Per molti anni, le cause per negligenza professionale nella pratica odontoiatrica, non sono state ritenute delle serie minacce dalla maggioranza dei clinici. Il numero di vertenze intraprese contro i dentisti sono state molto esigue, così come la natura e le richieste economiche dei reclami ad esse allegate. Le Compagnie Assicurative garantivano una efficiente disponibilità a prezzi contenuti ed i pazienti raramente discutevano in modo critico la diagnosi, il tipo di trattamento e persino il risultato clinico. Mentre i medici si confrontano da tempo con le questioni medico-legali, solo recentemente, quindi, esse costituiscono un problema importante nella vita professionale degli odontoiatri. In questo lavoro si sottolinea l’importanza di avere un corretto consenso informato e di disporre di una completa documentazione ai fini medico-legali in Odontostomatologia. I vincoli alla validità del consenso informato non riguardano solamente le capacità dei soggetti titolari del diritto all’autodeterminazione, ma anche le caratteristiche oggettive relative alla forma del consenso stesso e alle sue modalità di espressione. L’espressione del consenso. Il consenso deve essere espresso da un individuo capace e deve essere esplicito, personale, specifico e consapevole. Ciò vuol dire in primo luogo che il consenso deve essere espresso chiaramente e senza sottointesi. Il consenso e la preventiva informazione devono essere dati e ricevuti dal paziente personalmente: dal punto di vista giuridico, dunque, è del tutto irrilevante il consenso dei familiari così come anche dal punto di vista deontologico. Il consenso deve anche essere espresso specificamente in relazione all’intervento e non solo genericamente all’ assistenza. Quanto poi alla consapevolezza dell’espressione questa è strettamente legata al grado di informazione data al paziente per operare la sua scelta. La forma del consenso. Non esiste un obbligo giuridico specifico che vincoli il consenso alla sola forma scritta, fatta eccezione per i casi nei quali esiste una espressa previsione di legge. E anche dal punto di vista etico è essenziale l’effettività dell’informazione e del consenso e non tanto la sua forma. Il medico può dunque provare con ogni mezzo di aver informato e di aver ricevuto il consenso, e l’indicazione di raccogliere per iscritto il consenso per interventi di maggiore importanza risponde a una legittima cautela del medico di predisporre una documentazione che possa facilitare il suo onere probatorio nel caso di eventuali contestazioni giudiziarie, onere che tuttavia, può essere assolto anche altrimenti rispetto ai moduli scritti. Quanto detto vale ovviamente anche per l’informazione: la documentazione scritta del solo consenso infatti e non dell’informazione data può far supporre legittimamente che vi sia stato il primo e non il secondo. Pur mancando un preciso obbligo in proposito sembrerebbe corretto consegnare al paziente copia di quanto ha sottoscritto. La cartella clinica. Si discute spesso di quale debba essere la forma migliore per documentare il consenso in tutte le sue accezioni: è necessario in proposito ricordare ancora che in generale un maggior formalismo offre maggiore certezza alla volontà (per esempio una volontà raccolta dal notaio): tuttavia il formalismo è sicuramente poco praticabile nella maggior parte dei casi e inoltre l’accentuazione della burocratizzazione del consenso tende a spersonalizzare la relazione tra medico e paziente. L’importanza è comunque uno standard minimo di certezza. In generale poi si può dire che un documento attraverso il quale certificare la volontà dei pazienti ricoverati è già disponibile ed è la cartella clinica. Tale strumento, per quanto poco regolamentato dalla legge, è sicuramente idoneo a recepire tutte le dichiarazioni del paziente relativamente alle cure a cui deve essere sottoposto. Esistono quattro principi fondamentali di responsabilità civile professionale. Il primo e il più ricorrente, riguarda i trattamenti clinici al di sotto degli standard di qualità ed è valutato secondo criteri, definiti appunto “standard”, da un’apposita commissione di professionisti. Il secondo principio concerne il consenso informato. In questo caso è necessario stabilire se il danno arrecato sia il risultato di un trattamento al quale il paziente non abbia dato preventivamente il suo assenso. Il nocciolo della questione è costituito dalla natura e dall’entità del danno oltre che dalla tempestività con cui l’odontoiatra ha riferito l’evento. Il terzo principio è relativo alla responsabilità sul prodotto. Lo stato dell’arte nell’odontoiatria è altamente sofisticato, i prodotti possono essere utilizzati in maniera non corretta. Quando si verifica un fallimento attribuibile ad un determinato prodotto, ad una specifica metodica o si instaurano effetti sfavorevoli in seguito all’utilizzo di tali