La chirurgia epatica riconosce nel rispetto dell’anatomia e nel controllo dell’emostasi i suoi punti di forza, che devono essere rispettati qualunque sia l’approccio perseguito sia esso open o laparoscopico (VLS). Quest’ultimo in particolare si è dimostrato efficace e sicuro se applicato in mani esperte e in casi selezionati [1]. Poiché i candidati alla chirurgia epatica VLS sono generalmente pazienti favorevoli (lesioni minori e meglio situate), è facile intuire come per questo sottogruppo il tasso di complicanze emorragiche sia non solo paragonabile ma addirittura inferiore a quello riportato nella tecnica open [2]. D’altro canto, la minor invasività dell’approccio laparoscopico ha suggerito il suo impiego in pazienti più a rischio come i cirrotici [3]. Ciò nonostante la gestione della complicanza emorragica in laparoscopia può essere particolarmente complessa data la totale mancanza di controllo tattile, rendendo il chirurgo epatobiliare totalmente dipendente dal supporto tecnologico. All’uopo riportiamo l’analisi dei dati della letteratura e della nostra casistica in merito ai momenti chiave in termini di prevenzione e controllo dell’evento emorragico in corso di chirurgia epatica laparoscopica. La prevenzione del sanguinamento si basa sulla scelta del paziente e delle caratteristiche della lesione. Entrando nel dettaglio della tecnica chirurgica, i punti critici possibili sede di un evento emorragico, sono l’accesso dei trocar, le aderenze parietali, la transezione parenchimale e il controllo dell’emostasi sulla trancia. Selezione del paziente Premettiamo che la selezione del paziente è il primo punto chiave nella prevenzione dell’emorragia intraoperatoria, ovvero che risulta dirimente scegliere i best candidate alla laparoscopia in termini di compenso di funzionalità epatica e sede della lesione, al fine di ottenere risultati non solo sovrapponibili ma talvolta superiori a quelli ottenuti con l’approccio open [4]. L’accurata scelta del paziente a priori, come riportato dalle serie di Aldrighetti e Santambrogio, può garantire un ottimo outcome con perdite ematiche contenute anche in sottogruppi a rischio quali quelli dei pazienti cirrotici [5, 6]. Nella nostra serie su 60 casi, abbiamo operato pazienti di età media di 61 anni, egualmente distribuiti per quanto riguarda il sesso, affetti nel 66% dei casi da HCC (hepatocellular carcinoma), nel 20% da metastasi e nel 13% dei casi da patologia benigna. Nel sottogruppo degli HCC, abbiamo operato in pressoché il 90% dei casi, pazienti in classe A di Child e con MELD (Mayo End stage Liver Disease) inferiore a 10. Indipendentemente dalla patologia, abbiamo candidato alla resezione laparoscopica generalmente pazienti con lesioni singole (73,3%), di piccole dimensioni (diametro medio di 32 mm) e situate in segmenti favorevoli (95%). Attuando una scelta a priori accurata, abbiamo riportato un tasso ridotto sia di perdite ematiche intraoperatorie (media 202 ml) che di trasfusioni (6,6%). Gestione degli accessi L’emorragia in corso d’inserzione di trocar presenta un’incidenza in letteratura variabile dallo 0,2 al 2%. Nella serie multicentrica di Catarci su 12919 resezioni laparoscopiche, si riportano complicanze vascolari maggiori (viscerali) nello 0,07-0,4%, e minori (parietali) nello 0,1-1,2%, quasi esclusivamente in entrambi i casi utilizzando la tecnica di accesso blind con l’ago di Veress [6]. In linea con le maggiori casistiche europee, viene pertanto consigliato un approccio open di routine, scegliendo come sede di ingresso dei trocar, aree il più possibile avascolari [7-9]. Nella nostra serie abbiamo sempre scelto l’accesso open riscontrando una sindrome aderenziale in 20 pazienti (33%), percentuale elevata ma spiegabile dal fatto che il 23% dei nostri pazienti fossero già stati precedentemente operati a livello addominale. Non abbiamo riportato complicanze emorragiche immediate in corso