Il sistema comunicativo dell’industria casearia viene preso in esame alla luce del punto di svolta costituito dall’affermazione, nel linguaggio della comunicazione commerciale del prodotto alimentare, del paradigma del Mulino Bianco che segna il passaggio ad una società post-rurale. Alla luce di questo modello di simbolizzazione del cibo e della ruralità, vengono valutati retrospettivamente i materiali semantici e gli stereotipi precedentemente selezionati dall’industria casearia. L’analisi si focalizza su alcuni cliché: ‘la pastorella’, ‘il pascolo fiorito’, il ‘pastore barbuto’ rintracciando l’origine di questi motivi in un immaginario influenzato da modalità di rappresentazione pittorica e dalla comunicazione turistica e prendendone in esame il valore simbolico. Sono analizzati anche i ‘calchi’ realizzati in ambito caseario direttamente sul modello del Mulino in ambito caseario e le tendenze più recenti di strategie iconografiche (e più in generale comunicative) che, superando i modelli più stereotipati, tendono a presentarsi quali ‘autentiche’ e ‘filologiche’ espressioni di tradizioni ri-localizzate e contestualizzate. Queste strategie più recenti, che mantengono comunque fermo il riferimento al paradigma del Mulino Bianco quale idillio rurale commodificato, si devono però confrontare con le contro- strategie simboliche elaborate dai produttori rurali oggi consapevoli della natura del conflitto che li oppone alla pretesa di monopolio di legittimazione dell’industria. Quest’ultima vorrebbe incorporare (senza residui) la memoria, i simboli, l’immaginario legati alle pratiche agroalimentari tradizionali accreditandosi quale erede unica e legittima di una tradizione venerabile ma morta, impossibile da rivitalizzare per ragioni economiche cogenti, ma della quale è possibile far sopravvivere una pretesa ‘essenza’ nel contesto industriale di tecnologia, saperi esperti e reti globali. A tal fine l’industria, oltre ad accaparrarsi un patrimonio lessicale e iconografico appropriato al fine di rendere credibile un legame con la tradizione elabora anche una vera e propria strategia di brand heritage rispolverando genealogie familiari e retrodatando le origini aziendali. Queste nuove strategie si intrecciano con il modello dell’imprenditore-testimonial e altre tendenze della comunicazione, anche se il vecchio armamentario della mimesi del rurale non viene dismesso. Ciò in forza della sua presa emotiva e del richiamo di stereotipi continuamente rafforzati nella loro presa di massa passando attraverso forme di espressività legate ai nuovi media: dal romanzo al cinema e al cartoon o videogioco, della pittura alla riproduzione seriale di incisioni e quindi alla cartolina postale e alle immagini digitali. Qui si crea, però, una incrinatura perché l’appropriazione da parte dell’industria, in qualità di icone, di materiali e repertori del patrimonio simbolico rurali è contestata dai produttori rurali per i quali esse sono simboli viventi, strumenti di lavoro, emblemi identitari (basti pensare all’uso di locali tradizionali per la stagionatura o degli attrezzi di legno per la lavorazione del latte). I ‘trogloditi’ legati a ‘sopravvivenze culturali’ si legano con l’avanguardia dei neo-rurali (produttivi), dei neo-montanari promuovendo insieme il ritorno a pratiche tradizionali considerate più economiche, più ‘autonome’ e più sostenibili dal punto di vista ambientale (oltre che tali da assicurare una superiore qualità organolettica ai prodotti). I ‘burberi pastori’, i ‘nonni’ e le loro nipotine ‘pastorelle’ diventano icone scomode se oltre alla versione edulcorata delle immagini pubblicitarie inaspettatamente appaiono in carne ed ossa, nel ruolo di ribelli, sia pure pacifici, al world food system.

