Le razze canine sono il risultato della selezione artificiale attuata dall’uomo. Mentre la selezione naturale privilegia una riproduzione che conservi il corredo genetico dei soggetti meglio adattati ad un determinato ambiente, la selezione artificiale finalizzata al raggiungimento di obiettivi zootecnici, morfologici e funzionali ha favorito la trasmissione del patrimonio genetico di quei soggetti che si distinguevano per caratteristiche fenotipiche peculiari, spesso lontane dal normotipo ancestrale della specie. La genetica di popolazione studia l’ereditarietà dei caratteri in gruppi di individui. La popolazione considerata è quella mendeliana: un gruppo di soggetti interfertili con un insieme di geni comune (pool genetico) durante l’evoluzione. La legge su cui si fonda la genetica di popolazione è quella di Hardy-Weinberg che descrive come, in una popolazione sufficientemente numerosa, non sottoposta a forze selettive e in cui gli accoppiamenti avvengano in modo assolutamente casuale (random mating), le frequenze geniche (informazione genetica) non variano da una generazione alla successiva, la popolazione viene definita in equilibrio (Pagnacco, 2005). La selezione andando a limitare la casualità degli accoppiamenti, modifica le frequenze alleliche col passare delle generazioni in quanto solo gli animali scelti come riproduttori potranno trasmettere i loro geni alle generazioni successive. Nell’allevamento del cane di razza l’uomo si sostituisce alle forze evolutive naturali al fine di ottenere nelle nuove generazioni quei caratteri obiettivo di selezione descritti negli standard delle varie razze canine. I caratteri per cui si seleziona, con base genetica quindi, sono soggetti a variazione ed evoluzione. La selezione naturale continua ad esprimersi anche nelle specie allevate dove spesso si contrappone a quella artificiale esercitata dall’uomo. Tutte le scelte di selezione sono ascrivibili a tre sistemi di accoppiamento: inbreeding, linebreeding e outcrossing. L’inbreeding (consanguineità) viene definito come l’accoppiamento tra individui strettamente imparentati, più tecnicamente come l’accoppiamneto tra individui più strettamente imparentati rispetto alla media della popolazione di appartenenza (Beauchamp, 2002). Il concetto di consanguineità è legato matematicamente a quello di parentela: quest’ultima viene definita geneticamente come la porzione di geni in comune tra due animali (Pagnacco, 2005). La consanguineità riferita ad un solo individuo indica la percentuale di geni allo stato omozigote per discendenza mendeliana che ci sia aspetta siano presenti nel suo genotipo, ovvero quei geni che derivano da un gene di un antenato comune ai due genitori dell’individuo (Pagnacco, 1995). Il linebreeding prevede comunque l’accoppiamento tra individui con un certo grado di parentela e geneticamente parlando si tratta comunque di inbreeding ma con intensità minore; in questo caso il grado di parentela tra i soggetti accoppiati risulta più lontano. Può essere definito come out cross l’accoppiamento di soggetti senza antenati comuni, alcuni considerano l’assenza di parentela in cinque generazioni (Beauchamp, 2002). Possiamo considerare il pool genetico delle popolazioni canine come ristretto e caratterizzato da livelli di consanguineità variabili (Willis, 1989). Il motivo per cui l’allevatore ricorre ad accoppiamenti in consanguineità è la fissazione di caratteristiche ritenute positive (geni allo stato omozigotico), d’altra parte la perdita di eterozigosi causa il declino delle performance medie degli animali. Una conseguenza negativa della consanguineità è la maggior probabilità di espressione di geni recessivi che allo stato eterozigote risultano innocui ma che in omozigosi possono portare alla comparsa di caratteri indesiderati e anomalie di vario genere (Maki et al., 2001). Ubbink e colleghi (1992) hanno rilevato come l’aumento del livello di omozigosi causato dalla consanguineità sia collegato al verificarsi di alcune patologie. L’aumento del livello di inbreeding può avere effetti negativi sulla