Titolo ed argomento molto impegnativo nella sua prima parte (il rapporto di causalità), direi “troppo” impegnativo, in quanto certamente più consono ad un giurista. Tuttavia mitigato nella seconda parte (in medicina legale), dove se ne specifica il campo applicativo: quindi un campo a me più congeniale. Il mio proposito sarà pertanto quello di tratteggiare quale dovrebbe essere (secondo me) il compito del tecnico chiamato dal giudice a rispondere sul ricorrere o meno di un nesso di causa in ambito scientifico -e quindi anche medico-. Premessa: La causalità si pone su due piani Il piano della causalità generale (è quella che riguarda le popolazioni, la prevenzione, è quella utilizzata dal medico terapeuta nella diagnosi differenziale): si avvale della teoria della causalità adeguata, della causa idonea del valutazione del rischio ex ante della probabilità statistica ex ante Il secondo piano è quello della causalità particolare (è quella che riguarda la singola persona, della valutazione ex post): si avvale della teoria della conditio sine qua non della equivalenza delle cause La mia esperienza Fin verso la metà degli anni 90, a me tecnico veniva chiesto dal giudice di stabilire se l’azione/omissione dell’agente fosse (o fosse stata) idonea a provocare la conseguenza delittuosa (lesione o morte); in questa prospettiva utilizzavo i criteri della idoneità lesiva indicati dal Cazzaniga fin dal 1919 (criterio cronologico, topografico, modale) e qui terminava il mio compito, compito peraltro facile; passavo quindi tutto al giudice il quale prendeva queste mie indicazioni di idoneità “in generale” e le applicava al caso specifico: era quindi il giudice che attualizzava e particolizzava quanto affermato dal tecnico; era lui che passava dalla causalità generale alla causalità particolare. Il compito del consulente era facile. Più misterioso è come potesse fare il giudice: di fronte ad una consulenza che affermava come l’azione/omissione dell’agente fosse solo idonea ad uccidere, come poteva egli concludere che l’agente aveva ucciso? Questo errore concettuale, questa discrasia non poteva passare inosservata agli operatori del diritto: come potesse il giudice, utilizzando un giudizio tecnico espresso secondo la teoria della causalità adeguata, poi arrivare a formulare un giudizio secondo la teoria della conditio sine qua non. Verso la metà degli anni 90 le cose sono cambiate. E le ragioni sono molte: - Certamente i difensori delle parti non potevano essere soddisfatti di correre un’alea così grande e così dipendente dalle convinzioni di quel giudice in quel momento storico. - Ma anche il giudice non poteva non cogliere questo iato: di essere da un lato chiamato a condannare la persona che avesse effettivamente commesso il delitto e, dall’altro, farlo col supporto di una consulenza tecnica che concludeva dicendo come la azione/omissione dell’indagato era solo in astratto idonea a produrre quella conseguenza lesiva (perché il peso di questa condanna (o di questa assoluzione) deve ricadere solo di me?) Credo tuttavia che in questo processo evolutivo il ruolo maggiore l’abbia svolto la spinta scientifica e in particolare il ruolo che nel secolo scorso ha avuto la filosofia della scienza, che non poteva investire anche il diritto. Ora il compito del tecnico (di colui che applica la scienza) diventa più difficile. Si prende coscienza che è il tecnico a dover indagare non solo la causalità generale, ma anche la causalità particolare, quindi secondo una metodologia scientifica propria della causalità individuale: i vecchi criteri della idoneità lesiva nulla dicono nella causalità particolare. Ora vanno utilizzati altri criteri, quelli indicati dai filosofi della scienza, tra i quali il più condiviso e meno inadeguato è quello del modello di sussunzione sotto leggi di Hempel: leggi di copertura in forma universale o determinativa oppure in forma probabilistica (queste ultime consentono spiegazioni meno forti delle determinative, perché affermano una regolarità di accadimento minore, ma comunque prossima all’unità, prossima al 100%): la certezza e/o la quasi certezza. Di conseguenza sorge un problema conflittuale: il parere del tecnico prefigura e condiziona quello del giudice: se la legge di copertura è individuata dal tecnico, anche il giudice deve condividere il giudizio sul ricorrere del nesso causale; ma se il tecnico, per qualsiasi motivo, non trova e non enuncia una legge di copertura, l’ipotesi accusatoria deve essere abbandonata. Da qui tutta una serie di domande tra esse collegate cui dover dare una risposta razionale e convincente: • quando il giudice tratta di materie scientifiche, devono prevalere le regole della scienza o quelle del diritto? • deve prevalere il convincimento del giudice o il parere del tecnico? (ovviamente dando per scontato che il parere del tecnico sia formulato con tutti i crismi della scientificità e non con quelli della scienza-spazzatura) • il giudice ha il diritto di