strumenti, vengono chiamati a rispondere legalmente, il medico e l’industria (spesso anche il responsabile della distribuzione). In questi casi, la questione fondamentale è riferibile alla responsabilità oggettiva e a quale livello esista la colpa, cioè se è un progetto difettoso oppure una costruzione non adeguata del prodotto costituiscano delle concause nella complicazione di un danno provocato dalla negligenza professionale del clinico. L’ultimo principio è quello della responsabilità da negligenza professionale. Il problema in questo caso è se atti di negligenza non ben definibili, errori o omissioni abbiano effettivamente provocato un danno per il quale il clinico o il costruttore del prodotto debbano rispondere legalmente. Nelle vertenze si tende spesso ad individuare una responsabilità là dove esiste evidenza di pratica non corretta, poiché spesso è difficile identificare un atto preciso di negligenza. Un capitolo a stante, relativo alle responsabilità per negligenza, è rappresentato dal consenso informato. Per consenso informato si intende un consenso esplicito che deve essere preceduto da una dettagliata ed esaustiva informazione sulle procedure e rischi inerenti il piano terapeutico, eseguita dal sanitario in modo obiettivo, completo, comprensibile ed adeguato all’intelligenza ed al grado di cultura del paziente. Il consenso è condizione imprescindibile di legittimazione dell’atto medico: esso deve essere chiaro, esplicito, articolato, esaustivo e documentato, cioè attestato, in ogni accertamento e trattamento che possa essere considerato “ragionevolmente” a rischio per la salute del paziente. Il significato di questo termine risiede nel fatto che il clinico è responsabile dei danni personali, dovuti a un trattamento (che presenta potenziali rischi o possibili complicazioni dei quali egli è a conoscenza), al quale il paziente non ha dato il suo assenso. Questa teoria esula dal concetto di standard di qualità in quanto anche se un odontoiatra ha eseguito un trattamento secondo tali criteri, può esistere ancora una responsabilità oggettiva per danno alla persona se il paziente non è stato pienamente informato sui rischi connessi, prima di fornire il consenso al trattamento. Il criterio di giudizio in caso di consenso informato è fondato sull’assenso al trattamento fornito da un paziente capace di intendere e di volere, sulla base della sua completa conoscenza di tutti i possibili e significativi rischi connessi. Se un risultato insoddisfacente sul piano clinico o un danno rappresentino un “rischio significativo”, è una questione da demandare agli esperti; è certo che per dibattere con efficacia un caso di consenso informato, bisogna ricorrere ad un perito del settore, che abbia confidenza con i possibili rischi e le eventuali conseguenze connessi al tipo di terapia in questione. Il giudice e la giuria devono formulare il verdetto, valutando se ci sia stato o meno, un assenso al trattamento da parte del paziente sulla base della conoscenza preventiva dei possibili rischi o conseguenze a cui egli poteva andare incontro. La disputa processuale si fonda essenzialmente sulla natura e la completezza delle informazioni fornite al paziente durante il consulto che segue l’esame obiettivo e la diagnosi che precede l’inizio del trattamento. Un punto fermo nella rivendicazione della parte lesa è costituito dal fatto che il danno subito, su cui verte il dibattimento, era un possibile rischio compreso dal piano di trattamento, pienamente conosciuto dal paziente come possibile evenienza connessa alla procedura (che diventa “significativo” in virtù della sua effettiva comparsa durante la fase clinica), nei confronti della quale però il paziente lamenta che il danno venne provocato in assenza del consenso informato. Inoltre, egli di solito asserisce che il potenziale rischio di lesione non era stato riferito al medico o che la natura e la completezza dell’informazione era inadeguata o fuorviante. La difesa obietta che il rischio di lesione non era significativo e perciò non richiedeva divulgazione o che essa era stata fornita in misura adeguata in base alle circostanze, anche in presenza di consenso al trattamento da parte del paziente e di ottenimento di un risultato clinico insoddisfacente. Di solito, nelle dispute relative al consenso informato ed alle lesioni connesse, ci si domanda se la responsabilità oggettiva dovrebbe essere presa in considerazione in un caso in cui insorgano complicazioni durante un trattamento che rientra negli standard di qualità richiesti. Le cartelle cliniche e le schede preformate per il consenso, costituiscono degli elementi importanti in un dibattito di questo tipo. Tali strumenti consentono al dentista di dimostrare che il paziente era stato informato circa il “rischio significativo” potenzialmente connesso alla procedura e che egli aveva dato il suo assenso