fertilità come dimostrato da Wildt: performance riproduttive e qualità dell’eiaculato (1982), Rehfeld: vitalità cuccioli (1970) e Van der Beek: mortalità neonatale, abilità materna e performance cuccioli (1999). Riducendo la variabilità genetica l’inbreeding riduce inoltre l’efficacia della selezione sul miglioramento genetico. La depressione da inbreeding comporta un calo generale rilevabile soprattutto a livello di caratteri riproduttivi e di fitness della popolazione dovuti alla presenza allo stato omozigote di numerosi geni con effetti seppure piccoli su caratteri quantitativi (Falconer & MacKay, 1992). Non esiste quindi una buona o cattiva consanguineità ma esiste un buono o cattivo uso della stessa infatti non è la consanguineità che “crea” nuovi geni indesiderati ma è il suo utilizzo che scopre geni recessivi di cui ogni animale è portatore ma che in condizioni di eterozigoti normalmente non manifestano i loro effetti negativi (Cavalchini, 1988). In ogni caso una consanguineità stretta deve essere legata ad una rigorosa azione di selezione con l’eliminazione dei soggetti con presenza di patologie o eventuali portatori sani. L’utilizzo di accoppiamenti in consanguineità presuppone una conoscenza approfondita di tutti i caratteri positivi e negativi degli antenati comuni ai due riproduttori scelti. Per il calcolo del coefficiente di consanguineità si ricorre al metodo messo a punto da Sewall Wright nel 1921: questo metodo permette di calcolare la probabilità che due geni al medesimo locus siano identici per discendenza mendeliana. Questo coefficiente viene indicato con F ed il suo valore dipende dal grado di parentela esistente tra i genitori del soggetto in esame. Il metodo di Wright prevede anche l’eventualità che si sia a conoscenza del grado di consanguineità del progenitore comune e che ci sia più di un progenitore in comune nell’ascendenza dei genitori del soggetto. La formula di Wright per calcolare il coefficiente di consanguineità è: Fx = ∑[(½) n+n’+1 (1+FA)], (Fx = coefficiente di consanguineità di x; n = numero di generazioni tra il padre di x e un ascendente comune sia al padre che alla madre; n’ = numero di generazioni tra la madre di x e lo stesso ascendente comune; ∑ = sommatoria dei diversi contributi dovuti ad ogni ascendente comune; FA= coeff. di consanguineità dell’ascendente comune nel caso sia consanguineo. Con le analisi dei dati contenute nei libri genealogici dell’ENCI, ROI e RSR (ex LOI e LIR), per un totale di 15774 soggetti, sviluppate attraverso software specifici (SAS ®:procedure inbreed, means, freq) si e voluto analizzare l’andamento dell’indice di consanguineità nella popolazione italiana del Bovaro del Bernese dall’anno 1972 all’anno 2008. In particolare è stato analizzato l’andamento della consanguineità media per anno, la consanguineità per sesso di appartenenza, la consanguineità per tipo di registrazione: libri italiani o esteri, consanguineità per anno per tipo di registrazione, infine sono stati calcolati i valori medi, minimi e massimi di ogni variabile. L’analisi ha poi preso in considerazione le caratteristiche etnografiche della razza prestando particolare attenzione alla numerosità dei cuccioli iscritti ogni anno nei libri genealogici dell’ENCI, il numero di cuccioli per fattrice, il numero di cuccioli per stallone, il numero di cuccioli per allevatore (colui che registra la cucciolata) e la frequenza delle classi di consanguineità. I risultati mostrano come l’andamento (tendenza lineare) della consanguineità nella razza del Bovaro del Bernese nei 36 anni di studio sia rimasto pressoché costante (m=0.002, R2=0.13). La consanguineità dei maschi e delle femmine di Bovaro del Bernese si equivale e si attesta intorno a valori dello 0.04. I valori minimi e massimi corrispondono nei due sessi. I soggetti iscritti nel ROI hanno indice di consanguineità medi corrispondenti ai soggetti importati (0.04), il valore massimo è più alto nei soggetti nati in Italia (0.40 vs. 0.25). La numerosità dei cuccioli di Bovaro del Bernese registrata ogni anno propone un