Un effetto secondario dell’allontanamento dal modello standard di occupazione sta non solo nella perdita per i giovani di protezioni sociali di diritto, ma anche nella crisi di fatto di diritti ormai dati per acquisiti quali quelli di auto-organizzazione. L’individualizzazione dei contratti non favorisce la costruzione di un rapporto tra giovani e rappresentanze di lavoro, che nei decenni precedenti hanno costituito la base per contenuti e pratiche identitarie e partecipative non solo in ambito lavorativo ma nella società e nella politica in senso lato. Il problema va dunque ben oltre quello della rappresentatività delle parti sociali nell’economia post-fordista, dal momento che la crisi della rappresentanza del lavoro postindustriale, acuita dalla precarizzazione dei contratti rivolti ai giovani, si riflette sui canali di socializzazione e partecipazione politica: l’esclusione dalle sedi della rappresentanza non fa che rafforzare spinte individualistiche, che non si traducono in azione collettiva. I contratti hanno carattere individuale, le modalità di erogazione del lavoro rendono difficile la creazione di solidarietà con la comunità dei pari, manca spesso un luogo di lavoro. A ciò si aggiunga che la situazione lavorativa trasforma i giovani in soggetti marginali, e dunque, sulla scia di Milbrath, marginali anche riguardo alla partecipazione politica. Ciò prefigura una perdita della capacità di voice, essenziale seguendo Hirschman per avere buone policies, per le nuove generazioni. Le riforme si trovano quindi ad essere basate sulla sostanziale loyalty (usando sempre Hirschman) delle generazioni precedenti sindacalizzate e stabili, e sulla sempre più frequente exit delle categorie giovanili marginali sia dal mondo del lavoro (NEET) sia dall’interesse per la partecipazione. In questo modo le riforme fanno a meno della voice dei diretti interessati, l’unica a possedere in potenza la giusta carica critica in grado di migliorare qualitativamente il policy-making. Si arriva così alla situazione in cui a decidere del loro futuro non sono le nuove generazioni, ma quelle categorie che non risentiranno delle scelte, essendo già incluse tanto nel mercato del lavoro quanto nei processi decisionali formali o informali. L’analisi parte dalla constatazione della relazione fra età e marginalità economica, cui segue la messa in evidenza che quest’ultima influenza per quasi il 35% la sfiducia verso la partecipazione democratica (regressione logistica multivariata su dati ITANES). A questa prima analisi quantitativa segue però un approfondimento qualitativo che nasce dalla considerazione di quei gruppi di giovani che, inseriti in vere e proprie carriere precarie (Barbieri, Sherer 2007) di lunga durata (evento negativo che comporta tuttavia l’esternalità positiva della continuità delle interazioni), si presentano come caso di successo di aggregazione e rappresentanza autonoma. E, a monte, di creazione di un senso del Noi come gruppo determinato, costruendo un rapporto politico organico e continuativo che ha consentito a questi lavoratori un protagonismo e una partecipazione attiva alle politiche che li riguardano. Il paper indaga cosa e quanto di nuovo si trovi in tale protagonismo rispetto agli stili d’azione caratteristici delle fasi precedenti. L’attenzione è rivolta alla natura delle richieste, ai riflessi che questa ha sulla formazione delle identità collettive, sulla scelta degli schemi d’azione, e sull’esplorazione di vie alternative oppure classiche. In particolare l’analisi si concentra su ciò che sta in qualche modo a monte della stessa partecipazione (definizione del problema) e ai suoi esiti processuali in termini di creazione di una condivisa identità collettiva (di tipo nuovo o classico? ristretta all’ambito di lavoro o allargata? di classe o meno?), e in termini di risposte al problema (tradizionali/innovative? entro i canali di rappresentanza classici/in forma autonoma?). A tal scopo si svolge un’analisi testuale dei claims prodotti dagli attori. Utilizzando la terminologia della frame analysis si ricostruisce: la componente diagnostica delle argomentazioni (definizione del problema e costruzioni identitarie che ne derivano); quella prognostica (soluzioni prospettate); quella motivazionale (spinta all’azione collettiva). Nell’ottica di individuare possibili percorsi