di posizionamento di trocar. Per contro nel post-operatorio, si sono verificati sei ematomi di parete in corrispondenza dell’inserzione dei trocar, che si sono sempre risolti con terapia conservativa, e due emoperitonei che hanno richiesto una revisione chirurgica per il controllo di un sanguinamento a partenza di un accesso di un trocar utilizzato peraltro anche per il posizionamento del drenaggio. Per tale ragione, nel paziente cirrotico, sconsigliamo di utilizzare un accesso dei trocar per il passaggio del drenaggio: in tal caso non è possibile effettuare un adeguato controllo delle perdite ematiche (chiusura a strati dell’accesso) che possono iniziare anche tardivamente dopo la fine dell’intervento. Ruolo dell’ecografia intraoperatoria Il successo della resezione epatica laparoscopica dipende dall’esatta localizzazione della lesione e dei suoi rapporti con le strutture vascolari adiacenti. All’uopo l’ecografia intraoperatoria (LUS) riveste un ruolo dirimente, compensando in modo eccellente l’assenza della sensibilità tattile propria dell’approccio mini-invasivo e riducendo in modo significativo le perdite ematiche intraoperatorie [10, 11]. Se si aggiunge che la LUS è il migliore strumento di stadiazione oggi disponibile e permette di riscontrare nuove lesioni nel 15-20% dei casi, risulta facilmente comprensibile come sia da considerarsi un esame mandatorio nell’ambito di questa chirurgia. Tuttavia secondo un recente studio multicentrico coordinato dalla Società Europea di Chirurgia Endoscopica, solo il 67% dei chirurghi epatobiliari usa la LUS sistemicamente [12], rappresentando pertanto questo punto un tallone d’Achille di questa complessa chirurgia. Nella nostra esperienza la LUS è stata eseguita nel 100% dei pazienti. In 19 casi ha riscontrato nuove lesioni (31%) portando a un cambio di strategia nel 10% di essi (2 casi). In un caso il riscontro di 1 nuovo nodulo in un segmento sfavorevole (S7 profondo) e nel successivo l’evidenza di una sospetta infiltrazione vascolare maggiore da parte di un nuovo nodulo a distanza, hanno condotto alla conversione laparotomica. Inoltre la LUS è stata fondamentale quale guida non solo alla resezione, ma anche alla termoablazione in 18 casi (30%) e alla resezione mediante tecnica di Habib in 4 pazienti. Riduzione del flusso intraepatico Il mantenimento di una bassa pressione venosa centrale (PVC) si è dimostrato fondamentale nel ridurre le perdite ematiche in corso di resezione epatica [13, 14]. Se questo assioma è vero in chirurgia open, è tuttora fonte di discussione in corso di resezione laparoscopica. A tale proposito è rilevante il lavoro di Smith, che dimostrerebbe su un modello animale come la sola pressione generata dal pneumoperitoneo (12 mmHg) in presenza di una PVC normale (3-5 mmHg) sia in grado di ridurre significativamente la pressione endoportale (0,98mmHg) in corso di chirurgia epatica laparoscopica, diminuendo di conseguenza le perdite ematiche intraoperatorie [15]. Questo concetto andrebbe a rafforzare il pensiero degli oppositori del mantenimento di una bassa PVC anche in chirurgia epatica mini-invasiva, anche alla luce dell’aumentato rischio embolico che questa procedura avrebbe rispetto alla tecnica open, stante la combinazione della bassa pressione centrale con l’elevata pressione endoaddominale [16]. Nella nostra esperienza abbiamo mantenuto una PVC intorno ai 5 mmHg di media e un pneumoperitoneo intorno ai 12 mmHg, riportando come unica complicanza immediata un’ipercapnia che ha peraltro richiesto la conversione immediata. Non si sono per contro evidenziati episodi emboligeni clinicamente rilevabili. Purtroppo il pneumoperitoneo sembrerebbe avere solo un controllo sull’inflow portale e non arterioso, tale per cui in caso di sanguinamento dalla trancia, l’utilizzo della manovra di Pringle assume un valore assoluto. La manovra permette al contempo di ridurre le perdite ematiche