panorama positivo per quanto riguarda gli sviluppi della popolazione e il numero effettivo di riproduttori anche se l’andamento della linea di tendenza con un coefficiente angolare di 29.151 ed un coefficiente di determinazione di 0.81 devono richiamare grande attenzione sul mantenimento di elevati livelli quantitativi per salute e tipicità della razza evitando gli effetti negativi delle mode che spesso condizionano la diffusione delle razze canine. Come in altre razze il numero di cuccioli registrati per madre è inferiore a 6 nel 83% dei casi, importante è sottolineare che l’1.11% delle femmine ha un numero di cuccioli compreso tra 31 e 50. La situazione è corrispondente anche negli stalloni con l’83% dei soggetti con un numero di cuccioli registrato inferiore a 6, di particolare rilievo è il dato riguardante la percentuale di maschi padri per più di 50 cuccioli, questi risultano essere l’1.74% dei padri. Questo dato conferma l’ipotesi che stalloni di grande pregio vengono frequentemente scelti per un numero elevato di fattrici. La situazione favorevole in cui si trova come numero di iscritti la razza del Bovaro del Bernese fa sì che più del 6 % degli allevatori, ciascun titolare di registrazione di cucciolata è da considerarsi allevatore, fa registrare un numero di cuccioli superiore ai 30 soggetti per cui un buon numero di cucciolate. La consanguineità media registrata come più frequente è quella inferiore allo 0.0625 si attesta quindi su valori caratteristici di un sistema di accoppiamenti basati sul line-breeding.

Il Bovaro del Bernese : analisi etnografica e della consanguineità / S.P. Marelli, E. Colombo, M. Polli, L. Guidobono Cavalchini. ((Intervento presentato al 7. convegno The Bernese mountain dog health towards a new horizon : International symposium tenutosi a Padenghe sul Garda nel 2009.

Il Bovaro del Bernese : analisi etnografica e della consanguineità

S.P. Marelli;E. Colombo;M. Polli;L. Guidobono Cavalchini
2009

Abstract

Le razze canine sono il risultato della selezione artificiale attuata dall’uomo. Mentre la selezione naturale privilegia una riproduzione che conservi il corredo genetico dei soggetti meglio adattati ad un determinato ambiente, la selezione artificiale finalizzata al raggiungimento di obiettivi zootecnici, morfologici e funzionali ha favorito la trasmissione del patrimonio genetico di quei soggetti che si distinguevano per caratteristiche fenotipiche peculiari, spesso lontane dal normotipo ancestrale della specie. La genetica di popolazione studia l’ereditarietà dei caratteri in gruppi di individui. La popolazione considerata è quella mendeliana: un gruppo di soggetti interfertili con un insieme di geni comune (pool genetico) durante l’evoluzione. La legge su cui si fonda la genetica di popolazione è quella di Hardy-Weinberg che descrive come, in una popolazione sufficientemente numerosa, non sottoposta a forze selettive e in cui gli accoppiamenti avvengano in modo assolutamente casuale (random mating), le frequenze geniche (informazione genetica) non variano da una generazione alla successiva, la popolazione viene definita in equilibrio (Pagnacco, 2005). La selezione andando a limitare la casualità degli accoppiamenti, modifica le frequenze alleliche col passare delle generazioni in quanto solo gli animali scelti come riproduttori potranno trasmettere i loro geni alle generazioni successive. Nell’allevamento del cane di razza l’uomo si sostituisce alle forze evolutive naturali al fine di ottenere nelle nuove generazioni quei caratteri obiettivo di selezione descritti negli standard delle varie razze canine. I caratteri per cui si seleziona, con base genetica quindi, sono soggetti a variazione ed evoluzione. La selezione naturale continua ad esprimersi anche nelle specie allevate dove spesso si contrappone a quella artificiale esercitata dall’uomo. Tutte le scelte di selezione sono ascrivibili a tre sistemi di accoppiamento: inbreeding, linebreeding e outcrossing. L’inbreeding (consanguineità) viene definito come l’accoppiamento tra individui strettamente