interferire nelle conclusioni scientifiche del proprio fiduciario tecnico? deve essere l’interprete delle risultanze scientifiche ? (inter pretium = mediatore, sensale) • oppure il giudice ha il compito-dovere di essere il custode del criterio scientifico, vale a dire di verificare se il suo consulente tecnico abbia espresso conclusioni scientificamente corrette e motivate? Sentenza della Corte di Cassazione Civile USA (1993) nel caso Daubert v. Merrell Dow (sugli effetti teratogeni del farmaco Bendectin): il Giudice Blackmun sancisce il principio secondo cui le Corti, quali custodi del metodo scientifico, debbono seguire ed applicare tutte le teorie scientifiche, anche se tra esse contrastanti e in particolare seguire: • sia la teoria nomologico-deduttiva che trova in Hempel il principale fautore (o criterio nomologico-deduttivo o modello di Hempel-Oppenheim o modello delle leggi di copertura) • sia la teoria antiinduttivistica della “incessante discussione critica” (del succedersi di problemi teorie critiche) di Popper (lo scienziato deve tendere a falsificare l’ipotesi scientifica; in caso contrario la può solo corroborare temporaneamente) • ad esse può affiancarsi anche il metodo del consenso generale della comunità scientifica (della matrice disciplinare o del paradigma, del succedersi di teorie accettate dalla comunità scientifica, crisi, rivoluzione, del ritorno ad una matrice comune) di Kuhn, che tuttavia non le può sostituire A questa serie di domande giuristi e giudici danno risposte diverse. Una posizione si rispecchia in una serie di sentenze di cui mi pare che quelle più significative, in ordine di data siano: 1) Nel 2000 si ha una prima affermazione a favore del primato della scienza (Sez. 4. 28.9.2000, Musto e 29.11.2000, Baltrocchi). Alla espressione “alto grado di probabilità” deve essere dato il significato che le attribuisce “la scienza e, prima ancora, la logica cui la scienza si ispira, e che non può non attribuirle il diritto”: vale a dire di “probabilità vicino alla certezza”. Il che richiede che il giudice debba avvalersi di una legge o proposizione scientifica che “enuncia una connessione tra eventi in una percentuale vicina a cento” (sono le leggi di copertura del modello nomologico-deduttivo) 2) Il primo enunciato della sentenza Franzese (SS. UU. 10 luglio 2002, n. 27: “ il nesso causale può essere ravvisato quando, alla stregua del giudizio controfattuale condotto sulla base di una generalizzata regola di esperienza o di una legge scientifica -universale o statistica- si accerti che, ipotizzandosi come realizzata dal medico la condotta doverosa impeditiva dell’evento “hic et nunc”, questo non si sarebbe verificato, ovvero si sarebbe verificato ma in epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva” 3) La sentenza n. 19777 del 25.11.2004 della sez. IV, quando afferma che: “… il giudice per accertare se una persona deve essere privata del diritto inviolabile della libertà, così come lo definisce la Carta Costituzionale, non può non essere, nel proprio settore, meno culturalmente rigoroso … del filosofo, dello scienziato o dello storico, … il rigore gli è imposto in ogni caso di accertamento della responsabilità penale dal codice di rito, le cui norma sulla prova …… e il cui principio dell’oltre ogni ragionevole dubbio sono incontestabili espressioni di questo rigore…” e aggiunge: “… sul rapporto di causalità tra condotta ed evento [non vi deve essere] alcun spazio all’incertezza, se non lo spazio al dubbio ontologicamente proprio della ricerca scientifica”. Sono queste affermazioni che intendono il nesso causale solo sempre ed esclusivamente in versione (scientificamente) forte: ed è questa l’unica modalità di espressione del nesso causale che, per i suo assoluto rigore metodologico, secondo molti giuristi (tra cui il compianto prof. Federico Stella), deve caratterizzare le sentenze penali. E’ ovvio che leggi di coperture scientifiche a carattere (sia universale sia probabilistico) sono difficili da trovare ed enunciare e questa difficoltà è vieppiù avvertita in ambito biologico e medico. A parte alcune (anche ovvie) leggi scientifiche pressoché costantemente verificabili al ricorrere di una lesività meccaniche, pochissime sono le cose che in medicina consentono di raggiungere la certezza o la quasi certezza; neppure di fronte ad un accanito fumatore affetto da tumore polmonare si è in grado di stabilire con certezza (o quasi certezza) se l’agente eziopatogenetico sia stato il fumo di sigaretta, perché le statistiche indicano nelle neoplasie del polmone una prevalenza eziopatogenetica del fumo di sigaretta dell’85-90%, ma il restante 10-15% riconosce una eziologia oggi sconosciuta (per la esperienza da me maturata in questi anni, vi è certezza/quasi certezza che un emangiosarcoma epatico si manifesti solo ad esposizioni di cloruro di vinile monomero ad altissime concentrazioni; che asbestosi e neoplasia polmonare da asbesto compaiano solo in persone