Con gli accordi aziendali conclusi dal gruppo Fiat nel 2010 e 2011, la questione inerente la validità e l’efficacia delle clausole di tregua sindacale è tornata nuovamente ad imporsi all’attenzione degli interpeti, suscitando in dottrina un acceso dibattito che nei toni e nei contenuti ripropone in buona misura le stesse posizioni che hanno alimentato in passato il confronto sul medesimo tema. Volgendo lo sguardo alla evoluzione del sistema di relazioni industriali è facile infatti accorgersi come tali clausole, pur nella diversità dei contenuti e delle formulazioni di volta in volta adottati, non siano affatto una novità per il nostro ordinamento sindacale che anzi è stato periodicamente segnato dalla pattuizione a livello collettivo di clausole limitative dello sciopero. La prima formulazione di queste clausole risale addirittura all’accordo Itala-Fiom del 1906 e analoghi impegni si rinvengono negli accordi interconfederali degli anni ’50 del secolo scorso in materia di licenziamenti individuali e di commissioni interne, nell’accordo Intersind-Asap del 1962 che ha dato avvio alla stagione della c.d. contrattazione articolata e ancora nell’accordo triangolare sul costo del lavoro del 22 gennaio 1983 e nel Protocollo Iri dell’anno successivo, fino ad arrivare all’accordo triangolare del 3 luglio del 1993, nel quale le clausole di tregua sono state opportunamente presidiate da un particolare meccanismo sanzionatorio destinato ad operare direttamente a livello individuale. E analoghe clausole si ritrovano infine nell’Accordo quadro sulla riforma degli assetti contrattuali del 22 gennaio 2009, nell’accordo interconfederale del 28 giugno 2011 e, seppure in modo meno esplicito, nel recente Protocollo d’intesa sulla rappresentanza e rappresentatività del 31 maggio 2013. Dalla ricorrente affermazione di queste clausole non è allora difficile ricavare l’impressione che il conflitto non sia affatto un dato strutturale e immanente del nostro sistema di relazioni industriali, risultando anzi storicamente prevalente l’esigenza – tanto da parte delle organizzazioni di rappresentanza dei lavoratori, quanto di quelle dei datori di lavoro – di incanalare il confronto all’interno di soluzioni e procedure alternative all’azione diretta. Il che se, da un lato, non risolve le questioni riguardanti l’efficacia e la validità delle clausole di tregua, dall’altro, però, aiuta certamente a comprendere come l’istituzionalizzazione del conflitto abbia costituito il vero tratto caratteristico del nostro sistema contrattuale. I principali ostacoli che hanno sinora impedito alla dottrina lavoristica di riconoscere piena validità alle clausole di tregua sindacale sono costituiti, sul piano della legittimità, dalla loro presunta contrarietà rispetto all’art. 40 Cost., mentre su quello della efficacia dall’asserita incompatibilità di qualunque limitazione collettiva del diritto di sciopero con il principio della sua titolarità individuale. Se dal primo versante possono ritenersi ormai superate le opinioni contrarie a qualunque limitazione convenzionale dello sciopero, essendo prevalsa l’idea che la riserva di legge contenuta nell’art. 40 Cost. non sia affatto preclusiva di un intervento regolativo dell’autonomia collettiva, con riguardo al secondo problema, invece, la posizione tuttora nettamente prevalente in dottrina è quella che riconosce alle clausole in parola un’efficacia diretta vincolante nei soli confronti delle parti collettive stipulanti, escludendo viceversa che possano incidere su un diritto a titolarità individuale come lo sciopero. Nei confronti dei singoli lavoratori quelle clausole potranno semmai spiegare una limitata efficacia a livello endoassociativo, ma non potranno giustificare alcuna responsabilità disciplinare del prestatore nei confronti del datore di lavoro. Non sono mancati in verità alcuni recenti tentativi di recuperare le risalenti costruzioni dello sciopero come diritto a titolarità collettiva o a duplice titolarità collettiva e individuale, ma si tratta di letture che, per quanto suggestive, sono rimaste finora in posizione nettamente minoritaria rispetto alla diffusa qualificazione dello sciopero come diritto a titolarità esclusivamente individuale. Sennonché, la prevalente ricostruzione dello sciopero come diritto individuale pone il rilevante problema di conciliare l’inefficacia delle clausole di tregua nei confronti dei lavoratori con la spiccata propensione del nostro sistema contrattuale ad utilizzare la regolamentazione dello sciopero come terreno di negoziazione tra le parti. Il rischio che sembra profilarsi, in definitiva, è che la strenua difesa della titolarità individuale del diritto di sciopero possa privare il sindacato di un formidabile strumento di trattativa nei confronti della controparte datoriale a tutto discapito di quelle stesse posizioni individuali che si intende invece tutelare. Alla luce di tali questioni il paper qui proposto intende anzitutto verificare se l’affermata titolarità individuale del diritto di sciopero sia davvero di ostacolo all’efficacia vincolante delle clausole di tregua nei confronti dei singoli lavoratori. La questione pone ovviamente numerosi e delicati interrogativi la cui soluzione richiede in primo luogo che sia accertata l’effettiva attendibilità della distinzione tra parte normativa e obbligatoria del contratto collettivo, dovendosi appurare in particolare se quella ripartizione trovi effettivo riscontro nella prassi contrattuale o non sia piuttosto superata dalle concrete dinamiche delle relazioni sindacali. Nella stessa prospettiva occorre altresì chiedersi se il godimento da parte del lavoratore dei trattamenti previsti dal contratto collettivo possa davvero accompagnarsi alla contestuale inosservanza delle ulteriori clausole che con quei trattamenti si pongono in rapporto di diretta corrispettività oppure se l’accettazione esplicita o implicita di quei trattamenti imponga in ragione della loro sinallagmaticità la necessaria osservanza delle limitazioni convenzionali dello sciopero. È soltanto in questa seconda ipotesi che ci si potrà allora interrogare sulla efficacia vincolante delle clausole di tregua nei confronti dei lavoratori iscritti ad associazioni diverse da quelle stipulanti nonché sulle conseguenze che possono derivare dalla loro eventuale violazione nell’ambito del rapporto individuale di lavoro.

