La bugia deve essere praticamente utile a chi la costruisce; inoltre questi cerca di fare apparire ad altri vero ciò che non è tale: è cioè un’invenzione che implica l’intenzione di trarre altri in inganno” da: Il determinismo della bugia in L. Battistelli, La bugia nei normali, nei criminali e nei folli, Ed. Laterza, Bari, 1923 Finchè ci saranno invalidi, ci saranno anche falsi invalidi , dovendosi, però, presupporre, perchè ciò accada, la presenza, da una parte, di qualcuno che cerca di fare apparire ad altri vero ciò che non è tale (il falso invalido), e, dall’altra, di qualcuno che inevitabilmente non si accorga dell’inganno (l’accertatore). Il problema dei cosiddetti ‘falsi invalidi’ si colloca nella più ampia questione che riguarda molteplici aspetti della “vita sociale” anche correlati tra loro; tra questi, sono stati identificati diversi campi di rilievo: campo delle relazioni intersoggettive (cosiddetto rapporto “orizzontale”); campo delle relazioni Stato-individuo (rapporto “verticale”); ed ancora campo delle relazioni individuo-società (rapporto sociale vero e proprio). Tra questi, l’ambito delle relazioni Stato-individuo rileva in particolare nel momento in cui viene avanzata l’ipotesi di un illecito penale. Appare però quantomeno riduttivo focalizzare l’attenzione esclusivamente sul problema sociale e giuridico, esistendone a riguardo, tra l’altro, ampia documentazione, specie in alcune realtà (vedasi i casi giunti all’attenzione dei Tribunali di Benevento, Avellino, Ariano Irpino e Catanzaro ). A prescindere dai casi chiaramente “dolosi” di “falsa” attestazione di invalidità (ad opera di attori, cittadino-sanitari, “malintenzionati”), si ritiene che, da un punto di vista tecnico, la questione più interessante si collochi antecedentemente al riconoscimento stesso dello “stato” di invalido, ultimo atto di un iter procedurale lungo e complesso (presentazione della domanda, visita ed accertamento da parte della Commissione medica della ASL, revisione e verifica della permanenza dello stato accertato da parte di altre Commissioni, ecc.), all’interno del quale, in ogni “passaggio”, può teoricamente inserirsi un “errore” che può condurre ad un giudizio “falsato” non voluto. Il cercare di evitare l’errore non voluto conduce, infatti, a prevenire inevitabilmente l’errore ricercato da chi persegue un diritto che non gli spetta. Si dovrebbe, pertanto, non puntare tutta l’attenzione sul cittadino ‘falso invalido’, cercando di indirizzarla su ciò che di “falso” – o, meglio, di errato – può essere, ad esempio, ricompreso nel concetto stesso di invalidità ed ancor più nella modalità di verifica di tale stato. Innanzitutto dovrebbe finalmente raggiungersi una unicità di definizioni, con terminologia precisa, univoca e non dubbia , che di fatto nella realtà non esiste ancora. A tale riguardo, ad esempio, pare forse essere giunto il momento per una revisione del concetto di “soggetto invalido”, raggiungendo così una uniformità concettuale, senza barriere cronologiche (attualmente, a seconda dell’età, il riferimento è alla capacità di compiere gli atti quotidiani della vita o alla capacità lavorativa generica) e al passo con le nuove indicazioni dell’OMS (International Classification of Functioning, disability and health). Per quanto riguarda invece l’ambito valutativo, che senz’altro qui più interessa, già Umani Ronchi aveva sottolineato che “in non pochi casi esaminati non era tanto l’invalido ad essere fasullo, quanto il complessivo sistema accertativo che faceva acqua da tutte le parti”, a completo discapito del cittadino ed anche dell’intera comunità. Dall’analisi della Letteratura emerge chiaramente come tale esigenza sia già esplicita da tempo , con reclamo in particolare di mancanza di oggettività, di linee guida, di criteri di accertamento univoci; a tutt’oggi, però, non sono stati operati grandi cambiamenti migliorativi in tal senso, né sono state concepite efficaci ed operative “linee guida”, che tanto risulterebbero utili, specie come paracadute della coscienza, parendo anzi la tendenza predominante quella di complicare e burocratizzare un accertamento che dovrebbe piuttosto cercare di garantire, attraverso una “omogeneizzazione dei criteri valutativi” ed una “semplificazione delle procedure” , una verifica obiettiva e rigorosa di una condizione “invalidante” dello stato di salute. Tale eterogeneità di valutazione non risulta tuttavia prerogativa solamente italiana, essendo la norma, secondo studi compiuti anni fa, anche nella complessa realtà europea . Si tenga inoltre presente la complessità di certi accertamenti, come ad esempio la verifica dello stato di ‘handicap’ (L.104/92) che non è solamente basata sul rilievo di condizioni patologiche “biologiche” verificabili obiettivamente, ma “richiede anche una valutazione, riferita al singolo caso, dei molteplici fattori sociali ed ambientali implicati nei processi di emarginazione e nella compromissione dell’autonomia personale del disabile” , con diversità strettamente dipendenti da variabili del tutto personali, quali l’età, il sesso, il background socio-culturale, le eventuali “barriere architettoniche”, ecc, di cui la Commissione dove necessariamente tener conto nel suo giudizio finale, pena l’elaborazione di un giudizio erroneo ed incompleto. Ed ancora si rifletta sulla complessità e sulla multidisciplinarietà dell’accertamento nell’ambito della legge n. 68/99 sull’inserimento lavorativo dei disabili. Trattasi, in definitiva, di ambiti valutativi che per caratteristiche proprie possono definirsi autoprodotturi potenziali di “falsi invalidi”! Da qui l’indispensabilità dell’utilizzazione del “giusto” metodo da parte di capaci e selezionati professionisti ai quali, inoltre, siano messi a disposizione adeguati strumenti ed idonee condizioni di lavoro. Ma ciò ancora non basta. L’accertamento della Commissione inevitabilmente si fonda sull’operato di altri colleghi, talora fondamentale per il raggiungimento di un corretto giudizio: si pensi all’importanza certificativa (e divulgativa nei confronti del cittadino) del Medico di Medicina Generale e all’opera puntualizzatrice, diagnostico-prognostica, richiesta agli specialisti (ambulatoriali o ospedalieri). Risulta pertanto evidente la necessità di fornire a questi altri protagonisti dell’accertamento, non certo di secondo piano, quegli strumenti per ben comprendere quanto a loro viene richiesto ed ancor prima la “portata” del loro intervento.

