Nella Sanità italiana si sta vivendo un periodo di “grande eccitazione” per l’introduzione, l’applicazione e le prospettive correlate al Clinical Risk Management. Quest’ultimo, come noto, si incentra principalmente sulla dimensione cognitiva dell’errore, proponendo il passaggio da un approccio prettamente “personale” (in cui si pone l’attenzione sugli errori degli individui, colpevolizzandoli – e punendoli - per gli stessi) ad uno di “sistema” (in cui si pone l’attenzione sulle condizioni di lavoro degli operatori, cercando di costruire barriere per evitare gli errori o limitarne gli effetti). Anche la Medicina Legale risulta coinvolta in tale processo, facilitata in questa “missione” non soltanto dalla frequente assenza di ostacoli di natura psicologica ed ambientale, ma, soprattutto, dall’esperienza maturata negli anni quale interfaccia tra il mondo sanitario e quello giuridico e sociale, nonchè dalla propensione agli aspetti e alle problematiche di natura etico-deontologica. Ciò detto, la certificazione medica risulta senz'altro un ambito in cui il Medico Legale può fornire utili elementi di riflessione e di critica al fine di raggiungere percorsi condivisi che consentano concretamente di ridurre la possibilità di errore anche in un contesto così insidioso come quello in discussione. E ciò, soprattutto, qualora si consideri che il certificato è senz’altro la forma più diffusa di documentazione dell’attività medica e rappresenta, così come ben sintetizzato dal Barni, una “testimonianza scritta su fatti e comportamenti tecnicamente apprezzabili e valutabili, la cui dimostrazione può produrre affermazione di particolari diritti soggettivi previsti dalla legge ovvero determinare particolari conseguenze a carico dell’individuo e della società, aventi rilevanza giuridica e/o amministrativa …”.
E’ possibile stendere una trappola all’errore nel certificare? / U.R. Genovese. ((Intervento presentato al convegno Gli errori nella certificazione tenutosi a Milano nel 2010.
E’ possibile stendere una trappola all’errore nel certificare?
U.R. GenovesePrimo
2010
Abstract
Nella Sanità italiana si sta vivendo un periodo di “grande eccitazione” per l’introduzione, l’applicazione e le prospettive correlate al Clinical Risk Management. Quest’ultimo, come noto, si incentra principalmente sulla dimensione cognitiva dell’errore, proponendo il passaggio da un approccio prettamente “personale” (in cui si pone l’attenzione sugli errori degli individui, colpevolizzandoli – e punendoli - per gli stessi) ad uno di “sistema” (in cui si pone l’attenzione sulle condizioni di lavoro degli operatori, cercando di costruire barriere per evitare gli errori o limitarne gli effetti). Anche la Medicina Legale risulta coinvolta in tale processo, facilitata in questa “missione” non soltanto dalla frequente assenza di ostacoli di natura psicologica ed ambientale, ma, soprattutto, dall’esperienza maturata negli anni quale interfaccia tra il mondo sanitario e quello giuridico e sociale, nonchè dalla propensione agli aspetti e alle problematiche di natura etico-deontologica. Ciò detto, la certificazione medica risulta senz'altro un ambito in cui il Medico Legale può fornire utili elementi di riflessione e di critica al fine di raggiungere percorsi condivisi che consentano concretamente di ridurre la possibilità di errore anche in un contesto così insidioso come quello in discussione. E ciò, soprattutto, qualora si consideri che il certificato è senz’altro la forma più diffusa di documentazione dell’attività medica e rappresenta, così come ben sintetizzato dal Barni, una “testimonianza scritta su fatti e comportamenti tecnicamente apprezzabili e valutabili, la cui dimostrazione può produrre affermazione di particolari diritti soggettivi previsti dalla legge ovvero determinare particolari conseguenze a carico dell’individuo e della società, aventi rilevanza giuridica e/o amministrativa …”.Pubblicazioni consigliate
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