intraoperatorie, ottimizzando la visione in corso di transezione parenchimale e diminuendo l’utilizzo dell’aspiratore con un migliore controllo del pneumoperitoneo [7]. In ogni modo con il miglioramento della curva di apprendimento e l’utilizzo di tecniche resettive sempre più efficaci, si è passati da un utilizzo routinario del clampaggio del peduncolo a uno selettivo [17, 18]. A tale riguardo, nella recente serie di Cherqui su 166 resezioni epatiche laparoscopiche la manovra di Pringle è stata effettuata selettivamente nel 53% dei casi, generalmente in presenza di un sanguinamento attivo prevalentemente in pazienti cirrotici sottoposti a resezioni minori (in quelle maggiori c’è un controllo preventivo vascolare sul peduncolo), dimostrandosi una manovra sicura ed efficace nel controllo dell’emostasi [18, 19]. Nella nostra serie il sottopassaggio preventivo del peduncolo epatico è stato effettuato di routine, mentre il Pringle è stato utilizzato nel 13% dei casi, in ausilio al controllo di perdite ematiche in modo da ridurne l’entità. Cosa impiegare per la resezione? La transezione epatica rimane il momento più critico di prevenzione e controllo dell’emostasi. A tal proposito non sono stati a oggi pubblicati trial randomizzati di confronto fra i diversi strumenti di transezione nell’ambito della chirurgia epatica laparoscopica. Per quanto concerne invece la tecnica open, è stata pubblicata recentemente una review della Cochrane che non ha dimostrato differenze significative fra l’utilizzo di dissettori di ultima generazione (a ultrasuoni, radiofrequenza e ad acqua) e la tecnica tradizionale, in termini di riduzione di perdite ematiche. L’unico studio di confronto riportato nell’ambito della laparoscopia è stato pubblicato da un gruppo norvegese su modelli porcini e dimostrerebbe una superiorità del sistema di dissezione a radiofrequenza rispetto quello a ultrasuoni in termini di miglior controllo emostatico [19]. Cherqui nella sua serie personale su 166 resezioni epatiche laparoscopiche, ha utilizzato la pinza bipolare associata a quella a ultrasuoni come coagulo e taglio per gli strati superficiali e il dissettore a ultrasuoni (CUSA, Tekmed Instruments, Rozzano-MI) per quelli più profondi, controllando i vasi esposti mediante suturatrice taglia e cuci (EndoGIA, Covidien, Dublin) o clip. Utilizzando queste tecnologie ha riportato un tasso di perdite ematiche contenuto (media 329 ml) e una conseguente bassa percentuale di trasfusioni (5,4%) [17]. Oltre a queste tecnologie maggiormente utilizzate e condivise, ve ne sono altre che stanno emergendo quale metodo di ausilio di transezione avascolare quali gli aghi da radiofrequenza o le antenne da microonde per creare il vallo di necrosi lungo la linea di resezione [20]. Nella nostra serie abbiamo utilizzato sempre la pinza bipolare associata al dissettore a ultrasuoni come coagulo e taglio, controllando i vasi maggiori mediante EndoGIA (2 lobectomie sinistre). In 4 casi, in cui già era previsto l’utilizzo consensuale della termoablazione, abbiamo associato l’utilizzo dell’antenna da micro-onde per creare il vallo di necrosi lungo la linea di resezione così riducendo il rischio emorragico. Utilizzando queste tecnologie, le complicanze emorragiche nella nostra casistica in corso di transezione parenchimale sono state contenute (13%). Si devono utilizzare gli emostatici sulla trancia? L’ultimo punto è rappresentato dalla gestione della trancia di resezione al cui riguardo non vi è una strategia condivisa. I proponenti dell’utilizzo sistematico delle falde emostatiche a base di colla di fibrina, cellulosa ossigenata o collagene, sostengono un beneficio in termini di riduzione di perdite ematiche post-operatorie, tanto che, ad esempio, in Giappone il 60% dei chirurghi epatobiliari ne fa uso di routine [21]. Anche il gruppo tedesco della Frilling, in uno studio prospettico randomizzato su 121 pazienti