di affiliazione a partire dai singoli gruppi considerati, si analizza poi il processo di frame extension, allargamento a altre dispute che costituisca una sorta di metaframe slegato dal caso particolare, con le conseguenti ripercussioni in termini di azione collettiva ipotizzando che «più grande è la gamma dei problemi coperti da un frame, più grande è la gamma di gruppi che possono riferirsi a quel frame e più grande è la capacità di mobilitazione» . Un’analisi di questo tipo permette di guardare al problema attraverso le cornici cognitive degli attori stessi, compresi quelli non tradizionalmente associati ai conflitti di lavoro, per controllare quanto esse si discostino da quelle dei sindacati, e come ciò possa avere ripercussioni sulle scelte più genericamente politiche. Con questo obiettivo sono considerati in forma comparata attori differenti, allo scopo di coprire un ventaglio articolato di fenomeni. Anzitutto si analizzano i testi dei blog relativi a due casi che sin dall’obiettivo dichiarato si pongono di fondare una cittadinanza non più basata sul lavoro. Si tratta delle azioni in favore di un reddito minimo garantito o di cittadinanza, fra cui si è scelto un caso regionale e con obiettivi regionali quale Yes we cash, e un caso nazionale inserito in una rete mondiale quale Basic Income Network. Si fa poi riferimento tanto a discorsi di attori tradizionali che si trovano ad operare nella nuova situazione, con il blog dei Giovani CGIL, quanto di soggetti che si pongono quale sfida diretta alle classiche relazioni di lavoro. Sotto questo secondo versante sono considerati i Lavoratori autorganizzati Ministero Economia e Finanze, che riuniscono principalmente insiders, e il Coordinamento precari della conoscenza, espressione di lavoratori atipici. La posizione lavorativa sembra erodere non solo la possibilità, ma anche la voglia partecipare attivamente alla vita democratica, sul luogo di lavoro come al di fuori: in tutti i discorsi degli attori sembra trasparire la sfiducia verso il fatto che ciò sia ancora possibile. E tutto ciò in contrasto con le teorie che non solo riscontrano un crescente utilizzo di valori postmaterialisti, ma li legano a crescenti richieste di partecipazione attiva alle scelte pubbliche, che non si accontentano delle normali procedure ed istituzioni rappresentative . Ora, se è vero che nei discorsi degli attori considerati, compresi quelli tradizionali quali i giovani CGIL, si rintraccia facilmente l’afflato partecipativo come unica possibile via d’uscita al privatismo, è anche vero che ciò sembra potersi leggere non come reale spinta propositiva, ma come scelta dettata dalla disperazione di non sapere dove altro guardare. E tuttavia è continua l’esplorazione o l’invocazione di strumenti organizzativi e decisionali nuovi, per tentare di risolvere le sfide lanciate dalla posizione lavorativa alla stessa capacità di azione collettiva. All’interno delle giovani leve del sindacato, come a maggior ragione fra i gruppi che rifiutano esplicitamente la delega rappresentativa, la soluzione, pur variamente declinata, pare essere la stessa: prendere atto dell’individualismo, del privatismo e del dilagare di prospettive di breve periodo, ma tentare di uscire da tale situazione spingendo l’acceleratore nella direzione della partecipazione attiva. Esperimenti di partecipazione non ufficiale di questo tipo lanciano le premesse per un rivolgimento sostanziale delle procedure consolidate, portato dal basso e dal di fuori di quelli che sono i rapporti consolidati fra le parti. Soprattutto, prefigurano un ingresso alternativo dei giovani sul terreno della rivendicazione politica, proprio nel momento in cui si discute di morte della concertazione e della politica così come concepite dalle generazioni precedenti . Al di là della loro influenza concreta, rappresentano comunque una reazione inaspettata (specie viste le premesse di sconsolata rassegnazione che comunque trapelano nei discorsi degli attori), per quanto minoritaria, scaturita dalla stessa posizione lavorativa marginale.

La marginalità dei giovani nel mondo del lavoro : frustrazione (e qualche stimolo) alla partecipazione politica / V. Lastrico. ((Intervento presentato al convegno Giovani e mercato del lavoro : instabilità, transizioni, partecipazione, politiche tenutosi a Bologna nel 2013.