Le clausole di tregua sindacale tra modello conflittuale e collaborativo / G. Ludovico. ((Intervento presentato al convegno Consenso, dissenso, rappresentanza nel governo delle relazioni industriali tenutosi a Venezia nel 2013.

Le clausole di tregua sindacale tra modello conflittuale e collaborativo

G. Ludovico
2013

Abstract

Con gli accordi aziendali conclusi dal gruppo Fiat nel 2010 e 2011, la questione inerente la validità e l’efficacia delle clausole di tregua sindacale è tornata nuovamente ad imporsi all’attenzione degli interpeti, suscitando in dottrina un acceso dibattito che nei toni e nei contenuti ripropone in buona misura le stesse posizioni che hanno alimentato in passato il confronto sul medesimo tema. Volgendo lo sguardo alla evoluzione del sistema di relazioni industriali è facile infatti accorgersi come tali clausole, pur nella diversità dei contenuti e delle formulazioni di volta in volta adottati, non siano affatto una novità per il nostro ordinamento sindacale che anzi è stato periodicamente segnato dalla pattuizione a livello collettivo di clausole limitative dello sciopero. La prima formulazione di queste clausole risale addirittura all’accordo Itala-Fiom del 1906 e analoghi impegni si rinvengono negli accordi interconfederali degli anni ’50 del secolo scorso in materia di licenziamenti individuali e di commissioni interne, nell’accordo Intersind-Asap del 1962 che ha dato avvio alla stagione della c.d. contrattazione articolata e ancora nell’accordo triangolare sul costo del lavoro del 22 gennaio 1983 e nel Protocollo Iri dell’anno successivo, fino ad arrivare all’accordo triangolare del 3 luglio del 1993, nel quale le clausole di tregua sono state opportunamente presidiate da un particolare meccanismo sanzionatorio destinato ad operare direttamente a livello individuale. E analoghe clausole si ritrovano infine nell’Accordo quadro sulla riforma degli assetti contrattuali del 22 gennaio 2009, nell’accordo interconfederale del 28 giugno 2011 e, seppure in modo meno esplicito, nel recente Protocollo d’intesa sulla rappresentanza e rappresentatività del 31 maggio 2013. Dalla ricorrente affermazione di queste clausole non è allora difficile ricavare l’impressione che il conflitto non sia affatto un dato strutturale e immanente del nostro sistema di relazioni industriali, risultando anzi storicamente prevalente l’esigenza – tanto da parte delle organizzazioni di rappresentanza dei lavoratori, quanto di quelle dei datori di lavoro – di incanalare il confronto all’interno di soluzioni e procedure alternative all’azione diretta. Il che se, da un lato, non risolve le questioni riguardanti l’efficacia e la validità delle clausole di tregua, dall’altro, però, aiuta certamente a comprendere come l’istituzionalizzazione del conflitto abbia costituito il vero tratto caratteristico del nostro sistema contrattuale. I principali ostacoli che hanno sinora impedito alla dottrina lavoristica di riconoscere piena validità alle clausole di tregua sindacale sono costituiti, sul piano della legittimità, dalla loro presunta contrarietà rispetto all’art. 40 Cost., mentre su quello della efficacia dall’asserita incompatibilità di qualunque limitazione collettiva del diritto di sciopero con il principio della sua titolarità individuale. Se dal primo versante possono ritenersi ormai superate le opinioni contrarie a qualunque limitazione convenzionale dello sciopero, essendo prevalsa l’idea che la riserva di legge contenuta nell’art. 40 Cost. non sia affatto preclusiva