Quante persone rimarrebbero su un aeroplano dopo che il comandante ha annunciato che la probabilità di arrivare a destinazione sani e salvi è pari al 97 per cento e quella che il personale di volo faccia qualche errore grave è solo del 6,7 per cento?”. Così si leggeva sul British Medical Journal il 17 luglio 1999, in un articolo in cui veniva posta a confronto l’incidenza degli errori in Sanità, con quelli aerei: 0,27 incidenti su 1.000.000 di partenze dal 1990 al 1994. In effetti, rispetto ad altri settori lavorativi ad alto rischio, come appunto i sistemi di trasporto aereo (ma anche ferroviario, le centrali nucleari, gli impianti chimici), si è iniziato a parlare di errore in medicina e della sua prevenzione piuttosto tardivamente, questo anche perché le conseguenze dell’errore umano in questi ambiti possono essere “immediatamente” catastrofiche e dunque di dominio pubblico, mentre nel caso dell’errore in medicina le conseguenze riguardano prevalentemente singole persone. In ogni caso in breve tempo si è recuperato il tempo “perduto”, per cui oggi è raro che in una riunione scientifica non vengano affrontate tematiche di “clinical risk management”. Come noto gli errori, in generale, per cui anche quelli sanitari, non sono (soltanto) generati da cause e fallimenti tecnici o da cause e fallimenti umani, ma dall’interazione di più componenti: tecnologiche, umane, organizzative, in relazione tra loro e con l’ambiente esterno nel quale l’organizzazione opera. Inoltre non accadono soltanto per violazione delle norme e delle procedure esistenti in un’organizzazione, ma, talvolta, si verificano per quelle stesse norme e procedure, che, magari in uno scenario mutato, favoriscono la generazione di incidenti. D’altra parte, come bene ha fatto osservare il Fiori, la comparazione tra “aviazione” e sanità non può reggere nella misura in cui, pur essendo nominalmente due tipologie di aziende, non producono entrambe cose inanimate: la salute è un bene prezioso, che la nostra stessa Costituzione non considera affatto una merce. Altrettanto indubbio è il fatto che il cittadino percepisce soprattutto il comfort ambientale, la nostra sensibilità psicosociale e la nostra empatia e solidarietà umana nei confronti dei suoi problemi e dei suoi vissuti di malattia, piuttosto che la nostra competenza tecnica e professionale. I disagi provocati dalle disfunzioni organizzative nei percorsi della assistenza, le lunghe liste di attesa, la povertà delle informazioni ricevute, la sensazione di fretta e di estraneità, e magari anche i messaggi contrastanti provenienti dai numerosi attori coinvolti, dotati di un notevole individualismo contribuiscono ai “sospetti” ed alla sfiducia dei cittadini nei confronti del sistema sanitario. C’è inoltre da chiedersi se siamo veramente convinti di essere privi di responsabilità nel radicamento della convinzione del paziente circa l’infallibilità della medicina e del suo diritto ad una guarigione certa? Ed in effetti la gran parte dei casi che giungono all’osservazione del medico legale in tema di colpa professionale dipendono da: a) sproporzione tra patologia iniziale/trattamento e complicanza, b) evento completamente inatteso, c) mancata compliance con il medico d) aspettativa di un risultato sempre positivo. E’ in questo scenario che hanno compiuto i loro primi “passi” le metodiche di clinical risk management, raggiungendo in breve tempo l’interesse di tutti gli operatori del settore sanitario e del Governo, che non solo ha istituito una Commissione Tecnica sul Rischio Clinico (DM 5 marzo 2003), ma ha anche dato l’avvio (30.09.2004) alla prima “Consensus conference sul risk management”, puntando sulla creazione di un osservatorio sui rischi sanitari e la creazione di una database con l’intento di fotografare la situazione reale in Italia e dar vita quindi a un piano di azione per poter limitare i danni. In un ambiente ideale ogni operatore dovrebbe contribuire, nella logica della “genesi sistemica”, alla identificazione dei potenziali errori al fine della loro eliminazione: purtroppo la realtà è ben lontana da questo modello perché vige ancora un clima altamente ispettivo e sanzionatorio, che non facilita certo l'esplicitazione dell'errore, favorendone al contrario l'occultamento. D’altra parte non è certo un buon segno che l’espressione “responsabilità professionale” del medico sia, nel comune linguaggio degli addetti ai lavori, ritenuta una mera variante semantica di “colpa professionale”: la “responsabilità” è e resta una categoria pregiuridica e deontologica; rappresentando l’essenza stessa della professionalità e della potestà di curare. Scopo di questa comunicazione è quello di illustrare la metodologia e la finalità del “clinical risk management”, ma anche le problematiche ad esso correlate, affrontando, in particolare, l’apporto che la cultura e l’esperienza medico-legale può fornire nella prevenzione del rischio, in un ambito come quello della neurochirurgia caratterizzato da attività chirurgiche in urgenza e programmate, nonché dalla gestione del paziente “acuto” e “cronico”, con la consapevolezza che la “gestione del rischio” agli addetti ai lavori di questo particolare ambito sanitario è ben nota da tempo: basti pensare, infatti, all’introduzione delle linee guida per la gestione del traumatizzato cranico ben prima che si iniziasse a parlare di risk management.

L’attivita’ neuroghirurgica come rischio / U.R. Genovese. ((Intervento presentato al convegno Neurochirurgia e Medicina Legale tenutosi a Milano nel 2005.

