A partire dagli ultimi due decenni del secolo scorso, il credito, con tutte le sue ramificate interconnessioni, si è venuto profilando come una categoria centrale – quasi onnipresente – della vita sociale, economica e politica dell’Europa moderna. Da un lato, l’influenza dell’antropologia polaniana, che ha diffuso l’idea di un’economia preindustriale «embedded in social relations» e quindi non analizzabile secondo i termini di quella contemporanea, ha progressivamente contribuito a rompere il cliché economicista nel quale il credito d’antico regime era rimasto a lungo ridotto e confinato. Dall’altro, la teoria neoistituzionalista, correlando l’evoluzione economica del mondo occidentale allo sviluppo – anche secondo meccanismi di path-dependence – di istituzioni efficienti in grado di facilitare la circolazione di merci e di denaro e la spersonalizzazione degli scambi, ha riportato l’attenzione anche sugli strumenti e sulle attività creditizie pre-industriali e sul loro rapporto con la crescita economica. Muovendosi lungo questi due gradienti teorici, i contributi raccolti dipingono un mercato del credito definitivamente sottratto, pur nelle sue differenze e stratificazioni, al riduzionismo economicista, e sempre più inserito in un reticolo di relazioni cariche di valori propri dell’uomo dell’età moderna. Lontano dalle caricature tipologiche che per lungo tempo hanno caratterizzato la sua storiografia, il credito nell'Europa d’antico regime si presenta così come una realtà polimorfica, difficilmente circoscrivibile entro precisi confini tassonomici o in rigidi strumenti e istituzioni formali; anzi, ha finito per diventare esso stesso paradigmatico della complessità e delle peculiarità proprie della società cinque-secentesca; in virtù della sua pervasività costituisce ora uno dei prismi ideali attraverso cui cogliere l’essenza di un modo refrattario ai nostri archetipi economici e in cui le nostre ragioni economiche sono profondamente intessute con quelle relazionali, teologiche, politiche e famigliari. L’attività creditizia appare così in parte dominata da una massa di persone, lontane dal mondo professionale, che alle volte finivano per alimentare le orbite finanziarie locali e internazionali o che spesso si muovevano in una zona grigia; ma sempre all’interno di un “mercato” che allocava le risorse soprattutto sulla base delle informazioni, su chi aveva denaro, su chi ne richiedeva, su chi era un buon pagatore e su chi no, e in cui svolgevano un ruolo cardine, e tra loro concorrenziale, i notai e i sensali. Dal lato della domanda, resta poi confermato il rilievo assoluto rivestito dalla relazione con la politica, nella forma di finanziamento delle necessità degli Stati; ma oggi, almeno per le realtà economicamente più avanzate, la diffusione del debito pubblico a lungo termine e il suo mercato non paiono più risolversi nello sterile drenaggio di ricchezza privata verso scopi bellici e neppure avere eccessivi effetti distorsivi sull’andamento produttivo e distributivo; oltre a costituire un mezzo di redistribuzione del reddito e di consolidamento dei patrimoni, gli investimenti nel debito pubblico costituirono in diversi casi uno strumento di coinvolgimento e di integrazione dei sottoscrittori nelle strategie di governo,confermando, anche in questa direzione, la straordinaria valenza ermeneutica del credito per una comprensione iuxta propria principia demonstrata della società europea di età moderna.

Introduzione / E.M. García Guerra, G. De Luca - In: Il mercato del credito in età moderna : reti e operatori finanziari nello spazio europeo / [a cura di] E. M. García Guerra, G. De Luca. - Milano : Franco Angeli, 2010. - ISBN 9788856823578. - pp. 9-18

Introduzione

G. De Luca
Ultimo
2010

Abstract

A partire dagli ultimi due decenni del secolo scorso, il credito, con tutte le sue ramificate interconnessioni, si è venuto profilando come una categoria centrale – quasi onnipresente – della vita sociale, economica e politica dell’Europa moderna. Da un lato, l’influenza dell’antropologia polaniana, che ha diffuso l’idea di un’economia preindustriale «embedded in social relations» e quindi non analizzabile secondo i termini di quella contemporanea, ha progressivamente contribuito a rompere il cliché economicista nel quale il credito d’antico regime era rimasto a lungo ridotto e confinato. Dall’altro, la teoria neoistituzionalista, correlando l’evoluzione economica del mondo occidentale allo sviluppo – anche secondo meccanismi di path-dependence – di istituzioni efficienti in grado di facilitare la circolazione di merci e di denaro e la spersonalizzazione degli scambi, ha riportato l’attenzione anche sugli strumenti e sulle attività creditizie pre-industriali e sul loro rapporto con la crescita economica. Muovendosi lungo questi due gradienti teorici, i contributi raccolti dipingono un mercato del credito definitivamente sottratto, pur nelle sue differenze e stratificazioni, al riduzionismo economicista, e sempre più inserito in un reticolo di relazioni cariche di valori propri dell’uomo dell’età moderna. Lontano dalle caricature tipologiche che per lungo tempo hanno caratterizzato la sua storiografia, il credito nell'Europa d’antico regime si presenta così come una realtà polimorfica, difficilmente circoscrivibile entro precisi confini tassonomici o in rigidi strumenti e istituzioni formali; anzi, ha finito per diventare esso stesso paradigmatico della complessità e delle peculiarità proprie della società cinque-secentesca; in virtù della sua pervasività costituisce ora uno dei prismi ideali attraverso cui cogliere l’essenza di un modo refrattario ai nostri archetipi economici e in cui le nostre ragioni economiche sono profondamente intessute con quelle relazionali, teologiche, politiche e famigliari. L’attività creditizia appare così in parte dominata da una massa di persone, lontane dal mondo professionale, che alle volte finivano per alimentare le orbite finanziarie locali e internazionali o che spesso si muovevano in una zona grigia; ma sempre all’interno di un “mercato” che allocava le risorse soprattutto sulla base delle informazioni, su chi aveva denaro, su chi ne richiedeva, su chi era un buon pagatore e su chi no, e in cui svolgevano un ruolo cardine, e tra loro concorrenziale, i notai e i sensali. Dal lato della domanda, resta poi confermato il rilievo assoluto rivestito dalla relazione con la politica, nella forma di finanziamento delle necessità degli Stati; ma oggi, almeno per le realtà economicamente più avanzate, la diffusione del debito pubblico a lungo termine e il suo mercato non paiono più risolversi nello sterile drenaggio di ricchezza privata verso scopi bellici e neppure avere eccessivi effetti distorsivi sull’andamento produttivo e distributivo; oltre a costituire un mezzo di redistribuzione del reddito e di consolidamento dei patrimoni, gli investimenti nel debito pubblico costituirono in diversi casi uno strumento di coinvolgimento e di integrazione dei sottoscrittori nelle strategie di governo,confermando, anche in questa direzione, la straordinaria valenza ermeneutica del credito per una comprensione iuxta propria principia demonstrata della società europea di età moderna.
Credito; secc. XVI-XVII; Europa mediterranea
Settore SECS-P/12 - Storia Economica
2010
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