che abbiano avuto esposizioni all’amianto estremamente elevate e prolungate; che il mesotelioma sia riconducibile solo alle primissime esposizioni alle polveri di asbesto, con irrilevanza del successivi periodi espositivi). Si può quindi rinunciare al rigore metodologico prima richiamato? Risponde a questa domanda l’altra posizione giuridica, che si rispecchia in altre e differenti affermazioni della cassazione, tra cui: 1. la sentenza Orlando (Sez. 4, 23.1.2002) dove si dice che a) un dato percentualistico pure alto non assume valore eziologico quando risulti che l’evento è stato in realtà cagionato da altra condizione b) una percentuale statistica medio-bassa potrebbe trovare invece significato dalla verificata insussistenza di altre possibili condizioni, di cui sia stata esclusa l’interferenza 2. il secondo enunciato della stessa sentenza Franzese: “non è consentito dedurre automaticamente dal coefficiente di probabilità espresso dalla legge statistica la conferma, o meno, dell’ipotesi accusatoria sull’esistenza del nesso causale, poiché il giudice deve verificarne la validità nel caso concreto, sulla base delle circostanze del fatto e dell’evidenza disponibile, così che, all’esito del ragionamento probatorio che abbia altresì escluso l’interferenza di fattori alternativi, risulti giustificata e processualmente certa la conclusione che la condotta omissiva del medico è stata condizione necessaria dell’evento lesivo con “alto o elevato grado di credibilità razionale” o “probabilità logica” 3. tutta la seconda parte sempre della sentenza Franzese, dove si sottolinea a) che deve essere operata una distinzione fra l’opera del tecnico e quella del magistrato: al tecnico compete esprimersi secondo il parametro della “probabilità scientifica” che attiene alla verifica empirica circa la misura della frequenza relativa alla successione degli eventi, mentre al magistrato spetta formulare un giudizio di “probabilità logica” e “di elevato grado di credibilità razionale” che tenga conto delle considerazioni del tecnico, tuttavia integrate dagli elementi di giudizio solo a disposizione del giudice b) “che non è consentito dedurre automaticamente dal coefficiente di probabilità espresso dalla legge statistica la conferma, o meno, dell’ipotesi accusatoria sull’esistenza del nesso causale, poiché il giudice deve verificarne la validità nel caso concreto” c) che “nulla esclude” che anche “coefficienti medio-bassi di probabilità cosiddetta frequentista, se corroborati dal positivo riscontro probatorio … circa la sicura non incidenza di fattori interagenti in via alternativa … possano essere utilizzati per il riconoscimento giudiziale del necessario nesso di condizionamento…” d) che la spiegazione quantitativa “attraverso cristallizzati coefficienti numerici” è inadeguata a esprimere il nesso di causa e che ad essa deve essere preferita una enunciazione “in termini qualitativi” Mi è difficile capire perché solo al ragionamento del giudice venga riconosciuta credibilità razionale e/o probabilità logica e dove sia l’antinomia fra la probabilità logica del giudice e la probabilità numerica del tecnico. Perché vi è timore del numero? Forse il giudice ha timore di perdere la propria indipendenza ? o non piuttosto il proprio arbitrio ?) Per questo un siffatto nesso causale inteso in versione (scientificamente) debole mi convince poco, anche se una delle più recenti sentenze di Cassazione (la 4177 del 2.2.2007, sez. IV) ribadisce che “il giudizio positivo sulla sussistenza del nesso eziologico non si baserà più solo sul calcolo aritmetico statistico (quale che sia la percentuale rilevante), ma dovrà trovare il proprio supporto nell’apprezzamento di tutti gli specifici fattori che hanno caratterizzato la vicenda concreta”; in questa sentenza la Cassazione riconosce la legittimità della sentenza dei giudici di appello che, “dopo aver richiamato la dichiarazione resa dal consulente del PM in merito alla discreta possibilità di salvare” il paziente con un più tempestivo intervento”, considerato il significato semantico del termine … concludono per la ricorrenza nella fattispecie “di una elevata o comunque notevole probabilità di esito positivo conseguente” ad una corretta attivazione del medico, nel caso possibile e doverosa. La sentenza di appello è ritenuta legittima perché una possibilità di sopravvivenza definita dal tecnico discreta, è stata interpretata dai giudici di appello come espressione di una elevata o comunque notevole probabilità di esito positivo. Per contro, in altra sentenza dell’anno prima (la n. 23881 del 6.6.06 della IV sez.) la Cassazione cassava la sentenza della corte di merito rilevando difformità fra quanto detto dal consulente del PM., il quale aveva richiamato parametri e criteri valutativi a struttura probabilistica, ritenuti ben lontani dal concetto di quasi certezza poi espresso dalla corte di merito. La sentenza di appello non è ritenuta legittima perché una valutazione probabilistica