al trattamento dopo essere stato messo a conoscenza anche dei rischi abituali meno gravi; la documentazione clinica, tuttavia, non costituisce un elemento a difesa di valore assoluto, ma rappresenta solo evidenza di informazione e consenso. Supponendo che il paziente fosse stato informato su un potenziale rischio connesso al trattamento, il dibattito si incentra quasi sempre sul modo in cui il consenso era stato ottenuto e sulla sostanza e sul tenore del colloquio tra medico e paziente. Non è mai chiaramente dimostrabile se il paziente abbia o non abbia acconsentito all’esecuzione del trattamento. Una documentazione scritta, nella quale sia contenuta l’affermazione del possibile rischio legato ad una data procedura, rende la testimonianza dell’odontoiatra su “ciò” che veniva discusso e “come” era presentato al paziente molto più credibile agli occhi del giudice e giurati. In ultima analisi è opportuno affermare che le schede per il consenso non devono rappresentare unicamente uno strumento di protezione legale per i dentista, ma, soprattutto, un mezzo per informare in maniera accurata e accessibile il paziente, prima che questi si sottoponga ad un trattamento terapeutico. Conclusioni Negli ultimi anni si sta osservando un aumento dei casi di contenzioso in tema di responsabilità medica e di conseguenza una significativa presenza di casi riguardanti l’odontoiatria. Il progresso tecnico-scientifico è sempre in grado di assicurare terapie complesse con ampio margine di affidabilità e minore margine di giustificazione all’insuccesso terapeutico, aumentando le aspettative di un ottimo risultato del singolo paziente e della società. Per evitare il contenzioso medico-legale in odontoiatria è necessario: aver una corretta documentazione del consenso informato; costituire e mantenere un corretto e reciproco rapporto tra medico e paziente; interrompere le cure di pazienti non collaboranti e negligenti; documentare la propria attività clinica con modelli, radiografie,fotografie, tracciati cefalometrici, elettromiografici, kinesiografici, stabiliometrici; seguendo alcune semplici regole di etica e di deontologia medica erogando prestazioni tecnicamente corrette.

Medicina Legale in Odontostomatologia / V. Ghiglione, U. Garagiola - In: Atti proceedings International odontostomatologic congress[s.l] : Centro culturale odontostomatologico, 2005 Nov. - pp. 52-55 (( Intervento presentato al 16. convegno Congresso internazionale odontostomatologico tenutosi a Monte Carlo nel 2005.

Medicina Legale in Odontostomatologia

U. Garagiola
2005

Abstract

Per molti anni, le cause per negligenza professionale nella pratica odontoiatrica, non sono state ritenute delle serie minacce dalla maggioranza dei clinici. Il numero di vertenze intraprese contro i dentisti sono state molto esigue, così come la natura e le richieste economiche dei reclami ad esse allegate. Le Compagnie Assicurative garantivano una efficiente disponibilità a prezzi contenuti ed i pazienti raramente discutevano in modo critico la diagnosi, il tipo di trattamento e persino il risultato clinico. Mentre i medici si confrontano da tempo con le questioni medico-legali, solo recentemente, quindi, esse costituiscono un problema importante nella vita professionale degli odontoiatri. In questo lavoro si sottolinea l’importanza di avere un corretto consenso informato e di disporre di una completa documentazione ai fini medico-legali in Odontostomatologia. I vincoli alla validità del consenso informato non riguardano solamente le capacità dei soggetti titolari del diritto all’autodeterminazione, ma anche le caratteristiche oggettive relative alla forma del consenso stesso e alle sue modalità di espressione. L’espressione del consenso. Il consenso deve essere espresso da un individuo capace e deve essere esplicito, personale, specifico e consapevole. Ciò vuol dire in primo luogo che il consenso deve essere espresso chiaramente e senza sottointesi. Il consenso e la preventiva informazione devono essere dati e ricevuti dal paziente personalmente: dal punto di vista giuridico, dunque, è del tutto irrilevante il consenso dei familiari così come anche dal punto di vista deontologico. Il consenso deve anche essere espresso specificamente in relazione all’intervento e non solo genericamente all’ assistenza. Quanto poi alla consapevolezza dell’espressione questa è strettamente legata al grado di informazione data al paziente per operare la sua scelta. La forma del consenso. Non esiste un obbligo giuridico specifico che vincoli il consenso alla sola forma scritta, fatta eccezione per i casi nei quali esiste una espressa previsione di legge. E anche dal punto di vista etico è essenziale l’effettività dell’informazione e del consenso e non tanto la sua forma. Il medico può dunque provare con ogni mezzo di aver informato e di aver ricevuto il consenso, e l’indicazione