La marginalità dei giovani nel mondo del lavoro : frustrazione (e qualche stimolo) alla partecipazione politica

V. Lastrico
Primo
2013

Abstract

Un effetto secondario dell’allontanamento dal modello standard di occupazione sta non solo nella perdita per i giovani di protezioni sociali di diritto, ma anche nella crisi di fatto di diritti ormai dati per acquisiti quali quelli di auto-organizzazione. L’individualizzazione dei contratti non favorisce la costruzione di un rapporto tra giovani e rappresentanze di lavoro, che nei decenni precedenti hanno costituito la base per contenuti e pratiche identitarie e partecipative non solo in ambito lavorativo ma nella società e nella politica in senso lato. Il problema va dunque ben oltre quello della rappresentatività delle parti sociali nell’economia post-fordista, dal momento che la crisi della rappresentanza del lavoro postindustriale, acuita dalla precarizzazione dei contratti rivolti ai giovani, si riflette sui canali di socializzazione e partecipazione politica: l’esclusione dalle sedi della rappresentanza non fa che rafforzare spinte individualistiche, che non si traducono in azione collettiva. I contratti hanno carattere individuale, le modalità di erogazione del lavoro rendono difficile la creazione di solidarietà con la comunità dei pari, manca spesso un luogo di lavoro. A ciò si aggiunga che la situazione lavorativa trasforma i giovani in soggetti marginali, e dunque, sulla scia di Milbrath, marginali anche riguardo alla partecipazione politica. Ciò prefigura una perdita della capacità di voice, essenziale seguendo Hirschman per avere buone policies, per le nuove generazioni. Le riforme si trovano quindi ad essere basate sulla sostanziale loyalty (usando sempre Hirschman) delle generazioni precedenti sindacalizzate e stabili, e sulla sempre più frequente exit delle categorie giovanili marginali sia dal mondo del lavoro (NEET) sia dall’interesse per la partecipazione. In questo modo le riforme fanno a meno della voice dei diretti interessati, l’unica a possedere in potenza la giusta carica critica in grado di migliorare qualitativamente il policy-making. Si arriva così alla situazione in cui a decidere del loro futuro non sono le nuove generazioni, ma quelle categorie che non risentiranno delle scelte, essendo già incluse tanto nel mercato del lavoro quanto nei processi decisionali formali o informali. L’analisi parte dalla constatazione della relazione fra età e marginalità economica, cui segue la messa in evidenza che quest’ultima influenza per quasi il 35% la sfiducia verso la partecipazione democratica (regressione logistica multivariata su dati ITANES). A questa prima analisi quantitativa segue però un approfondimento qualitativo che nasce dalla considerazione di quei gruppi di giovani che, inseriti in vere e proprie carriere precarie (Barbieri, Sherer 2007) di lunga durata (evento negativo che comporta tuttavia l’esternalità positiva della continuità delle interazioni), si presentano come caso di successo di aggregazione e rappresentanza autonoma. E, a monte, di creazione di un senso del Noi come gruppo determinato, costruendo un rapporto politico organico e continuativo che ha consentito a questi lavoratori un protagonismo e una partecipazione attiva alle politiche che li riguardano. Il paper indaga cosa e quanto di nuovo si trovi in tale protagonismo rispetto agli stili d’azione caratteristici delle fasi precedenti. L’attenzione è rivolta alla natura delle richieste, ai riflessi che questa ha sulla formazione delle identità collettive, sulla scelta degli schemi d’azione, e sull’esplorazione di vie alternative oppure classiche. In particolare l’analisi si concentra su ciò che sta in qualche modo a monte della stessa partecipazione (definizione del problema) e ai suoi esiti processuali in termini di creazione di una condivisa identità collettiva (di tipo nuovo o classico? ristretta all’ambito di lavoro o allargata? di classe o meno?), e in termini di risposte al problema (tradizionali/innovative? entro i canali di rappresentanza classici/in forma autonoma?). A tal scopo si svolge un’analisi testuale dei claims prodotti dagli attori. Utilizzando la terminologia della frame analysis si ricostruisce: la componente diagnostica delle argomentazioni (definizione del problema e costruzioni identitarie che ne derivano); quella prognostica (soluzioni prospettate); quella motivazionale (spinta all’azione collettiva). Nell’ottica di individuare possibili percorsi di affiliazione a partire dai singoli gruppi considerati, si analizza poi il processo di frame extension, allargamento a altre dispute che costituisca una sorta di metaframe slegato dal caso particolare, con le conseguenti ripercussioni in termini di azione