del tecnico è stata dalla interpretazione dei giudici di appello elevata a quasi certezza. A mio parere l’equivoco di fondo sta nel fatto che il tecnico esprime delle aggettivazioni qualitative, astenendosi della quantificazione del dato, quasi avesse paura di dare il numero. A maggior ragione in questi casi di nesso causale in versione debole, a mio parere, il consulente tecnico non può limitarsi ad una aggettivazione qualitativa (di probabilità/possibilità elevata, grande, notevole, bassa, limitata, ridotta), ma a lui spetta il compito di identificare se ricorrano leggi statistiche a carattere frequentista, in quanto esse, anche se non sono leggi di copertura, esprimono comunque delle frequenze e, qualora ricorrano, di esprimere queste frequenze numeriche. D’altra parte due, a mio parere, sono i limiti che la stessa sentenza Franzese e le successive pronunzie di Cassazione pongono al Giudice che intenda utilizzare il nesso causale in versione debole. Il primo è proprio quello del numero: se la legge contenuta nell’explanans ha solo carattere frequentista, ad essa, dice la sentenza, va concesso un grado di fiducia proporzionale alla frequenza insita nella legge stessa [“Il sapere scientifico accessibile al giudice è costituito … sia da leggi universali … sia da leggi statistiche che si limitano ad affermare che il verificarsi di un evento è accompagnato dal verificarsi di un altro evento in una certa percentuale di casi e con una frequenza relativa, con la conseguenza che queste ultime (ampiamente diffuse nei settori delle scienze naturali, quali la biologia la medicina e la chimica) sono tanto più dotate di “alto grado di credibilità razionale” o “probabilità logica”, quanto più trovano applicazione in un numero sufficientemente elevato di casi e ricevono conferma mediante il ricorso a metodi di prova razionali ed empiricamente controllabili”]. Ciò significa che, nel proporre al Giudice la “probabilità frequentista” (o la “probabilità numerica”), il consulente tecnico deve avere presente che nella versione debole del nesso di causa individuale vale comunque il concetto del più probabile che no. Sono questi i coefficienti medio-bassi di probabilità c.d. frequentista della più volte citata sentenza Franzese. Difatti, per ritenere un evento probabile il grado di probabilità deve per lo meno essere superiore al 50%. Riconoscere una frequenza del 50% significa pur sempre essere nel campo dell’incerto e del possibile, essendo uguali le probabilità del verificarsi o non verificarsi dell’evento, del ricorrere o non ricorrere del nesso causale. Di conseguenza, quando nel linguaggio giuridico si parla di probabilità, necessariamente ci si deve riferire a percentuali comunque e sempre superiori al 50%, in quanto il nesso causale diviene probabile solo se viene superato il limite del possibile, appunto espresso dalla percentuale del 50%. Il secondo limite sta nel fatto che un ragionamento probatorio espresso secondo leggi statistiche a carattere frequentista nella forma debole del più probabile che no, assume significato solo quando venga esclusa la interferenza di fattori alternativi: quindi compito aggiuntivo (ma imprescindibile) del consulente tecnico è quello di rispondere al Magistrato segnalando il ricorrere - o meno - di altra(e) causa(e) della stessa patologia. Concetto ripreso e ribadito costantemente dalla Cassazione, anche in una sentenza che credo abbia avuto qui ampia eco: la n. 25233 del 25.5.2005 sez. IV (Lucarelli), laddove la sentenza della corte di merito è cassata, oltre che per la mancata dimostrazione della causa materiale del contagio, perché non ha adeguatamente motivato la esclusione di fattori alternativi interferenti e plausibili [nel caso specifico non avendo escluso “che sangue infetto … possa essere stato custodito al di fuori dell’ambiente ospedaliero per essere poi di volta in volta utilizzato per gli atti di sabotaggio…”]. Da qui la conclusione che “ … la insufficienza, la contraddittorietà e l’incertezza del riscontro probatorio sulla ricostruzione del nesso causale, quindi il ragionevole dubbio … sulla reale efficacia condizionante della condotta omissiva … rispetto ad altri fattori interagenti nella produzione dell’evento lesivo, (comporta) la neutralizzazione dell’ipotesi prospettata dall’accusa e l’esito assolutorio …” Analoga la situazione secondo la mia esperienza di - cirrosi epatica e di epatocarcinomi in lavoratori forse anche esposti al cloruro di vinile, ma con storia di etilismo cronico e/o epatiti virali - di tumori della vescica nei parrucchieri esposti a tinture per capelli, ma anche fumatori - di neoplasie delle vie respiratorie in lavoratori della plastica, delle costruzioni ferroviarie, della gomma, o per varie ragioni con storia di esposizioni all’amianto, ma pur essi fumatori.

Il rapporto di causalità in medicina legale / M. Grandi. ((Intervento presentato al convegno La responsabilità penale del medico tenutosi a Porto Recanati nel 2007.

