionistico finito male? È difficile porre una distinzione netta tra i due termini. Spesso non è chiaro se si tratta di un tentato suicidio o di un gesto volto alla richiesta di vicinanza o di aiuto. Generalmente l’atto autolesivo più comune è il taglio, ossia il diretto ferimento di un tessuto del corpo. Spesso però sono da ricondursi a autolesionismo anche altri comportamenti quali il bruciarsi, l’infliggersi graffi, colpire una o più parti del corpo, tirarsi i capelli e l’ingerire sostanze tossiche, agenti chimici, farmaci o oggetti. Come già espresso nella definizione iniziale il fine ultimo dell’autolesionismo non è il suicidio, ma il rapporto tra i due comportamenti è molto complesso. Spesso infatti l’ideazione autolesiva e la sua messa in opera può essere pericolosa per la vita. Si è visto che nei pazienti con ideazione autolesiva, ospedalizzati e non, vi è comunque un più alto rischio di suicidio (40-60% dei suicidi, Hawton K, 2003). Bisogna però mantenere sempre ben presente che collegare il pz con ideazione autolesiva ad un potenziale suicida è nella maggior parte dei casi inesatto. Nel DSM-IV-TR, l’autolesionismo viene indicato come un sintomo del Disturbo di Personalità Borderline. Inoltre si può manifestare in soggetti che soffrono di depressione, disturbi d’ansia, abuso di sostanze, disturbo post-traumatico da stress, schizofrenia e disturbi alimentari. La fascia di età più colpita sembra essere quella compresa tra i 12 e i 24 anni (National Clinical Practice Guideline number 16: Self-Harm, The British Psycological Society, 2009), ma si può verificare in qualunque fascia di età, soprattutto in soggetti anziani o portatori di gravi malattie croniche invalidanti, in questo caso l’ideazione autolesiva assume un particolare significato di gravità (Pierce, 1987). In genere si è portati a pensare che l’ideazione autolesiva e il gesto che ne può scaturire significhi ricerca di attenzioni. Questo non è completamente esatto poiché in molti casi i pz sono consapevoli delle loro ferite e cicatrici e ciò provoca un senso di vergogna e di colpa che porta loro a fare di tutto per nascondere le loro ferite e i segni. Poiché il 70% (Greydanus, 2009) degli atti autolesivi si presentano come tagli sulla superficie corporea, le aree interessate sono quelle che si possono nascondere più facilmente e/o non visibili agli altri (Hodgson, 2004). Come già menzionato il pz che pratica l’autolesionismo non lo fa di solito per porre fine alla propria vita; in genere è un modo per alleviare un disagio o un dolore emotivo, diventa quindi un modo per comunicare il proprio disagio all’esterno (Philip Barcker, 2010). Lo Studio Britannico ONS ha trovato che solo due sono i motivi per cui si pratica l’autolesionismo: • rabbia verso se stessi • ricerca di attenta vicinanza. Per alcune persone danneggiare se stessi può essere un modo per ricevere maggiore dedizione dagli altri o di chiedere in modo diretto aiuto, ma può essere anche un modo per manipolare gli altri. Per alcuni pazienti diventa un modo per scappare, dissociarsi, separando la mente dai sentimenti di angoscia che provano. In questo modo si fa credere alla mente che la sofferenza che si percepisce è causata dall’autolesionismo e non dai problemi reali preesistenti. Il dolore fisico diventa quindi un modo per distrarsi da quello emotivo. Diciamo che dietro l’ideazione e il gesto in se c’è il bisogno di fermare il dolore emotivo, una sensazione di inquietudine o uno stato di agitazione interiore.
No
Italian
21-giu-2013
Settore MED/25 - Psichiatria
Presentazione
Intervento richiesto
Nessuno
Ricerca di base
Pubblicazione scientifica
Richieste psichiatriche nell'ospedale generale
Milano
2013
Convegno nazionale
E.P. Nocito, C. Bressi
Il paziente con ideazione autolesiva / E.P. Nocito, C. Bressi. ((Intervento presentato al convegno Richieste psichiatriche nell'ospedale generale tenutosi a Milano nel 2013.
Prodotti della ricerca::14 - Intervento a convegno non pubblicato
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Conference Object
2
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/2434/238484
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