di raccogliere per iscritto il consenso per interventi di maggiore importanza risponde a una legittima cautela del medico di predisporre una documentazione che possa facilitare il suo onere probatorio nel caso di eventuali contestazioni giudiziarie, onere che tuttavia, può essere assolto anche altrimenti rispetto ai moduli scritti. Quanto detto vale ovviamente anche per l’informazione: la documentazione scritta del solo consenso infatti e non dell’informazione data può far supporre legittimamente che vi sia stato il primo e non il secondo. Pur mancando un preciso obbligo in proposito sembrerebbe corretto consegnare al paziente copia di quanto ha sottoscritto. La cartella clinica. Si discute spesso di quale debba essere la forma migliore per documentare il consenso in tutte le sue accezioni: è necessario in proposito ricordare ancora che in generale un maggior formalismo offre maggiore certezza alla volontà (per esempio una volontà raccolta dal notaio): tuttavia il formalismo è sicuramente poco praticabile nella maggior parte dei casi e inoltre l’accentuazione della burocratizzazione del consenso tende a spersonalizzare la relazione tra medico e paziente. L’importanza è comunque uno standard minimo di certezza. In generale poi si può dire che un documento attraverso il quale certificare la volontà dei pazienti ricoverati è già disponibile ed è la cartella clinica. Tale strumento, per quanto poco regolamentato dalla legge, è sicuramente idoneo a recepire tutte le dichiarazioni del paziente relativamente alle cure a cui deve essere sottoposto. Esistono quattro principi fondamentali di responsabilità civile professionale. Il primo e il più ricorrente, riguarda i trattamenti clinici al di sotto degli standard di qualità ed è valutato secondo criteri, definiti appunto “standard”, da un’apposita commissione di professionisti. Il secondo principio concerne il consenso informato. In questo caso è necessario stabilire se il danno arrecato sia il risultato di un trattamento al quale il paziente non abbia dato preventivamente il suo assenso. Il nocciolo della questione è costituito dalla natura e dall’entità del danno oltre che dalla tempestività con cui l’odontoiatra ha riferito l’evento. Il terzo principio è relativo alla responsabilità sul prodotto. Lo stato dell’arte nell’odontoiatria è altamente sofisticato, i prodotti possono essere utilizzati in maniera non corretta. Quando si verifica un fallimento attribuibile ad un determinato prodotto, ad una specifica metodica o si instaurano effetti sfavorevoli in seguito all’utilizzo di tali strumenti, vengono chiamati a rispondere legalmente, il medico e l’industria (spesso anche il responsabile della distribuzione). In questi casi, la questione fondamentale è riferibile alla responsabilità oggettiva e a quale livello esista la colpa, cioè se è un progetto difettoso oppure una costruzione non adeguata del prodotto costituiscano delle concause nella complicazione di un danno provocato dalla negligenza professionale del clinico. L’ultimo principio è quello della responsabilità da negligenza professionale. Il problema in questo caso è se atti di negligenza non ben definibili, errori o omissioni abbiano effettivamente provocato un danno per il quale il clinico o il costruttore del prodotto debbano rispondere legalmente. Nelle vertenze si tende spesso ad individuare una responsabilità là dove esiste evidenza di pratica non corretta, poiché spesso è difficile identificare un atto preciso di negligenza. Un capitolo a stante, relativo alle responsabilità per negligenza, è rappresentato dal consenso informato. Per consenso informato si intende un consenso esplicito che deve essere preceduto da una dettagliata ed esaustiva informazione sulle procedure e rischi inerenti il piano terapeutico, eseguita dal sanitario in modo obiettivo, completo, comprensibile ed adeguato all’intelligenza ed al grado di cultura del paziente. Il consenso è condizione imprescindibile di legittimazione dell’atto medico: esso deve essere chiaro, esplicito, articolato, esaustivo e documentato, cioè attestato, in ogni accertamento e trattamento che possa essere considerato “ragionevolmente” a rischio per la salute del paziente. Il significato di questo termine risiede nel fatto che il clinico è responsabile dei danni personali, dovuti a un trattamento (che presenta potenziali rischi o possibili complicazioni dei quali egli è a conoscenza), al quale il paziente non ha dato il suo assenso. Questa teoria esula dal concetto di standard di qualità in quanto anche se un odontoiatra ha eseguito un trattamento secondo tali criteri, può esistere ancora una responsabilità oggettiva per danno alla persona se il paziente non è stato pienamente informato sui rischi connessi, prima di fornire il consenso al trattamento. Il criterio di giudizio in caso di consenso informato è fondato sull’assenso