Il rapporto di causalità in medicina legale

M. Grandi
Primo
2007

Abstract

Titolo ed argomento molto impegnativo nella sua prima parte (il rapporto di causalità), direi “troppo” impegnativo, in quanto certamente più consono ad un giurista. Tuttavia mitigato nella seconda parte (in medicina legale), dove se ne specifica il campo applicativo: quindi un campo a me più congeniale. Il mio proposito sarà pertanto quello di tratteggiare quale dovrebbe essere (secondo me) il compito del tecnico chiamato dal giudice a rispondere sul ricorrere o meno di un nesso di causa in ambito scientifico -e quindi anche medico-. Premessa: La causalità si pone su due piani Il piano della causalità generale (è quella che riguarda le popolazioni, la prevenzione, è quella utilizzata dal medico terapeuta nella diagnosi differenziale): si avvale della teoria della causalità adeguata, della causa idonea del valutazione del rischio ex ante della probabilità statistica ex ante Il secondo piano è quello della causalità particolare (è quella che riguarda la singola persona, della valutazione ex post): si avvale della teoria della conditio sine qua non della equivalenza delle cause La mia esperienza Fin verso la metà degli anni 90, a me tecnico veniva chiesto dal giudice di stabilire se l’azione/omissione dell’agente fosse (o fosse stata) idonea a provocare la conseguenza delittuosa (lesione o morte); in questa prospettiva utilizzavo i criteri della idoneità lesiva indicati dal Cazzaniga fin dal 1919 (criterio cronologico, topografico, modale) e qui terminava il mio compito, compito peraltro facile; passavo quindi tutto al giudice il quale prendeva queste mie indicazioni di idoneità “in generale” e le applicava al caso specifico: era quindi il giudice che attualizzava e particolizzava quanto affermato dal tecnico; era lui che passava dalla causalità generale alla causalità particolare. Il compito del consulente era facile. Più misterioso è come potesse fare il giudice: di fronte ad una consulenza che affermava come l’azione/omissione dell’agente fosse solo idonea ad uccidere, come poteva egli concludere che l’agente aveva ucciso? Questo errore concettuale, questa discrasia non poteva passare inosservata agli operatori del diritto: come potesse il giudice, utilizzando un giudizio tecnico espresso secondo la teoria della causalità adeguata, poi arrivare a formulare un giudizio secondo la teoria della conditio sine qua non. Verso la metà degli anni 90 le cose sono cambiate. E le ragioni sono molte: - Certamente i difensori delle parti non potevano essere soddisfatti di correre un’alea così grande e così dipendente dalle convinzioni di quel giudice in quel momento storico. - Ma anche il giudice non poteva non cogliere questo iato: di essere da un lato chiamato a condannare la persona che avesse effettivamente commesso il delitto e, dall’altro, farlo col supporto di una consulenza tecnica che concludeva dicendo come la azione/omissione dell’indagato era solo in astratto idonea a produrre quella conseguenza lesiva (perché il peso di questa condanna (o di questa assoluzione) deve ricadere solo di me?) Credo tuttavia che in questo processo evolutivo il ruolo maggiore l’abbia svolto la spinta scientifica e in particolare il ruolo che nel secolo scorso ha avuto la filosofia della scienza, che non poteva investire anche il diritto. Ora il compito del tecnico (di colui che applica la scienza) diventa più difficile. Si prende coscienza che è il tecnico a dover indagare non solo la causalità generale, ma anche la causalità particolare, quindi secondo una metodologia scientifica propria della causalità individuale: i vecchi criteri della idoneità lesiva nulla dicono nella causalità particolare. Ora vanno utilizzati altri criteri, quelli indicati dai filosofi della scienza, tra i quali il più condiviso e meno inadeguato è quello del modello di sussunzione sotto leggi di Hempel: leggi di copertura in forma universale o determinativa oppure in forma probabilistica (queste ultime consentono spiegazioni meno forti delle determinative, perché affermano una regolarità di accadimento minore, ma comunque prossima all’unità, prossima al 100%): la certezza e/o la quasi certezza. Di conseguenza sorge un problema conflittuale: il parere del tecnico prefigura e condiziona quello del giudice: se la legge di copertura è individuata dal tecnico, anche il giudice deve condividere il giudizio sul ricorrere del nesso causale; ma se il tecnico, per qualsiasi motivo, non trova e non enuncia una legge di copertura, l’ipotesi accusatoria deve essere abbandonata. Da qui tutta una serie di domande tra esse collegate cui dover dare una risposta razionale e convincente: • quando il giudice tratta di materie scientifiche, devono prevalere le regole della scienza o quelle del diritto? • deve prevalere il convincimento del giudice o il parere del tecnico? (ovviamente dando per scontato che il parere del tecnico sia formulato con tutti i crismi della scientificità e non con quelli della scienza-spazzatura) • il