Il problema dei falsi invalidi / U.R. Genovese. ((Intervento presentato al convegno Invalidità Civile e Handicap: il Medico di Medicina Generale e le Aspettative dei Cittadini tenutosi a Milano nel 2004.

Il problema dei falsi invalidi

U.R. Genovese
Primo
2004

Abstract

La bugia deve essere praticamente utile a chi la costruisce; inoltre questi cerca di fare apparire ad altri vero ciò che non è tale: è cioè un’invenzione che implica l’intenzione di trarre altri in inganno” da: Il determinismo della bugia in L. Battistelli, La bugia nei normali, nei criminali e nei folli, Ed. Laterza, Bari, 1923 Finchè ci saranno invalidi, ci saranno anche falsi invalidi , dovendosi, però, presupporre, perchè ciò accada, la presenza, da una parte, di qualcuno che cerca di fare apparire ad altri vero ciò che non è tale (il falso invalido), e, dall’altra, di qualcuno che inevitabilmente non si accorga dell’inganno (l’accertatore). Il problema dei cosiddetti ‘falsi invalidi’ si colloca nella più ampia questione che riguarda molteplici aspetti della “vita sociale” anche correlati tra loro; tra questi, sono stati identificati diversi campi di rilievo: campo delle relazioni intersoggettive (cosiddetto rapporto “orizzontale”); campo delle relazioni Stato-individuo (rapporto “verticale”); ed ancora campo delle relazioni individuo-società (rapporto sociale vero e proprio). Tra questi, l’ambito delle relazioni Stato-individuo rileva in particolare nel momento in cui viene avanzata l’ipotesi di un illecito penale. Appare però quantomeno riduttivo focalizzare l’attenzione esclusivamente sul problema sociale e giuridico, esistendone a riguardo, tra l’altro, ampia documentazione, specie in alcune realtà (vedasi i casi giunti all’attenzione dei Tribunali di Benevento, Avellino, Ariano Irpino e Catanzaro ). A prescindere dai casi chiaramente “dolosi” di “falsa” attestazione di invalidità (ad opera di attori, cittadino-sanitari, “malintenzionati”), si ritiene che, da un punto di vista tecnico, la questione più interessante si collochi antecedentemente al riconoscimento stesso dello “stato” di invalido, ultimo atto di un iter procedurale lungo e complesso (presentazione della domanda, visita ed accertamento da parte della Commissione medica della ASL, revisione e verifica della permanenza dello stato accertato da parte di altre Commissioni, ecc.), all’interno del quale, in ogni “passaggio”, può teoricamente inserirsi un “errore” che può condurre ad un giudizio “falsato” non voluto. Il cercare di evitare l’errore non voluto conduce, infatti, a prevenire inevitabilmente l’errore ricercato da chi persegue un diritto che non gli spetta. Si dovrebbe, pertanto, non puntare tutta l’attenzione sul cittadino ‘falso invalido’, cercando di indirizzarla su ciò che di “falso” – o, meglio, di errato – può essere, ad esempio, ricompreso nel concetto stesso di invalidità ed ancor più nella modalità di verifica di tale stato. Innanzitutto dovrebbe finalmente raggiungersi una unicità di definizioni, con terminologia precisa, univoca e non dubbia , che di fatto nella realtà non esiste ancora. A tale riguardo, ad esempio, pare forse essere giunto il momento per una revisione del concetto di “soggetto invalido”, raggiungendo così una uniformità concettuale, senza barriere cronologiche (attualmente, a seconda dell’età, il riferimento è alla capacità di compiere gli atti quotidiani della vita o alla capacità lavorativa generica) e al passo con le nuove indicazioni dell’OMS (International Classification of Functioning, disability and health). Per