Il saggio si propone innanzitutto la ricostruzione del repertorio di tutte le società i cui titoli di rischio sono stati iscritti al listino azionario ufficiale della Borsa Valori di Milano fra il 1861 e il 2000. Questa ricerca è stata concepita, in primo luogo, per contribuire alla conoscenza univoca e comune di uno dei dati strutturali più diffusamente usati per valutare l’importanza e le fasi del mercato ambrosiano, vale a dire il numero delle società quotate; anche se non si tratta di una variabile singolarmente esaustiva dello spessore economico della Borsa (a questo scopo va considerata insieme all’esame dei titoli effettivamente scambiati e alla loro capitalizzazione), la cifra delle imprese ammesse alla contrattazione azionaria costituisce infatti una delle poche serie cronologiche ricostruibili, in modo completo, a partire dall’Unità (mentre, ad esempio, la registrazione dei volumi trattati in ogni seduta è possibile solo dal 1926); e tutti gli studi che, in varia misura, si sono occupati della storia di Piazza Affari hanno fatto riferimento a questo parametro, fornendone però misure spesso diverse fra loro, poco precise e non integrali sul lungo periodo. Allo scopo di superare queste incertezze e di offrire una base dati continua dal 1861 al 2000, la dinamica delle ammissioni e delle cancellazioni societarie, con la conseguente consistenza della compagine sociale quotata, è stata ricostruita ricorrendo allo spoglio completo del Listino Ufficiale della Borsa Valori di Milano, per il periodo dall’Unità al 1993, e al “Bollettino Statistico” della Borsa Italiana Spa, per gli anni successivi (quando è nato il mercato mobiliare nazionale unificato su base telematica); nel conteggio annuale delle iscrizioni e delle uscite, particolare attenzione è stata prestata alle vicende evolutive delle aziende emittenti in modo da non confondere – come pure è stato fatto – i cambiamenti di denominazione sociale con la cancellazione di un soggetto già quotato e l’ingresso di uno nuovo, o, all’inverso, l’ammissione di una nuova società con il semplice mutamento di nome da parte di una già iscritta; con questa avvertenza si sono recuperati anche valori più affidabili per misurare il turnover del listino (inteso come rapporto annuale tra il totale delle società quotate e la somma di quelle ammesse e cancellate). In secondo luogo, per ognuna delle società individuate – sono in tutto 780 quelle ad essere state ammesse al listino azionario ufficiale di Milano fra l’Unità e il 2000 – è stata realizzata una breve scheda storica per contribuire, offrendo un angolo visuale diverso e un campione integrale, ad un’analisi più approfondita di quello che la Borsa ambrosiana ha via via rappresentato nello sviluppo economico del paese e, in particolare, nel processo evolutivo delle imprese che vi hanno fatto ricorso. La lettura incrociata di queste schede (agevolata dai rimandi che consentono di mettere in relazione i diversi profili delle società collegate) permette di cogliere il formarsi e l’evolversi di gruppi di imprese e di gruppi familiari, rivelando come la struttura di gruppo delle società iscritte – che sminuisce di fatto l’‘individualità’ dell’investimento nelle specifiche aziende – costituisce uno dei problemi fondamentali del funzionamento stesso del mercato azionario milanese; allo stesso modo negli intrecci degli assetti proprietari è possibile seguire, lungo oltre un secolo, l’evoluzione del modello di controllo e di coordinamento del capitalismo nazionale. Il numero di società quotate mette in evidenza il ruolo centrale avuto dalla Borsa nel momento del decollo industriale nell’età giolittiana. Partita con due società nel 1861, la piazza milanese rimane al di sotto delle trenta fino al 1896, e nel giro di poco meno di dieci anni quadruplica questo numero (134 nel 1905) per poi oscillare fra 150 e 170 fino alla crisi degli anni Trenta. Un numero destinato ad essere superato solo in occasione del boom del 1986 (226 società). La tradizionale riluttanza alla quotazione dell’imprenditorialità italiana emerge in tutta la sua evidenza, così come emerge la nuova ondata di quotazioni degli anni Novanta, con cui davvero il mercato italiano inizia una nuova stagione. Ancora i dati sulle singole società consentono di ricostruire gli intrecci azionari e i complessi rapporti di partecipazione che vennero subito utilizzati per rafforzare il controllo sulle imprese. Fin dall’inizio del secolo la vita di Borsa delle imprese appare dominata dalla preoccupazione, per non dire ossessione, di rafforzare il controllo. Una buona parte delle emissioni azionarie di inizio secolo furono destinate a costruire società “a catena” e complesse partecipazioni incrociate. Emerge anche in tutta la sua evidenza l’intreccio perverso fra banca e industria che diede origine alla crisi degli anni Trenta. Il connubio azionario banca-impresa non nacque per finanziarie la crescita della seconda ma per difendere gli assetti di controllo della prima. I grandi gruppi industriali occuparono i centri nevralgici del sistema bancario. In parte per garantirsi risorse finanziarie ma soprattutto per rafforzare il controllo sulle proprie società. Il gruppo diventa così lo strumento fondamentale del controllo e la banca ne è la parte fondamentale. Emerge poi la ferita apportata al mercato dalla nazionalizzazione dell’industria elettrica, non solo per la scomparsa dal listino di una parte consistente del nucleo storico ma anche per le scelta (fra tutte quella di pagare gli indennizzi alle società e non agli azionisti) che la dicono lunga su quanto venissero presi in considerazione i diritti degli azionisti di minoranza. Gli ultimi dieci anno appaiono come una svolta netta rispetto al passato: crescono le società quotate per effetto delle privatizzazioni e di un diverso atteggiamento delle imprese; cambiano completamente le regole del gioco; scompare la figura dell’agente di cambio; il folklore delle grida viene sostituito dall’efficienza dei sistemi elettronici; i diritti degli azionisti di minoranza vengono finalmente tutelati. Ma rimangono alcuni problemi di fondo, primo fra tutti l’eccessiva concentrazione delle proprietà e il permanere di piramidi societarie che privilegiano il controllo e "la finanza per la finanza" rispetto alla massimizzazione di valore per gli azionisti.