imparentati, più tecnicamente come l’accoppiamneto tra individui più strettamente imparentati rispetto alla media della popolazione di appartenenza (Beauchamp, 2002). Il concetto di consanguineità è legato matematicamente a quello di parentela: quest’ultima viene definita geneticamente come la porzione di geni in comune tra due animali (Pagnacco, 2005). La consanguineità riferita ad un solo individuo indica la percentuale di geni allo stato omozigote per discendenza mendeliana che ci sia aspetta siano presenti nel suo genotipo, ovvero quei geni che derivano da un gene di un antenato comune ai due genitori dell’individuo (Pagnacco, 1995). Il linebreeding prevede comunque l’accoppiamento tra individui con un certo grado di parentela e geneticamente parlando si tratta comunque di inbreeding ma con intensità minore; in questo caso il grado di parentela tra i soggetti accoppiati risulta più lontano. Può essere definito come out cross l’accoppiamento di soggetti senza antenati comuni, alcuni considerano l’assenza di parentela in cinque generazioni (Beauchamp, 2002). Possiamo considerare il pool genetico delle popolazioni canine come ristretto e caratterizzato da livelli di consanguineità variabili (Willis, 1989). Il motivo per cui l’allevatore ricorre ad accoppiamenti in consanguineità è la fissazione di caratteristiche ritenute positive (geni allo stato omozigotico), d’altra parte la perdita di eterozigosi causa il declino delle performance medie degli animali. Una conseguenza negativa della consanguineità è la maggior probabilità di espressione di geni recessivi che allo stato eterozigote risultano innocui ma che in omozigosi possono portare alla comparsa di caratteri indesiderati e anomalie di vario genere (Maki et al., 2001). Ubbink e colleghi (1992) hanno rilevato come l’aumento del livello di omozigosi causato dalla consanguineità sia collegato al verificarsi di alcune patologie. L’aumento del livello di inbreeding può avere effetti negativi sulla fertilità come dimostrato da Wildt: performance riproduttive e qualità dell’eiaculato (1982), Rehfeld: vitalità cuccioli (1970) e Van der Beek: mortalità neonatale, abilità materna e performance cuccioli (1999). Riducendo la variabilità genetica l’inbreeding riduce inoltre l’efficacia della selezione sul miglioramento genetico. La depressione da inbreeding comporta un calo generale rilevabile soprattutto a livello di caratteri riproduttivi e di fitness della popolazione dovuti alla presenza allo stato omozigote di numerosi geni con effetti seppure piccoli su caratteri quantitativi (Falconer & MacKay, 1992). Non esiste quindi una buona o cattiva consanguineità ma esiste un buono o cattivo uso della stessa infatti non è la consanguineità che “crea” nuovi geni indesiderati ma è il suo utilizzo che scopre geni recessivi di cui ogni animale è portatore ma che in condizioni di eterozigoti normalmente non manifestano i loro effetti negativi (Cavalchini, 1988). In ogni caso una consanguineità stretta deve essere legata ad una rigorosa azione di selezione con l’eliminazione dei soggetti con presenza di patologie o eventuali portatori sani. L’utilizzo di accoppiamenti in consanguineità presuppone una conoscenza approfondita di tutti i caratteri positivi e negativi degli antenati comuni ai due riproduttori scelti. Per il calcolo del coefficiente di consanguineità si ricorre al metodo messo a punto da Sewall Wright nel 1921: questo metodo permette di calcolare la probabilità che due geni al medesimo locus siano identici per discendenza mendeliana. Questo coefficiente viene indicato con F ed il suo valore dipende dal grado di parentela esistente tra i genitori del soggetto in esame. Il metodo di Wright prevede anche l’eventualità che si sia a conoscenza del grado di consanguineità del progenitore comune e che ci sia più di un progenitore in comune nell’ascendenza dei genitori del soggetto. La formula di Wright per calcolare il coefficiente di consanguineità è: Fx = ∑[(½) n+n’+1 (1+FA)], (Fx = coefficiente di consanguineità di x; n = numero di generazioni tra il padre di