resecati, ha dimostrato come l’utilizzo di falde emostatiche a base di collagene (TachosilTM, Baxter Nycomed, Deerfield, IL) riduca in modo efficace il tasso di sanguinamento dalla trancia nel post-operatorio rispetto all’utilizzo solo dell’emostasi diretta con bisturi ad argon (P = 0,32) [22]. Per contro gli oppositori, fra cui il gruppo spagnolo di Figueras, ne sostengono l’utilizzo selettivo a fronte della mancanza di benefici nei due gruppi (150 trattati con colla di fibrina vs 150 senza), in termini di complicanze emorragiche e di tasso di trasfusioni [23]. Secondo diversi Autori sarà comunque difficile poter confrontare in prospettico randomizzato i vari presidi emostatici in primo luogo per un problema di marketing, tanto che risulta emblematico il titolo del lavoro di Gonzales a riguardo: “Topical hemostatic devices in surgery: between science and marketing” [24]. Nella nostra serie l’utilizzo delle falde emostatiche è stato selettivo (35%), in caso di trance ampie e di controllo difficoltoso dell’emostasi sulla trancia. Conclusioni I nostri dati, in linea con quelli della letteratura, dimostrano la fattibilità in sicurezza e l’efficacia di questa complessa chirurgia solo se si seleziona accuratamente il paziente a priori (soprattutto quello cirrotico) e se si eseguono manovre standardizzate. La mancanza di sensibilità tattile deve indurre il chirurgo epatobiliare a sviluppare un “sesto senso” volto prevenire e controllare nel modo più sicuro, ogni eventuale complicanza emorragica, durante tutto il percorso chirurgico del paziente

Chirurgia senza sangue in chirurgia epatica laparoscopica: possibilità e limiti / E. Opocher, M. Barabino, R. Santambrogio, A. Pisani Ceretti, E. De Nicola, A. Gatti. ((Intervento presentato al 113. convegno Congresso Società Italiana Chirurgia tenutosi a Roma nel 2011.

Chirurgia senza sangue in chirurgia epatica laparoscopica: possibilità e limiti.

E. Opocher
Primo
;
M. Barabino;
2011

Abstract

La chirurgia epatica riconosce nel rispetto dell’anatomia e nel controllo dell’emostasi i suoi punti di forza, che devono essere rispettati qualunque sia l’approccio perseguito sia esso open o laparoscopico (VLS). Quest’ultimo in particolare si è dimostrato efficace e sicuro se applicato in mani esperte e in casi selezionati [1]. Poiché i candidati alla chirurgia epatica VLS sono generalmente pazienti favorevoli (lesioni minori e meglio situate), è facile intuire come per questo sottogruppo il tasso di complicanze emorragiche sia non solo paragonabile ma addirittura inferiore a quello riportato nella tecnica open [2]. D’altro canto, la minor invasività dell’approccio laparoscopico ha suggerito il suo impiego in pazienti più a rischio come i cirrotici [3]. Ciò nonostante la gestione della complicanza emorragica in laparoscopia può essere particolarmente complessa data la totale mancanza di controllo tattile, rendendo il chirurgo epatobiliare totalmente dipendente dal supporto tecnologico. All’uopo riportiamo l’analisi dei dati della letteratura e della nostra casistica in merito ai momenti chiave in termini di prevenzione e controllo dell’evento emorragico in corso di chirurgia epatica laparoscopica. La prevenzione del sanguinamento si basa sulla scelta del paziente e delle caratteristiche della lesione. Entrando nel dettaglio della tecnica chirurgica, i punti critici possibili sede di un evento emorragico, sono l’accesso dei trocar, le aderenze parietali, la transezione parenchimale e il controllo dell’emostasi sulla trancia. Selezione del paziente Premettiamo che la selezione del paziente è il primo punto chiave nella prevenzione dell’emorragia intraoperatoria, ovvero che risulta dirimente scegliere i best candidate alla laparoscopia in termini di compenso di funzionalità epatica e sede della lesione, al fine di ottenere risultati non solo sovrapponibili ma talvolta superiori a quelli ottenuti con l’approccio