Dall’economia industriale all’”industria della finanza”: le società quotate al listino azionario della Borsa di Milano dal 1861 al 2000 / G. De Luca - In: Le società quotate alla Borsa Valori di Milano dal 1861 al 2000 : profili storici e titoli azionari / [a cura di] G. De Luca. - Milano : Libri Scheiwiller, 2002. - ISBN 8876443126. - pp. 25-86

Dall’economia industriale all’”industria della finanza”: le società quotate al listino azionario della Borsa di Milano dal 1861 al 2000

G. De Luca
Primo
2002

Abstract

Il saggio si propone innanzitutto la ricostruzione del repertorio di tutte le società i cui titoli di rischio sono stati iscritti al listino azionario ufficiale della Borsa Valori di Milano fra il 1861 e il 2000. Questa ricerca è stata concepita, in primo luogo, per contribuire alla conoscenza univoca e comune di uno dei dati strutturali più diffusamente usati per valutare l’importanza e le fasi del mercato ambrosiano, vale a dire il numero delle società quotate; anche se non si tratta di una variabile singolarmente esaustiva dello spessore economico della Borsa (a questo scopo va considerata insieme all’esame dei titoli effettivamente scambiati e alla loro capitalizzazione), la cifra delle imprese ammesse alla contrattazione azionaria costituisce infatti una delle poche serie cronologiche ricostruibili, in modo completo, a partire dall’Unità (mentre, ad esempio, la registrazione dei volumi trattati in ogni seduta è possibile solo dal 1926); e tutti gli studi che, in varia misura, si sono occupati della storia di Piazza Affari hanno fatto riferimento a questo parametro, fornendone però misure spesso diverse fra loro, poco precise e non integrali sul lungo periodo. Allo scopo di superare queste incertezze e di offrire una base dati continua dal 1861 al 2000, la dinamica delle ammissioni e delle cancellazioni societarie, con la conseguente consistenza della compagine sociale quotata, è stata ricostruita ricorrendo allo spoglio completo del Listino Ufficiale della Borsa Valori di Milano, per il periodo dall’Unità al 1993, e al “Bollettino Statistico” della Borsa Italiana Spa, per gli anni successivi (quando è nato il mercato mobiliare nazionale unificato su base telematica); nel conteggio annuale delle iscrizioni e delle uscite, particolare attenzione è stata prestata alle vicende evolutive delle aziende emittenti in modo da non confondere – come pure è stato fatto – i cambiamenti di denominazione sociale con la cancellazione di un soggetto già quotato e l’ingresso di uno nuovo, o, all’inverso, l’ammissione di una nuova società con il semplice mutamento di nome da parte di una già iscritta; con questa avvertenza si sono recuperati anche valori più affidabili per misurare il turnover del listino (inteso come rapporto annuale tra il totale delle società quotate e la somma di quelle ammesse e cancellate). In secondo luogo, per ognuna delle società individuate – sono in tutto 780 quelle ad essere state ammesse al listino azionario ufficiale di Milano fra l’Unità e il 2000 – è stata realizzata una breve scheda storica per contribuire, offrendo un angolo visuale diverso e un campione integrale, ad un’analisi più approfondita di quello che la Borsa ambrosiana ha via via rappresentato nello sviluppo economico del paese e, in particolare, nel processo evolutivo delle imprese che vi hanno fatto ricorso. La lettura incrociata di queste schede (agevolata dai rimandi che consentono di mettere in relazione i diversi profili delle società