x e un ascendente comune sia al padre che alla madre; n’ = numero di generazioni tra la madre di x e lo stesso ascendente comune; ∑ = sommatoria dei diversi contributi dovuti ad ogni ascendente comune; FA= coeff. di consanguineità dell’ascendente comune nel caso sia consanguineo. Con le analisi dei dati contenute nei libri genealogici dell’ENCI, ROI e RSR (ex LOI e LIR), per un totale di 15774 soggetti, sviluppate attraverso software specifici (SAS ®:procedure inbreed, means, freq) si e voluto analizzare l’andamento dell’indice di consanguineità nella popolazione italiana del Bovaro del Bernese dall’anno 1972 all’anno 2008. In particolare è stato analizzato l’andamento della consanguineità media per anno, la consanguineità per sesso di appartenenza, la consanguineità per tipo di registrazione: libri italiani o esteri, consanguineità per anno per tipo di registrazione, infine sono stati calcolati i valori medi, minimi e massimi di ogni variabile. L’analisi ha poi preso in considerazione le caratteristiche etnografiche della razza prestando particolare attenzione alla numerosità dei cuccioli iscritti ogni anno nei libri genealogici dell’ENCI, il numero di cuccioli per fattrice, il numero di cuccioli per stallone, il numero di cuccioli per allevatore (colui che registra la cucciolata) e la frequenza delle classi di consanguineità. I risultati mostrano come l’andamento (tendenza lineare) della consanguineità nella razza del Bovaro del Bernese nei 36 anni di studio sia rimasto pressoché costante (m=0.002, R2=0.13). La consanguineità dei maschi e delle femmine di Bovaro del Bernese si equivale e si attesta intorno a valori dello 0.04. I valori minimi e massimi corrispondono nei due sessi. I soggetti iscritti nel ROI hanno indice di consanguineità medi corrispondenti ai soggetti importati (0.04), il valore massimo è più alto nei soggetti nati in Italia (0.40 vs. 0.25). La numerosità dei cuccioli di Bovaro del Bernese registrata ogni anno propone un panorama positivo per quanto riguarda gli sviluppi della popolazione e il numero effettivo di riproduttori anche se l’andamento della linea di tendenza con un coefficiente angolare di 29.151 ed un coefficiente di determinazione di 0.81 devono richiamare grande attenzione sul mantenimento di elevati livelli quantitativi per salute e tipicità della razza evitando gli effetti negativi delle mode che spesso condizionano la diffusione delle razze canine. Come in altre razze il numero di cuccioli registrati per madre è inferiore a 6 nel 83% dei casi, importante è sottolineare che l’1.11% delle femmine ha un numero di cuccioli compreso tra 31 e 50. La situazione è corrispondente anche negli stalloni con l’83% dei soggetti con un numero di cuccioli registrato inferiore a 6, di particolare rilievo è il dato riguardante la percentuale di maschi padri per più di 50 cuccioli, questi risultano essere l’1.74% dei padri. Questo dato conferma l’ipotesi che stalloni di grande pregio vengono frequentemente scelti per un numero elevato di fattrici. La situazione favorevole in cui si trova come numero di iscritti la razza del Bovaro del Bernese fa sì che più del 6 % degli allevatori, ciascun titolare di registrazione di cucciolata è da considerarsi allevatore, fa registrare un numero di cuccioli superiore ai 30 soggetti per cui un buon numero di cucciolate. La consanguineità media registrata come più frequente è quella inferiore allo 0.0625 si attesta quindi su valori caratteristici di un sistema di accoppiamenti basati sul line-breeding.
26-set-2009
Settore AGR/17 - Zootecnica Generale e Miglioramento Genetico
Settore AGR/19 - Zootecnica Speciale
Club italiano amatori bovari svizzeri
C.I.A.B.S.
http://www.ciabs.it/page_it/salute/atti2009.html
Il Bovaro del Bernese : analisi etnografica e della consanguineità / S.P. Marelli, E. Colombo, M. Polli, L. Guidobono Cavalchini. ((Intervento presentato al 7. convegno The Bernese mountain dog health towards a new horizon : International symposium tenutosi a Padenghe sul Garda nel 2009.
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