L’attivita’ neuroghirurgica come rischio

U.R. Genovese
Primo
2005

Abstract

Quante persone rimarrebbero su un aeroplano dopo che il comandante ha annunciato che la probabilità di arrivare a destinazione sani e salvi è pari al 97 per cento e quella che il personale di volo faccia qualche errore grave è solo del 6,7 per cento?”. Così si leggeva sul British Medical Journal il 17 luglio 1999, in un articolo in cui veniva posta a confronto l’incidenza degli errori in Sanità, con quelli aerei: 0,27 incidenti su 1.000.000 di partenze dal 1990 al 1994. In effetti, rispetto ad altri settori lavorativi ad alto rischio, come appunto i sistemi di trasporto aereo (ma anche ferroviario, le centrali nucleari, gli impianti chimici), si è iniziato a parlare di errore in medicina e della sua prevenzione piuttosto tardivamente, questo anche perché le conseguenze dell’errore umano in questi ambiti possono essere “immediatamente” catastrofiche e dunque di dominio pubblico, mentre nel caso dell’errore in medicina le conseguenze riguardano prevalentemente singole persone. In ogni caso in breve tempo si è recuperato il tempo “perduto”, per cui oggi è raro che in una riunione scientifica non vengano affrontate tematiche di “clinical risk management”. Come noto gli errori, in generale, per cui anche quelli sanitari, non sono (soltanto) generati da cause e fallimenti tecnici o da cause e fallimenti umani, ma dall’interazione di più componenti: tecnologiche, umane, organizzative, in relazione tra loro e con l’ambiente esterno nel quale l’organizzazione opera. Inoltre non accadono soltanto per violazione delle norme e delle procedure esistenti in un’organizzazione, ma, talvolta, si verificano per quelle stesse norme e procedure, che, magari in uno scenario mutato, favoriscono la generazione di incidenti. D’altra parte, come bene ha fatto osservare il Fiori, la comparazione tra “aviazione” e sanità non può reggere nella misura in cui, pur essendo nominalmente due tipologie di aziende, non producono entrambe cose inanimate: la salute è un bene prezioso, che la nostra stessa Costituzione non considera affatto una merce. Altrettanto indubbio è il fatto che il cittadino percepisce soprattutto il comfort ambientale, la nostra sensibilità psicosociale e la nostra empatia e solidarietà umana nei confronti dei suoi problemi e dei suoi vissuti di malattia, piuttosto che la nostra competenza tecnica e professionale. I disagi provocati dalle disfunzioni organizzative nei percorsi della assistenza, le lunghe liste di attesa, la povertà delle informazioni ricevute, la sensazione di fretta e di estraneità, e magari anche i messaggi contrastanti provenienti dai numerosi attori coinvolti, dotati di un notevole individualismo contribuiscono ai “sospetti” ed alla sfiducia dei cittadini nei confronti del sistema sanitario. C’è inoltre da chiedersi se siamo veramente convinti di essere privi di responsabilità nel radicamento della convinzione del paziente circa l’infallibilità della medicina e del suo diritto ad una guarigione certa? Ed in effetti la gran parte dei casi che giungono all’osservazione del medico legale in tema di colpa professionale dipendono da: a) sproporzione tra patologia iniziale/trattamento e complicanza, b) evento completamente inatteso, c) mancata compliance con il medico d) aspettativa di un risultato sempre positivo. E’ in questo scenario che hanno compiuto i loro primi “passi” le metodiche di clinical risk management, raggiungendo in breve tempo l’interesse di tutti gli operatori del settore sanitario e del Governo, che non solo ha istituito una Commissione Tecnica sul Rischio Clinico (DM 5 marzo 2003), ma ha anche dato l’avvio (30.09.2004) alla prima “Consensus conference sul risk management”, puntando sulla creazione di un osservatorio sui rischi sanitari e la creazione di una database con l’intento di fotografare la situazione reale in Italia e dar vita quindi a un piano di azione per poter limitare i danni. In un ambiente ideale ogni operatore dovrebbe contribuire, nella logica della “genesi sistemica”, alla identificazione dei potenziali errori al fine della loro eliminazione: purtroppo la realtà è ben lontana da questo modello perché vige ancora un clima altamente ispettivo e sanzionatorio, che non facilita certo l'esplicitazione dell'errore, favorendone al contrario l'occultamento. D’altra parte non è certo un buon segno che l’espressione “responsabilità professionale” del medico sia, nel comune linguaggio degli addetti ai lavori, ritenuta una mera variante semantica di “colpa professionale”: la “responsabilità” è e resta una categoria pregiuridica e deontologica; rappresentando l’essenza stessa della professionalità e della potestà di curare. Scopo di questa comunicazione è quello di illustrare la metodologia e la finalità del “clinical risk management”, ma anche le problematiche ad esso correlate, affrontando, in particolare, l’apporto che la cultura e l’esperienza medico-legale può fornire nella prevenzione del rischio, in un ambito come quello della neurochirurgia caratterizzato da attività chirurgiche in urgenza e programmate, nonché dalla gestione del paziente “acuto” e “cronico”, con la consapevolezza che la “gestione del rischio” agli addetti ai lavori di questo particolare ambito sanitario è ben nota da tempo: basti pensare, infatti, all’introduzione delle linee guida per la gestione del traumatizzato cranico ben prima che si iniziasse a parlare di risk management.
29-gen-2005
Settore MED/43 - Medicina Legale
L’attivita’ neuroghirurgica come rischio / U.R. Genovese. ((Intervento presentato al convegno Neurochirurgia e Medicina Legale tenutosi a Milano nel 2005.
Conference Object
File in questo prodotto:
Non ci sono file associati a questo prodotto.
Pubblicazioni consigliate

I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.

Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/2434/167331
Citazioni
  • ???jsp.display-item.citation.pmc??? ND
  • Scopus ND
  • ???jsp.display-item.citation.isi??? ND
social impact