giudice ha il diritto di interferire nelle conclusioni scientifiche del proprio fiduciario tecnico? deve essere l’interprete delle risultanze scientifiche ? (inter pretium = mediatore, sensale) • oppure il giudice ha il compito-dovere di essere il custode del criterio scientifico, vale a dire di verificare se il suo consulente tecnico abbia espresso conclusioni scientificamente corrette e motivate? Sentenza della Corte di Cassazione Civile USA (1993) nel caso Daubert v. Merrell Dow (sugli effetti teratogeni del farmaco Bendectin): il Giudice Blackmun sancisce il principio secondo cui le Corti, quali custodi del metodo scientifico, debbono seguire ed applicare tutte le teorie scientifiche, anche se tra esse contrastanti e in particolare seguire: • sia la teoria nomologico-deduttiva che trova in Hempel il principale fautore (o criterio nomologico-deduttivo o modello di Hempel-Oppenheim o modello delle leggi di copertura) • sia la teoria antiinduttivistica della “incessante discussione critica” (del succedersi di problemi teorie critiche) di Popper (lo scienziato deve tendere a falsificare l’ipotesi scientifica; in caso contrario la può solo corroborare temporaneamente) • ad esse può affiancarsi anche il metodo del consenso generale della comunità scientifica (della matrice disciplinare o del paradigma, del succedersi di teorie accettate dalla comunità scientifica, crisi, rivoluzione, del ritorno ad una matrice comune) di Kuhn, che tuttavia non le può sostituire A questa serie di domande giuristi e giudici danno risposte diverse. Una posizione si rispecchia in una serie di sentenze di cui mi pare che quelle più significative, in ordine di data siano: 1) Nel 2000 si ha una prima affermazione a favore del primato della scienza (Sez. 4. 28.9.2000, Musto e 29.11.2000, Baltrocchi). Alla espressione “alto grado di probabilità” deve essere dato il significato che le attribuisce “la scienza e, prima ancora, la logica cui la scienza si ispira, e che non può non attribuirle il diritto”: vale a dire di “probabilità vicino alla certezza”. Il che richiede che il giudice debba avvalersi di una legge o proposizione scientifica che “enuncia una connessione tra eventi in una percentuale vicina a cento” (sono le leggi di copertura del modello nomologico-deduttivo) 2) Il primo enunciato della sentenza Franzese (SS. UU. 10 luglio 2002, n. 27: “ il nesso causale può essere ravvisato quando, alla stregua del giudizio controfattuale condotto sulla base di una generalizzata regola di esperienza o di una legge scientifica -universale o statistica- si accerti che, ipotizzandosi come realizzata dal medico la condotta doverosa impeditiva dell’evento “hic et nunc”, questo non si sarebbe verificato, ovvero si sarebbe verificato ma in epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva” 3) La sentenza n. 19777 del 25.11.2004 della sez. IV, quando afferma che: “… il giudice per accertare se una persona deve essere privata del diritto inviolabile della libertà, così come lo definisce la Carta Costituzionale, non può non essere, nel proprio settore, meno culturalmente rigoroso … del filosofo, dello scienziato o dello storico, … il rigore gli è imposto in ogni caso di accertamento della responsabilità penale dal codice di rito, le cui norma sulla prova …… e il cui principio dell’oltre ogni ragionevole dubbio sono incontestabili espressioni di questo rigore…” e aggiunge: “… sul rapporto di causalità tra condotta ed evento [non vi deve essere] alcun spazio all’incertezza, se non lo spazio al dubbio ontologicamente proprio della ricerca scientifica”. Sono queste affermazioni che intendono il nesso causale solo sempre ed esclusivamente in versione (scientificamente) forte: ed è questa l’unica modalità di espressione del nesso causale che, per i suo assoluto rigore metodologico, secondo molti giuristi (tra cui il compianto prof. Federico Stella), deve caratterizzare le sentenze penali. E’ ovvio che leggi di coperture scientifiche a carattere (sia universale sia probabilistico) sono difficili da trovare ed enunciare e questa difficoltà è vieppiù avvertita in ambito biologico e medico. A parte alcune (anche ovvie) leggi scientifiche pressoché costantemente verificabili al ricorrere di una lesività meccaniche, pochissime sono le cose che in medicina consentono di raggiungere la certezza o la quasi certezza; neppure di fronte ad un accanito fumatore affetto da tumore polmonare si è in grado di stabilire con certezza (o quasi certezza) se l’agente eziopatogenetico sia stato il fumo di sigaretta, perché le statistiche indicano nelle neoplasie del polmone una prevalenza eziopatogenetica del fumo di sigaretta dell’85-90%, ma il restante 10-15% riconosce una eziologia oggi sconosciuta (per la esperienza da me maturata in questi anni, vi è certezza/quasi certezza che un emangiosarcoma epatico si manifesti solo ad esposizioni di cloruro di vinile monomero ad altissime concentrazioni; che asbestosi e neoplasia polmonare da asbesto compaiano solo in persone che