L’amnistia è canonicamente espressa, in greco, dalla formula μὴ μνησικακεῖν. Il verbo μνησικακεῖν, oltre al significato più letterale ‘ricordare i mali subiti’ e ‘serbare rancore’, variamente attestato nelle fonti letterarie – da Esopo ad Aristofane –, ha subito uno slittamento semantico assumendo, in combinazione con la negazione μὴ, l’accezione di ‘rinunciare alla vendetta’; nelle fonti letterarie ed epigrafiche di V e IV secolo l’espressione presenta finanche un significato molto specializzato in relazione al suo impiego in ambito giudiziario per definire un’amnistia. L’anteposizione della negazione μὴ depone a favore del fatto che ricordare i mali passati e ricercare vendetta per essi era l’opzione più frequente e rappresentava la norma; l’amnistia, invece, costituiva l’eccezione. Ancora, si può a buon diritto affermare che l’amnistia era una misura tendenzialmente impopolare, che si cercava di aggirare a livello giudiziario per ottenere vendetta. In questo senso, la τιμωρία si inscrive in modo del tutto coerente nel sistema giudiziario della polis come misura lecita e auspicabile, in aperto contrasto con il concetto moderno di vendetta. Il fatto che, secondo la communis opinio, il μὴ μνησικακεῖν sia da intendersi come espressione tecnica deve essere necessariamente ridimensionato. Innanzitutto, rileva osservare che la formula compare in modo pressoché esclusivo all’interno dei giuramenti civici annessi ai decreti e, in virtù di ciò, è dotata di una notevole pregnanza dal punto di vista religioso. In seconda istanza, nelle fonti letterarie ed epigrafiche compaiono talvolta espressioni sinonimiche per indicare un’amnistia, il che mina l’esclusività della formula μὴ μνησικακεῖν e il suo carattere ‘tecnico’; un illustre precedente è rappresentato da un passo delle Fenicie euripidee, in cui Giocasta esorta Eteocle alla riconciliazione. Infine, è da mettere in discussione l’associazione del μὴ μνησικακεῖν – e delle misure espresse da locuzioni analoghe – a quella che comunemente chiamiamo ‘amnistia’, mutuata dal termine più tardo ἀμνηστία: difatti, il μὴ μνησικακεῖν indica non già l’invalidazione del dispositivo di una sentenza emanata in passato e dei suoi effetti, ma il divieto di intentare un’azione giudiziaria per crimini commessi in passato. Dopo una disamina dello spettro di significati dell’espressione μὴ μνησικακεῖν nelle fonti letterarie ed epigrafiche, l’analisi lessicale metterà in evidenza la netta distinzione tra la proibizione di dare inizio a nuove cause giudiziarie e l’annullamento di sentenze pregresse: i due dispositivi, talora, lavorano sì in sinergia in un contesto di riconciliazione civica a seguito di una stasis, ma non coincidono né nella formulazione né nella sostanza. È da verificare se, dal momento che i due provvedimenti afferiscono entrambi – per usare una categoria moderna – all’istituto giuridico della clemenza, i Greci concepivano tale nozione e, in caso affermativo, in quali termini la concettualizzavano.
L’amnistia come negazione della vendetta negli accordi di riconciliazione. Una panoramica storico-giuridica tra V e IV secolo / S. Barbuto. ((Intervento presentato al convegno Vendetta e giustizia: binomio od opposizione? Prospettive di ricerca nella tragedia greca e connessioni con altri generi letterari tenutosi a Verona nel 2024.
L’amnistia come negazione della vendetta negli accordi di riconciliazione. Una panoramica storico-giuridica tra V e IV secolo
S. Barbuto
2024
Abstract
L’amnistia è canonicamente espressa, in greco, dalla formula μὴ μνησικακεῖν. Il verbo μνησικακεῖν, oltre al significato più letterale ‘ricordare i mali subiti’ e ‘serbare rancore’, variamente attestato nelle fonti letterarie – da Esopo ad Aristofane –, ha subito uno slittamento semantico assumendo, in combinazione con la negazione μὴ, l’accezione di ‘rinunciare alla vendetta’; nelle fonti letterarie ed epigrafiche di V e IV secolo l’espressione presenta finanche un significato molto specializzato in relazione al suo impiego in ambito giudiziario per definire un’amnistia. L’anteposizione della negazione μὴ depone a favore del fatto che ricordare i mali passati e ricercare vendetta per essi era l’opzione più frequente e rappresentava la norma; l’amnistia, invece, costituiva l’eccezione. Ancora, si può a buon diritto affermare che l’amnistia era una misura tendenzialmente impopolare, che si cercava di aggirare a livello giudiziario per ottenere vendetta. In questo senso, la τιμωρία si inscrive in modo del tutto coerente nel sistema giudiziario della polis come misura lecita e auspicabile, in aperto contrasto con il concetto moderno di vendetta. Il fatto che, secondo la communis opinio, il μὴ μνησικακεῖν sia da intendersi come espressione tecnica deve essere necessariamente ridimensionato. Innanzitutto, rileva osservare che la formula compare in modo pressoché esclusivo all’interno dei giuramenti civici annessi ai decreti e, in virtù di ciò, è dotata di una notevole pregnanza dal punto di vista religioso. In seconda istanza, nelle fonti letterarie ed epigrafiche compaiono talvolta espressioni sinonimiche per indicare un’amnistia, il che mina l’esclusività della formula μὴ μνησικακεῖν e il suo carattere ‘tecnico’; un illustre precedente è rappresentato da un passo delle Fenicie euripidee, in cui Giocasta esorta Eteocle alla riconciliazione. Infine, è da mettere in discussione l’associazione del μὴ μνησικακεῖν – e delle misure espresse da locuzioni analoghe – a quella che comunemente chiamiamo ‘amnistia’, mutuata dal termine più tardo ἀμνηστία: difatti, il μὴ μνησικακεῖν indica non già l’invalidazione del dispositivo di una sentenza emanata in passato e dei suoi effetti, ma il divieto di intentare un’azione giudiziaria per crimini commessi in passato. Dopo una disamina dello spettro di significati dell’espressione μὴ μνησικακεῖν nelle fonti letterarie ed epigrafiche, l’analisi lessicale metterà in evidenza la netta distinzione tra la proibizione di dare inizio a nuove cause giudiziarie e l’annullamento di sentenze pregresse: i due dispositivi, talora, lavorano sì in sinergia in un contesto di riconciliazione civica a seguito di una stasis, ma non coincidono né nella formulazione né nella sostanza. È da verificare se, dal momento che i due provvedimenti afferiscono entrambi – per usare una categoria moderna – all’istituto giuridico della clemenza, i Greci concepivano tale nozione e, in caso affermativo, in quali termini la concettualizzavano.Pubblicazioni consigliate
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