collettiva ipotizzando che «più grande è la gamma dei problemi coperti da un frame, più grande è la gamma di gruppi che possono riferirsi a quel frame e più grande è la capacità di mobilitazione» . Un’analisi di questo tipo permette di guardare al problema attraverso le cornici cognitive degli attori stessi, compresi quelli non tradizionalmente associati ai conflitti di lavoro, per controllare quanto esse si discostino da quelle dei sindacati, e come ciò possa avere ripercussioni sulle scelte più genericamente politiche. Con questo obiettivo sono considerati in forma comparata attori differenti, allo scopo di coprire un ventaglio articolato di fenomeni. Anzitutto si analizzano i testi dei blog relativi a due casi che sin dall’obiettivo dichiarato si pongono di fondare una cittadinanza non più basata sul lavoro. Si tratta delle azioni in favore di un reddito minimo garantito o di cittadinanza, fra cui si è scelto un caso regionale e con obiettivi regionali quale Yes we cash, e un caso nazionale inserito in una rete mondiale quale Basic Income Network. Si fa poi riferimento tanto a discorsi di attori tradizionali che si trovano ad operare nella nuova situazione, con il blog dei Giovani CGIL, quanto di soggetti che si pongono quale sfida diretta alle classiche relazioni di lavoro. Sotto questo secondo versante sono considerati i Lavoratori autorganizzati Ministero Economia e Finanze, che riuniscono principalmente insiders, e il Coordinamento precari della conoscenza, espressione di lavoratori atipici. La posizione lavorativa sembra erodere non solo la possibilità, ma anche la voglia partecipare attivamente alla vita democratica, sul luogo di lavoro come al di fuori: in tutti i discorsi degli attori sembra trasparire la sfiducia verso il fatto che ciò sia ancora possibile. E tutto ciò in contrasto con le teorie che non solo riscontrano un crescente utilizzo di valori postmaterialisti, ma li legano a crescenti richieste di partecipazione attiva alle scelte pubbliche, che non si accontentano delle normali procedure ed istituzioni rappresentative . Ora, se è vero che nei discorsi degli attori considerati, compresi quelli tradizionali quali i giovani CGIL, si rintraccia facilmente l’afflato partecipativo come unica possibile via d’uscita al privatismo, è anche vero che ciò sembra potersi leggere non come reale spinta propositiva, ma come scelta dettata dalla disperazione di non sapere dove altro guardare. E tuttavia è continua l’esplorazione o l’invocazione di strumenti organizzativi e decisionali nuovi, per tentare di risolvere le sfide lanciate dalla posizione lavorativa alla stessa capacità di azione collettiva. All’interno delle giovani leve del sindacato, come a maggior ragione fra i gruppi che rifiutano esplicitamente la delega rappresentativa, la soluzione, pur variamente declinata, pare essere la stessa: prendere atto dell’individualismo, del privatismo e del dilagare di prospettive di breve periodo, ma tentare di uscire da tale situazione spingendo l’acceleratore nella direzione della partecipazione attiva. Esperimenti di partecipazione non ufficiale di questo tipo lanciano le premesse per un rivolgimento sostanziale delle procedure consolidate, portato dal basso e dal di fuori di quelli che sono i rapporti consolidati fra le parti. Soprattutto, prefigurano un ingresso alternativo dei giovani sul terreno della rivendicazione politica, proprio nel momento in cui si discute di morte della concertazione e della politica così come concepite dalle generazioni precedenti . Al di là della loro influenza concreta, rappresentano comunque una reazione inaspettata (specie viste le premesse di sconsolata rassegnazione che comunque trapelano nei discorsi degli attori), per quanto minoritaria, scaturita dalla stessa posizione lavorativa marginale.
1-feb-2013
partecipazione politica ; condizione giovanile ; precarietà; marginalità sociale ; crisi economica ; rappresentanza
Settore SPS/09 - Sociologia dei Processi economici e del Lavoro
Settore SPS/11 - Sociologia dei Fenomeni Politici
Settore SPS/04 - Scienza Politica
Associazione Italiana di Sociologia. Sezione Economia, Lavoro e Organizzazione (AIS-ELO)
Università degli studi di Bologana. Dipartimento di Sociologia e Diritto dell’Economia
http://www.isfol.it/events/eventi-2013/giovani-e-mercato-del-lavoro-instabilita-transizioni-partecipazione-politiche/Programma%20convegno%20Bologna%201%20febbraio.pdf
La marginalità dei giovani nel mondo del lavoro : frustrazione (e qualche stimolo) alla partecipazione politica / V. Lastrico. ((Intervento presentato al convegno Giovani e mercato del lavoro : instabilità, transizioni, partecipazione, politiche tenutosi a Bologna nel 2013.
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