abbiano avuto esposizioni all’amianto estremamente elevate e prolungate; che il mesotelioma sia riconducibile solo alle primissime esposizioni alle polveri di asbesto, con irrilevanza del successivi periodi espositivi). Si può quindi rinunciare al rigore metodologico prima richiamato? Risponde a questa domanda l’altra posizione giuridica, che si rispecchia in altre e differenti affermazioni della cassazione, tra cui: 1. la sentenza Orlando (Sez. 4, 23.1.2002) dove si dice che a) un dato percentualistico pure alto non assume valore eziologico quando risulti che l’evento è stato in realtà cagionato da altra condizione b) una percentuale statistica medio-bassa potrebbe trovare invece significato dalla verificata insussistenza di altre possibili condizioni, di cui sia stata esclusa l’interferenza 2. il secondo enunciato della stessa sentenza Franzese: “non è consentito dedurre automaticamente dal coefficiente di probabilità espresso dalla legge statistica la conferma, o meno, dell’ipotesi accusatoria sull’esistenza del nesso causale, poiché il giudice deve verificarne la validità nel caso concreto, sulla base delle circostanze del fatto e dell’evidenza disponibile, così che, all’esito del ragionamento probatorio che abbia altresì escluso l’interferenza di fattori alternativi, risulti giustificata e processualmente certa la conclusione che la condotta omissiva del medico è stata condizione necessaria dell’evento lesivo con “alto o elevato grado di credibilità razionale” o “probabilità logica” 3. tutta la seconda parte sempre della sentenza Franzese, dove si sottolinea a) che deve essere operata una distinzione fra l’opera del tecnico e quella del magistrato: al tecnico compete esprimersi secondo il parametro della “probabilità scientifica” che attiene alla verifica empirica circa la misura della frequenza relativa alla successione degli eventi, mentre al magistrato spetta formulare un giudizio di “probabilità logica” e “di elevato grado di credibilità razionale” che tenga conto delle considerazioni del tecnico, tuttavia integrate dagli elementi di giudizio solo a disposizione del giudice b) “che non è consentito dedurre automaticamente dal coefficiente di probabilità espresso dalla legge statistica la conferma, o meno, dell’ipotesi accusatoria sull’esistenza del nesso causale, poiché il giudice deve verificarne la validità nel caso concreto” c) che “nulla esclude” che anche “coefficienti medio-bassi di probabilità cosiddetta frequentista, se corroborati dal positivo riscontro probatorio … circa la sicura non incidenza di fattori interagenti in via alternativa … possano essere utilizzati per il riconoscimento giudiziale del necessario nesso di condizionamento…” d) che la spiegazione quantitativa “attraverso cristallizzati coefficienti numerici” è inadeguata a esprimere il nesso di causa e che ad essa deve essere preferita una enunciazione “in termini qualitativi” Mi è difficile capire perché solo al ragionamento del giudice venga riconosciuta credibilità razionale e/o probabilità logica e dove sia l’antinomia fra la probabilità logica del giudice e la probabilità numerica del tecnico. Perché vi è timore del numero? Forse il giudice ha timore di perdere la propria indipendenza ? o non piuttosto il proprio arbitrio ?) Per questo un siffatto nesso causale inteso in versione (scientificamente) debole mi convince poco, anche se una delle più recenti sentenze di Cassazione (la 4177 del 2.2.2007, sez. IV) ribadisce che “il giudizio positivo sulla sussistenza del nesso eziologico non si baserà più solo sul calcolo aritmetico statistico (quale che sia la percentuale rilevante), ma dovrà trovare il proprio supporto nell’apprezzamento di tutti gli specifici fattori che hanno caratterizzato la vicenda concreta”; in questa sentenza la Cassazione riconosce la legittimità della sentenza dei giudici di appello che, “dopo aver richiamato la dichiarazione resa dal consulente del PM in merito alla discreta possibilità di salvare” il paziente con un più tempestivo intervento”, considerato il significato semantico del termine … concludono per la ricorrenza nella fattispecie “di una elevata o comunque notevole probabilità di esito positivo conseguente” ad una corretta attivazione del medico, nel caso possibile e doverosa. La sentenza di appello è ritenuta legittima perché una possibilità di sopravvivenza definita dal tecnico discreta, è stata interpretata dai giudici di appello come espressione di una elevata o comunque notevole probabilità di esito positivo. Per contro, in altra sentenza dell’anno prima (la n. 23881 del 6.6.06 della IV sez.) la Cassazione cassava la sentenza della corte di merito rilevando difformità fra quanto detto dal consulente del PM., il quale aveva richiamato parametri e criteri valutativi a struttura probabilistica, ritenuti ben lontani dal concetto di quasi certezza poi espresso dalla corte di merito. La sentenza di appello non è ritenuta legittima perché una valutazione probabilistica del tecnico è stata dalla interpretazione dei