di un intervento regolativo dell’autonomia collettiva, con riguardo al secondo problema, invece, la posizione tuttora nettamente prevalente in dottrina è quella che riconosce alle clausole in parola un’efficacia diretta vincolante nei soli confronti delle parti collettive stipulanti, escludendo viceversa che possano incidere su un diritto a titolarità individuale come lo sciopero. Nei confronti dei singoli lavoratori quelle clausole potranno semmai spiegare una limitata efficacia a livello endoassociativo, ma non potranno giustificare alcuna responsabilità disciplinare del prestatore nei confronti del datore di lavoro. Non sono mancati in verità alcuni recenti tentativi di recuperare le risalenti costruzioni dello sciopero come diritto a titolarità collettiva o a duplice titolarità collettiva e individuale, ma si tratta di letture che, per quanto suggestive, sono rimaste finora in posizione nettamente minoritaria rispetto alla diffusa qualificazione dello sciopero come diritto a titolarità esclusivamente individuale. Sennonché, la prevalente ricostruzione dello sciopero come diritto individuale pone il rilevante problema di conciliare l’inefficacia delle clausole di tregua nei confronti dei lavoratori con la spiccata propensione del nostro sistema contrattuale ad utilizzare la regolamentazione dello sciopero come terreno di negoziazione tra le parti. Il rischio che sembra profilarsi, in definitiva, è che la strenua difesa della titolarità individuale del diritto di sciopero possa privare il sindacato di un formidabile strumento di trattativa nei confronti della controparte datoriale a tutto discapito di quelle stesse posizioni individuali che si intende invece tutelare. Alla luce di tali questioni il paper qui proposto intende anzitutto verificare se l’affermata titolarità individuale del diritto di sciopero sia davvero di ostacolo all’efficacia vincolante delle clausole di tregua nei confronti dei singoli lavoratori. La questione pone ovviamente numerosi e delicati interrogativi la cui soluzione richiede in primo luogo che sia accertata l’effettiva attendibilità della distinzione tra parte normativa e obbligatoria del contratto collettivo, dovendosi appurare in particolare se quella ripartizione trovi effettivo riscontro nella prassi contrattuale o non sia piuttosto superata dalle concrete dinamiche delle relazioni sindacali. Nella stessa prospettiva occorre altresì chiedersi se il godimento da parte del lavoratore dei trattamenti previsti dal contratto collettivo possa davvero accompagnarsi alla contestuale inosservanza delle ulteriori clausole che con quei trattamenti si pongono in rapporto di diretta corrispettività oppure se l’accettazione esplicita o implicita di quei trattamenti imponga in ragione della loro sinallagmaticità la necessaria osservanza delle limitazioni convenzionali dello sciopero. È soltanto in questa seconda ipotesi che ci si potrà allora interrogare sulla efficacia vincolante delle clausole di tregua nei confronti dei lavoratori iscritti ad associazioni diverse da quelle stipulanti nonché sulle conseguenze che possono derivare dalla loro eventuale violazione nell’ambito del rapporto individuale di lavoro.
30-set-2013
Settore IUS/07 - Diritto del Lavoro
Le clausole di tregua sindacale tra modello conflittuale e collaborativo / G. Ludovico. ((Intervento presentato al convegno Consenso, dissenso, rappresentanza nel governo delle relazioni industriali tenutosi a Venezia nel 2013.
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