open [4]. L’accurata scelta del paziente a priori, come riportato dalle serie di Aldrighetti e Santambrogio, può garantire un ottimo outcome con perdite ematiche contenute anche in sottogruppi a rischio quali quelli dei pazienti cirrotici [5, 6]. Nella nostra serie su 60 casi, abbiamo operato pazienti di età media di 61 anni, egualmente distribuiti per quanto riguarda il sesso, affetti nel 66% dei casi da HCC (hepatocellular carcinoma), nel 20% da metastasi e nel 13% dei casi da patologia benigna. Nel sottogruppo degli HCC, abbiamo operato in pressoché il 90% dei casi, pazienti in classe A di Child e con MELD (Mayo End stage Liver Disease) inferiore a 10. Indipendentemente dalla patologia, abbiamo candidato alla resezione laparoscopica generalmente pazienti con lesioni singole (73,3%), di piccole dimensioni (diametro medio di 32 mm) e situate in segmenti favorevoli (95%). Attuando una scelta a priori accurata, abbiamo riportato un tasso ridotto sia di perdite ematiche intraoperatorie (media 202 ml) che di trasfusioni (6,6%). Gestione degli accessi L’emorragia in corso d’inserzione di trocar presenta un’incidenza in letteratura variabile dallo 0,2 al 2%. Nella serie multicentrica di Catarci su 12919 resezioni laparoscopiche, si riportano complicanze vascolari maggiori (viscerali) nello 0,07-0,4%, e minori (parietali) nello 0,1-1,2%, quasi esclusivamente in entrambi i casi utilizzando la tecnica di accesso blind con l’ago di Veress [6]. In linea con le maggiori casistiche europee, viene pertanto consigliato un approccio open di routine, scegliendo come sede di ingresso dei trocar, aree il più possibile avascolari [7-9]. Nella nostra serie abbiamo sempre scelto l’accesso open riscontrando una sindrome aderenziale in 20 pazienti (33%), percentuale elevata ma spiegabile dal fatto che il 23% dei nostri pazienti fossero già stati precedentemente operati a livello addominale. Non abbiamo riportato complicanze emorragiche immediate in corso di posizionamento di trocar. Per contro nel post-operatorio, si sono verificati sei ematomi di parete in corrispondenza dell’inserzione dei trocar, che si sono sempre risolti con terapia conservativa, e due emoperitonei che hanno richiesto una revisione chirurgica per il controllo di un sanguinamento a partenza di un accesso di un trocar utilizzato peraltro anche per il posizionamento del drenaggio. Per tale ragione, nel paziente cirrotico, sconsigliamo di utilizzare un accesso dei trocar per il passaggio del drenaggio: in tal caso non è possibile effettuare un adeguato controllo delle perdite ematiche (chiusura a strati dell’accesso) che possono iniziare anche tardivamente dopo la fine dell’intervento. Ruolo dell’ecografia intraoperatoria Il successo della resezione epatica laparoscopica dipende dall’esatta localizzazione della lesione e dei suoi rapporti con le strutture vascolari adiacenti. All’uopo l’ecografia intraoperatoria (LUS) riveste un ruolo dirimente, compensando in modo eccellente l’assenza della sensibilità tattile propria dell’approccio mini-invasivo e riducendo in modo significativo le perdite ematiche intraoperatorie [10, 11]. Se si aggiunge che la LUS è il migliore strumento di stadiazione oggi disponibile e permette di riscontrare nuove lesioni nel 15-20% dei casi, risulta facilmente comprensibile come sia da considerarsi un esame mandatorio nell’ambito di questa chirurgia. Tuttavia secondo un recente studio multicentrico coordinato dalla Società Europea di Chirurgia Endoscopica, solo il 67% dei chirurghi epatobiliari usa la LUS sistemicamente [12], rappresentando pertanto questo punto un tallone d’Achille di questa complessa chirurgia. Nella nostra esperienza la LUS è stata eseguita nel 100% dei pazienti. In 19 casi ha riscontrato nuove lesioni (31%) portando a un cambio di strategia nel 10% di essi (2 casi). In un caso il riscontro di 1 nuovo nodulo in un segmento sfavorevole (S7 