giudici di appello elevata a quasi certezza. A mio parere l’equivoco di fondo sta nel fatto che il tecnico esprime delle aggettivazioni qualitative, astenendosi della quantificazione del dato, quasi avesse paura di dare il numero. A maggior ragione in questi casi di nesso causale in versione debole, a mio parere, il consulente tecnico non può limitarsi ad una aggettivazione qualitativa (di probabilità/possibilità elevata, grande, notevole, bassa, limitata, ridotta), ma a lui spetta il compito di identificare se ricorrano leggi statistiche a carattere frequentista, in quanto esse, anche se non sono leggi di copertura, esprimono comunque delle frequenze e, qualora ricorrano, di esprimere queste frequenze numeriche. D’altra parte due, a mio parere, sono i limiti che la stessa sentenza Franzese e le successive pronunzie di Cassazione pongono al Giudice che intenda utilizzare il nesso causale in versione debole. Il primo è proprio quello del numero: se la legge contenuta nell’explanans ha solo carattere frequentista, ad essa, dice la sentenza, va concesso un grado di fiducia proporzionale alla frequenza insita nella legge stessa [“Il sapere scientifico accessibile al giudice è costituito … sia da leggi universali … sia da leggi statistiche che si limitano ad affermare che il verificarsi di un evento è accompagnato dal verificarsi di un altro evento in una certa percentuale di casi e con una frequenza relativa, con la conseguenza che queste ultime (ampiamente diffuse nei settori delle scienze naturali, quali la biologia la medicina e la chimica) sono tanto più dotate di “alto grado di credibilità razionale” o “probabilità logica”, quanto più trovano applicazione in un numero sufficientemente elevato di casi e ricevono conferma mediante il ricorso a metodi di prova razionali ed empiricamente controllabili”]. Ciò significa che, nel proporre al Giudice la “probabilità frequentista” (o la “probabilità numerica”), il consulente tecnico deve avere presente che nella versione debole del nesso di causa individuale vale comunque il concetto del più probabile che no. Sono questi i coefficienti medio-bassi di probabilità c.d. frequentista della più volte citata sentenza Franzese. Difatti, per ritenere un evento probabile il grado di probabilità deve per lo meno essere superiore al 50%. Riconoscere una frequenza del 50% significa pur sempre essere nel campo dell’incerto e del possibile, essendo uguali le probabilità del verificarsi o non verificarsi dell’evento, del ricorrere o non ricorrere del nesso causale. Di conseguenza, quando nel linguaggio giuridico si parla di probabilità, necessariamente ci si deve riferire a percentuali comunque e sempre superiori al 50%, in quanto il nesso causale diviene probabile solo se viene superato il limite del possibile, appunto espresso dalla percentuale del 50%. Il secondo limite sta nel fatto che un ragionamento probatorio espresso secondo leggi statistiche a carattere frequentista nella forma debole del più probabile che no, assume significato solo quando venga esclusa la interferenza di fattori alternativi: quindi compito aggiuntivo (ma imprescindibile) del consulente tecnico è quello di rispondere al Magistrato segnalando il ricorrere - o meno - di altra(e) causa(e) della stessa patologia. Concetto ripreso e ribadito costantemente dalla Cassazione, anche in una sentenza che credo abbia avuto qui ampia eco: la n. 25233 del 25.5.2005 sez. IV (Lucarelli), laddove la sentenza della corte di merito è cassata, oltre che per la mancata dimostrazione della causa materiale del contagio, perché non ha adeguatamente motivato la esclusione di fattori alternativi interferenti e plausibili [nel caso specifico non avendo escluso “che sangue infetto … possa essere stato custodito al di fuori dell’ambiente ospedaliero per essere poi di volta in volta utilizzato per gli atti di sabotaggio…”]. Da qui la conclusione che “ … la insufficienza, la contraddittorietà e l’incertezza del riscontro probatorio sulla ricostruzione del nesso causale, quindi il ragionevole dubbio … sulla reale efficacia condizionante della condotta omissiva … rispetto ad altri fattori interagenti nella produzione dell’evento lesivo, (comporta) la neutralizzazione dell’ipotesi prospettata dall’accusa e l’esito assolutorio …” Analoga la situazione secondo la mia esperienza di - cirrosi epatica e di epatocarcinomi in lavoratori forse anche esposti al cloruro di vinile, ma con storia di etilismo cronico e/o epatiti virali - di tumori della vescica nei parrucchieri esposti a tinture per capelli, ma anche fumatori - di neoplasie delle vie respiratorie in lavoratori della plastica, delle costruzioni ferroviarie, della gomma, o per varie ragioni con storia di esposizioni all’amianto, ma pur essi fumatori.
2007
Settore MED/43 - Medicina Legale
Il rapporto di causalità in medicina legale / M. Grandi. ((Intervento presentato al convegno La responsabilità penale del medico tenutosi a Porto Recanati nel 2007.
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