al trattamento fornito da un paziente capace di intendere e di volere, sulla base della sua completa conoscenza di tutti i possibili e significativi rischi connessi. Se un risultato insoddisfacente sul piano clinico o un danno rappresentino un “rischio significativo”, è una questione da demandare agli esperti; è certo che per dibattere con efficacia un caso di consenso informato, bisogna ricorrere ad un perito del settore, che abbia confidenza con i possibili rischi e le eventuali conseguenze connessi al tipo di terapia in questione. Il giudice e la giuria devono formulare il verdetto, valutando se ci sia stato o meno, un assenso al trattamento da parte del paziente sulla base della conoscenza preventiva dei possibili rischi o conseguenze a cui egli poteva andare incontro. La disputa processuale si fonda essenzialmente sulla natura e la completezza delle informazioni fornite al paziente durante il consulto che segue l’esame obiettivo e la diagnosi che precede l’inizio del trattamento. Un punto fermo nella rivendicazione della parte lesa è costituito dal fatto che il danno subito, su cui verte il dibattimento, era un possibile rischio compreso dal piano di trattamento, pienamente conosciuto dal paziente come possibile evenienza connessa alla procedura (che diventa “significativo” in virtù della sua effettiva comparsa durante la fase clinica), nei confronti della quale però il paziente lamenta che il danno venne provocato in assenza del consenso informato. Inoltre, egli di solito asserisce che il potenziale rischio di lesione non era stato riferito al medico o che la natura e la completezza dell’informazione era inadeguata o fuorviante. La difesa obietta che il rischio di lesione non era significativo e perciò non richiedeva divulgazione o che essa era stata fornita in misura adeguata in base alle circostanze, anche in presenza di consenso al trattamento da parte del paziente e di ottenimento di un risultato clinico insoddisfacente. Di solito, nelle dispute relative al consenso informato ed alle lesioni connesse, ci si domanda se la responsabilità oggettiva dovrebbe essere presa in considerazione in un caso in cui insorgano complicazioni durante un trattamento che rientra negli standard di qualità richiesti. Le cartelle cliniche e le schede preformate per il consenso, costituiscono degli elementi importanti in un dibattito di questo tipo. Tali strumenti consentono al dentista di dimostrare che il paziente era stato informato circa il “rischio significativo” potenzialmente connesso alla procedura e che egli aveva dato il suo assenso al trattamento dopo essere stato messo a conoscenza anche dei rischi abituali meno gravi; la documentazione clinica, tuttavia, non costituisce un elemento a difesa di valore assoluto, ma rappresenta solo evidenza di informazione e consenso. Supponendo che il paziente fosse stato informato su un potenziale rischio connesso al trattamento, il dibattito si incentra quasi sempre sul modo in cui il consenso era stato ottenuto e sulla sostanza e sul tenore del colloquio tra medico e paziente. Non è mai chiaramente dimostrabile se il paziente abbia o non abbia acconsentito all’esecuzione del trattamento. Una documentazione scritta, nella quale sia contenuta l’affermazione del possibile rischio legato ad una data procedura, rende la testimonianza dell’odontoiatra su “ciò” che veniva discusso e “come” era presentato al paziente molto più credibile agli occhi del giudice e giurati. In ultima analisi è opportuno affermare che le schede per il consenso non devono rappresentare unicamente uno strumento di protezione legale per i dentista, ma, soprattutto, un mezzo per informare in maniera accurata e accessibile il paziente, prima che questi si sottoponga ad un trattamento terapeutico. Conclusioni Negli ultimi anni si sta osservando un aumento dei casi di contenzioso in tema di responsabilità medica e di conseguenza una significativa presenza di casi riguardanti l’odontoiatria. Il progresso tecnico-scientifico è sempre in grado di assicurare terapie complesse con ampio margine di affidabilità e minore margine di giustificazione all’insuccesso terapeutico, aumentando le aspettative di un ottimo risultato del singolo paziente e della società. Per evitare il contenzioso medico-legale in odontoiatria è necessario: aver una corretta documentazione del consenso informato; costituire e mantenere un corretto e reciproco rapporto tra medico e paziente; interrompere le cure di pazienti non collaboranti e negligenti; documentare la propria attività clinica con modelli, radiografie,fotografie, tracciati cefalometrici, elettromiografici, kinesiografici, stabiliometrici; seguendo alcune semplici regole di etica e di deontologia medica erogando prestazioni tecnicamente corrette.
Settore MEDS-16/A - Malattie odontostomatologiche
nov-2005
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