profondo) e nel successivo l’evidenza di una sospetta infiltrazione vascolare maggiore da parte di un nuovo nodulo a distanza, hanno condotto alla conversione laparotomica. Inoltre la LUS è stata fondamentale quale guida non solo alla resezione, ma anche alla termoablazione in 18 casi (30%) e alla resezione mediante tecnica di Habib in 4 pazienti. Riduzione del flusso intraepatico Il mantenimento di una bassa pressione venosa centrale (PVC) si è dimostrato fondamentale nel ridurre le perdite ematiche in corso di resezione epatica [13, 14]. Se questo assioma è vero in chirurgia open, è tuttora fonte di discussione in corso di resezione laparoscopica. A tale proposito è rilevante il lavoro di Smith, che dimostrerebbe su un modello animale come la sola pressione generata dal pneumoperitoneo (12 mmHg) in presenza di una PVC normale (3-5 mmHg) sia in grado di ridurre significativamente la pressione endoportale (0,98mmHg) in corso di chirurgia epatica laparoscopica, diminuendo di conseguenza le perdite ematiche intraoperatorie [15]. Questo concetto andrebbe a rafforzare il pensiero degli oppositori del mantenimento di una bassa PVC anche in chirurgia epatica mini-invasiva, anche alla luce dell’aumentato rischio embolico che questa procedura avrebbe rispetto alla tecnica open, stante la combinazione della bassa pressione centrale con l’elevata pressione endoaddominale [16]. Nella nostra esperienza abbiamo mantenuto una PVC intorno ai 5 mmHg di media e un pneumoperitoneo intorno ai 12 mmHg, riportando come unica complicanza immediata un’ipercapnia che ha peraltro richiesto la conversione immediata. Non si sono per contro evidenziati episodi emboligeni clinicamente rilevabili. Purtroppo il pneumoperitoneo sembrerebbe avere solo un controllo sull’inflow portale e non arterioso, tale per cui in caso di sanguinamento dalla trancia, l’utilizzo della manovra di Pringle assume un valore assoluto. La manovra permette al contempo di ridurre le perdite ematiche intraoperatorie, ottimizzando la visione in corso di transezione parenchimale e diminuendo l’utilizzo dell’aspiratore con un migliore controllo del pneumoperitoneo [7]. In ogni modo con il miglioramento della curva di apprendimento e l’utilizzo di tecniche resettive sempre più efficaci, si è passati da un utilizzo routinario del clampaggio del peduncolo a uno selettivo [17, 18]. A tale riguardo, nella recente serie di Cherqui su 166 resezioni epatiche laparoscopiche la manovra di Pringle è stata effettuata selettivamente nel 53% dei casi, generalmente in presenza di un sanguinamento attivo prevalentemente in pazienti cirrotici sottoposti a resezioni minori (in quelle maggiori c’è un controllo preventivo vascolare sul peduncolo), dimostrandosi una manovra sicura ed efficace nel controllo dell’emostasi [18, 19]. Nella nostra serie il sottopassaggio preventivo del peduncolo epatico è stato effettuato di routine, mentre il Pringle è stato utilizzato nel 13% dei casi, in ausilio al controllo di perdite ematiche in modo da ridurne l’entità. Cosa impiegare per la resezione? La transezione epatica rimane il momento più critico di prevenzione e controllo dell’emostasi. A tal proposito non sono stati a oggi pubblicati trial randomizzati di confronto fra i diversi strumenti di transezione nell’ambito della chirurgia epatica laparoscopica. Per quanto concerne invece la tecnica open, è stata pubblicata recentemente una review della Cochrane che non ha dimostrato differenze significative fra l’utilizzo di dissettori di ultima generazione (a ultrasuoni, radiofrequenza e ad acqua) e la tecnica tradizionale, in termini di riduzione di perdite ematiche. L’unico studio di confronto riportato nell’ambito della laparoscopia è stato pubblicato da un gruppo norvegese su modelli porcini e dimostrerebbe una superiorità del sistema di dissezione a radiofrequenza rispetto quello a ultrasuoni in termini di miglior controllo emostatico [19]. Cherqui nella sua serie personale su 166 resezioni epatiche laparoscopiche, ha utilizzato la pinza bipolare associata a quella a ultrasuoni come coagulo e taglio per gli strati superficiali e il dissettore a ultrasuoni (CUSA, Tekmed Instruments, Rozzano-MI) per quelli più profondi, controllando i vasi esposti mediante suturatrice taglia e cuci (EndoGIA, Covidien, Dublin) o clip. Utilizzando queste tecnologie ha riportato un tasso di perdite ematiche contenuto (media 329 ml) e una conseguente bassa percentuale di trasfusioni (5,4%) [17]. Oltre a queste tecnologie maggiormente utilizzate e condivise, ve ne sono altre che stanno emergendo quale metodo di ausilio di transezione avascolare quali gli aghi da radiofrequenza o le antenne da microonde per creare il vallo di necrosi lungo la linea di resezione [20]. Nella nostra serie abbiamo utilizzato sempre la pinza bipolare associata al dissettore a ultrasuoni come coagulo e taglio, controllando i vasi maggiori mediante EndoGIA (2 lobectomie sinistre). In 4 casi, in cui già era previsto l’utilizzo consensuale della termoablazione, abbiamo associato l’utilizzo dell’antenna da micro-onde per creare il vallo di necrosi lungo la linea di resezione così riducendo il rischio emorragico. Utilizzando queste tecnologie, le complicanze emorragiche nella nostra casistica in corso di transezione parenchimale sono state contenute (13%). Si devono utilizzare gli emostatici sulla trancia? L’ultimo punto è rappresentato dalla gestione della trancia di resezione al cui riguardo non vi è una strategia condivisa. I proponenti dell’utilizzo sistematico delle falde emostatiche a base di colla di fibrina, cellulosa ossigenata o collagene, sostengono un beneficio in termini di riduzione di perdite ematiche post-operatorie, tanto che, ad esempio, in Giappone il 60% dei chirurghi epatobiliari ne fa uso di routine [21]. Anche il gruppo tedesco della Frilling, in uno studio prospettico randomizzato su 121 pazienti resecati, ha dimostrato come l’utilizzo di falde emostatiche a base di collagene (TachosilTM, Baxter Nycomed, Deerfield, IL) riduca in modo efficace il tasso di sanguinamento dalla trancia nel post-operatorio rispetto all’utilizzo solo dell’emostasi diretta con bisturi ad argon (P = 0,32) [22]. Per contro gli oppositori, fra cui il gruppo spagnolo di Figueras, ne sostengono l’utilizzo selettivo a fronte della mancanza di benefici nei due gruppi (150 trattati con colla di fibrina vs 150 senza), in termini di complicanze emorragiche e di tasso di trasfusioni [23]. Secondo diversi Autori sarà comunque difficile poter confrontare in prospettico randomizzato i vari presidi emostatici in primo luogo per un problema di marketing, tanto che risulta emblematico il titolo del lavoro di Gonzales a riguardo: “Topical hemostatic devices in surgery: between science and marketing” [24]. Nella nostra serie l’utilizzo delle falde emostatiche è stato selettivo (35%), in caso di trance ampie e di controllo difficoltoso dell’emostasi sulla trancia. Conclusioni I nostri dati, in linea con quelli della letteratura, dimostrano la fattibilità in sicurezza e l’efficacia di questa complessa chirurgia solo se si seleziona accuratamente il paziente a priori (soprattutto quello cirrotico) e se si eseguono manovre standardizzate. La mancanza di sensibilità tattile deve indurre il chirurgo epatobiliare a sviluppare un “sesto senso” volto prevenire e controllare nel modo più sicuro, ogni eventuale complicanza emorragica, durante tutto il percorso chirurgico del paziente
ott-2011
Settore MED/18 - Chirurgia Generale
Chirurgia senza sangue in chirurgia epatica laparoscopica: possibilità e limiti / E. Opocher, M. Barabino, R. Santambrogio, A. Pisani Ceretti, E. De Nicola, A. Gatti. ((Intervento presentato al 113. convegno Congresso Società Italiana Chirurgia tenutosi a Roma nel 2011.
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