quanto riguarda invece l’ambito valutativo, che senz’altro qui più interessa, già Umani Ronchi aveva sottolineato che “in non pochi casi esaminati non era tanto l’invalido ad essere fasullo, quanto il complessivo sistema accertativo che faceva acqua da tutte le parti”, a completo discapito del cittadino ed anche dell’intera comunità. Dall’analisi della Letteratura emerge chiaramente come tale esigenza sia già esplicita da tempo , con reclamo in particolare di mancanza di oggettività, di linee guida, di criteri di accertamento univoci; a tutt’oggi, però, non sono stati operati grandi cambiamenti migliorativi in tal senso, né sono state concepite efficaci ed operative “linee guida”, che tanto risulterebbero utili, specie come paracadute della coscienza, parendo anzi la tendenza predominante quella di complicare e burocratizzare un accertamento che dovrebbe piuttosto cercare di garantire, attraverso una “omogeneizzazione dei criteri valutativi” ed una “semplificazione delle procedure” , una verifica obiettiva e rigorosa di una condizione “invalidante” dello stato di salute. Tale eterogeneità di valutazione non risulta tuttavia prerogativa solamente italiana, essendo la norma, secondo studi compiuti anni fa, anche nella complessa realtà europea . Si tenga inoltre presente la complessità di certi accertamenti, come ad esempio la verifica dello stato di ‘handicap’ (L.104/92) che non è solamente basata sul rilievo di condizioni patologiche “biologiche” verificabili obiettivamente, ma “richiede anche una valutazione, riferita al singolo caso, dei molteplici fattori sociali ed ambientali implicati nei processi di emarginazione e nella compromissione dell’autonomia personale del disabile” , con diversità strettamente dipendenti da variabili del tutto personali, quali l’età, il sesso, il background socio-culturale, le eventuali “barriere architettoniche”, ecc, di cui la Commissione dove necessariamente tener conto nel suo giudizio finale, pena l’elaborazione di un giudizio erroneo ed incompleto. Ed ancora si rifletta sulla complessità e sulla multidisciplinarietà dell’accertamento nell’ambito della legge n. 68/99 sull’inserimento lavorativo dei disabili. Trattasi, in definitiva, di ambiti valutativi che per caratteristiche proprie possono definirsi autoprodotturi potenziali di “falsi invalidi”! Da qui l’indispensabilità dell’utilizzazione del “giusto” metodo da parte di capaci e selezionati professionisti ai quali, inoltre, siano messi a disposizione adeguati strumenti ed idonee condizioni di lavoro. Ma ciò ancora non basta. L’accertamento della Commissione inevitabilmente si fonda sull’operato di altri colleghi, talora fondamentale per il raggiungimento di un corretto giudizio: si pensi all’importanza certificativa (e divulgativa nei confronti del cittadino) del Medico di Medicina Generale e all’opera puntualizzatrice, diagnostico-prognostica, richiesta agli specialisti (ambulatoriali o ospedalieri). Risulta pertanto evidente la necessità di fornire a questi altri protagonisti dell’accertamento, non certo di secondo piano, quegli strumenti per ben comprendere quanto a loro viene richiesto ed ancor prima la “portata” del loro intervento.
6-mar-2004
Settore MED/43 - Medicina Legale
Ordine Provinciale dei Medici-Chirurghi e degli Odontoiatri
Il problema dei falsi invalidi / U.R. Genovese. ((Intervento presentato al convegno Invalidità Civile e Handicap: il Medico di Medicina Generale e le Aspettative dei Cittadini tenutosi a Milano nel 2004.
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