collegate) permette di cogliere il formarsi e l’evolversi di gruppi di imprese e di gruppi familiari, rivelando come la struttura di gruppo delle società iscritte – che sminuisce di fatto l’‘individualità’ dell’investimento nelle specifiche aziende – costituisce uno dei problemi fondamentali del funzionamento stesso del mercato azionario milanese; allo stesso modo negli intrecci degli assetti proprietari è possibile seguire, lungo oltre un secolo, l’evoluzione del modello di controllo e di coordinamento del capitalismo nazionale. Il numero di società quotate mette in evidenza il ruolo centrale avuto dalla Borsa nel momento del decollo industriale nell’età giolittiana. Partita con due società nel 1861, la piazza milanese rimane al di sotto delle trenta fino al 1896, e nel giro di poco meno di dieci anni quadruplica questo numero (134 nel 1905) per poi oscillare fra 150 e 170 fino alla crisi degli anni Trenta. Un numero destinato ad essere superato solo in occasione del boom del 1986 (226 società). La tradizionale riluttanza alla quotazione dell’imprenditorialità italiana emerge in tutta la sua evidenza, così come emerge la nuova ondata di quotazioni degli anni Novanta, con cui davvero il mercato italiano inizia una nuova stagione. Ancora i dati sulle singole società consentono di ricostruire gli intrecci azionari e i complessi rapporti di partecipazione che vennero subito utilizzati per rafforzare il controllo sulle imprese. Fin dall’inizio del secolo la vita di Borsa delle imprese appare dominata dalla preoccupazione, per non dire ossessione, di rafforzare il controllo. Una buona parte delle emissioni azionarie di inizio secolo furono destinate a costruire società “a catena” e complesse partecipazioni incrociate. Emerge anche in tutta la sua evidenza l’intreccio perverso fra banca e industria che diede origine alla crisi degli anni Trenta. Il connubio azionario banca-impresa non nacque per finanziarie la crescita della seconda ma per difendere gli assetti di controllo della prima. I grandi gruppi industriali occuparono i centri nevralgici del sistema bancario. In parte per garantirsi risorse finanziarie ma soprattutto per rafforzare il controllo sulle proprie società. Il gruppo diventa così lo strumento fondamentale del controllo e la banca ne è la parte fondamentale. Emerge poi la ferita apportata al mercato dalla nazionalizzazione dell’industria elettrica, non solo per la scomparsa dal listino di una parte consistente del nucleo storico ma anche per le scelta (fra tutte quella di pagare gli indennizzi alle società e non agli azionisti) che la dicono lunga su quanto venissero presi in considerazione i diritti degli azionisti di minoranza. Gli ultimi dieci anno appaiono come una svolta netta rispetto al passato: crescono le società quotate per effetto delle privatizzazioni e di un diverso atteggiamento delle imprese; cambiano completamente le regole del gioco; scompare la figura dell’agente di cambio; il folklore delle grida viene sostituito dall’efficienza dei sistemi elettronici; i diritti degli azionisti di minoranza vengono finalmente tutelati. Ma rimangono alcuni problemi di fondo, primo fra tutti l’eccessiva concentrazione delle proprietà e il permanere di piramidi societarie che privilegiano il controllo e "la finanza per la finanza" rispetto alla massimizzazione di valore per gli azionisti.
Borsa italiana ; società quotate ; sec. 19.-20.
Settore SECS-P/12 - Storia Economica
2002
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