Allegre pastorelle, pascoli fioriti e barbuti casari : L’universo simbolico della comunicazione commerciale lattiero-casearia tra idillio e conflitto sociale / M. Corti - In: Latte & linguaggio / [a cura di] L. Ballerini, P. La Torre. - Ravenna : Danilo Lontanari, 2014 Mar. - ISBN 978-88-98120-34-5. - pp. 70-103

Allegre pastorelle, pascoli fioriti e barbuti casari : L’universo simbolico della comunicazione commerciale lattiero-casearia tra idillio e conflitto sociale

M. Corti
Primo
2014

Abstract

Il sistema comunicativo dell’industria casearia viene preso in esame alla luce del punto di svolta costituito dall’affermazione, nel linguaggio della comunicazione commerciale del prodotto alimentare, del paradigma del Mulino Bianco che segna il passaggio ad una società post-rurale. Alla luce di questo modello di simbolizzazione del cibo e della ruralità, vengono valutati retrospettivamente i materiali semantici e gli stereotipi precedentemente selezionati dall’industria casearia. L’analisi si focalizza su alcuni cliché: ‘la pastorella’, ‘il pascolo fiorito’, il ‘pastore barbuto’ rintracciando l’origine di questi motivi in un immaginario influenzato da modalità di rappresentazione pittorica e dalla comunicazione turistica e prendendone in esame il valore simbolico. Sono analizzati anche i ‘calchi’ realizzati in ambito caseario direttamente sul modello del Mulino in ambito caseario e le tendenze più recenti di strategie iconografiche (e più in generale comunicative) che, superando i modelli più stereotipati, tendono a presentarsi quali ‘autentiche’ e ‘filologiche’ espressioni di tradizioni ri-localizzate e contestualizzate. Queste strategie più recenti, che mantengono comunque fermo il riferimento al paradigma del Mulino Bianco quale idillio rurale commodificato, si devono però confrontare con le contro- strategie simboliche elaborate dai produttori rurali oggi consapevoli della natura del conflitto che li oppone alla pretesa di monopolio di legittimazione dell’industria. Quest’ultima vorrebbe incorporare (senza residui) la memoria, i simboli, l’immaginario legati alle pratiche agroalimentari tradizionali accreditandosi quale erede unica e legittima di una tradizione venerabile ma morta, impossibile da rivitalizzare per ragioni economiche cogenti, ma della quale è possibile far sopravvivere una pretesa ‘essenza’ nel contesto industriale di tecnologia, saperi esperti e reti globali. A tal fine l’industria, oltre ad accaparrarsi un patrimonio lessicale e iconografico appropriato al fine di rendere credibile un legame con la tradizione elabora anche una vera e propria strategia di brand heritage rispolverando genealogie familiari e retrodatando le origini aziendali. Queste nuove strategie si intrecciano con il modello dell’imprenditore-testimonial e altre tendenze della comunicazione, anche se il vecchio armamentario della mimesi del rurale non viene dismesso. Ciò in forza della sua presa emotiva e del richiamo di stereotipi continuamente rafforzati nella loro presa di massa passando attraverso forme di espressività legate ai nuovi media: dal romanzo al cinema e al cartoon o videogioco, della pittura alla riproduzione seriale di incisioni e quindi alla cartolina postale e alle immagini digitali. Qui si crea, però, una incrinatura perché l’appropriazione da parte dell’industria, in qualità di icone, di materiali e repertori del patrimonio simbolico rurali è contestata dai produttori rurali per i quali esse sono simboli viventi, strumenti di lavoro, emblemi identitari (basti pensare all’uso di locali tradizionali per la stagionatura o degli attrezzi di legno per la lavorazione del latte). I ‘trogloditi’ legati a ‘sopravvivenze culturali’ si legano con l’avanguardia dei neo-rurali (produttivi), dei neo-montanari promuovendo insieme il ritorno a pratiche tradizionali considerate più economiche, più ‘autonome’ e più sostenibili dal punto di vista ambientale (oltre che tali da assicurare una superiore qualità organolettica ai prodotti). I ‘burberi pastori’, i ‘nonni’ e le loro nipotine ‘pastorelle’ diventano icone scomode se oltre alla versione edulcorata delle immagini pubblicitarie inaspettatamente appaiono in carne ed ossa, nel ruolo di ribelli, sia pure pacifici, al world food system.
Industria lattiera ; Mulino Bianco ; immaginario alpestre ; stereotipi pubblicitari
Settore AGR/19 - Zootecnica Speciale
mar-2014
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