Since confessional reference is the main distinguishing feature of the three largest national-religious communities in Bosnia and Herzegovina, religious sites and symbols are often involved in political and identity debates. During the war, houses of worship were deliberately targeted so that an erasure of the traces of the enemy people’s presence would take place in the landscape. However, thirty years after the conflict, almost all objects of pre-war religious heritage are standing again; however, the population living around these buildings that testify to the presence of worshipping communities that are often no longer there has changed. This research focuses on these “abandoned” places of worship to understand their symbolic role in the landscape and the value placed on them by current inhabitants. “Abandoned” places of worship are defined as those churches or mosques that, belonging to the majority community before the war, found themselves in territories dominated by a different confessional group as a result of demographic change; abandonment does not consist of a perpetual closure of the building, as some worshippers returned as a minority in the decades following the conflict. An eclectic approach of the new cultural geography was adopted, with a focus on the semiotic current and various inputs from other disciplines. Some landmark theories and interpretive concepts on the role of places of worship in Bosnia and Herzegovina were considered, particularly that of antagonistic tolerance. The research was conducted in four case studies, the municipalities of Brod, Ilijaš, Kupres, and Višegrad, chosen because of the reversal of power relations between nationalities that occurred there as a result of the war. I chose to focus on the local scale in case studies that were intentionally peripheral, both in location and in the political and academic discourse on Bosnia and Herzegovina (with the only partial exception of Višegrad), based on the belief that this marginality could bring out alternative narratives to those of perennial ethnonationalist opposition. The methodology adopted involved first an analysis of the landscape surrounding the places of worship, starting with participant observation and the collection of documents and information about them, then interviews with the religious and civil authorities of the municipalities involved and some “ordinary” inhabitants to gather different views on the value of these symbolic objects. The landscape analysis first revealed two different narratives that places of worship help to convey: on the one hand, the symbolic appropriation of space by the current national-religious majority, and on the other hand, the memory of communities of worshippers who are no longer there or have returned as a minority. Thus, it has emerged that “abandoned” sacred buildings have in some cases pioneered the return of a minority community, only to become its sole centre of meeting and sociability. They almost always have a function as a gathering site at least annually for those who have left, while for the rest of the year they remain as substitutes for those who are no longer there, also for the purpose of counteracting the intended effect of wartime destruction, although their reconstruction is generally not perceived as reparation. Finally, they remain witnesses to the past, both because of their durability and because they are often linked to painful memories, sometimes explicitly manifested by associated architectural elements or memorials. I noted that at this scale there is not a competition between different identity narratives through the construction of places of worship, but specific sites may participate in it at the national scale. The interviews generally showed that all places of worship are considered important, although value is often attributed in proportion to the numerical size of the community that attends them. The most widely recognized value of sacred buildings is spiritual and educational/moral; another widely considered is community value, as well as historical value, particularly because they existed before the war. Few, however, see these buildings primarily as identity symbols of national-religious belonging: local aspects, of identification with the parish, džemat or village, seem to count more. The main factor influencing the different value attributed to abandoned churches and mosques is the previous experience of familiarity with different people and their sacred buildings. This experiential discriminating factor has resulted in a generational divide, as those who are older have had a chance to coexist with other national-religious communities before the war.

Dal momento che il riferimento confessionale è il principale elemento di distinzione delle tre comunità nazional-religiose maggiori della Bosnia ed Erzegovina, i luoghi e i simboli religiosi sono spesso coinvolti nei dibattiti politici e identitari. Durante la guerra gli edifici di culto sono stati deliberatamente colpiti perché avvenisse una cancellazione delle tracce della presenza del popolo nemico anche nel paesaggio. Tuttavia, a trent’anni dal conflitto, quasi tutti gli oggetti del patrimonio religioso prebellico sono di nuovo in piedi; è però cambiata la popolazione che vive intorno a queste costruzioni che testimoniano la presenza di comunità di fedeli che spesso non ci sono più. Questa ricerca si concentra su questi luoghi di culto “abbandonati” per comprenderne il ruolo simbolico nel paesaggio e il valore attribuito loro dagli attuali abitanti. Per luoghi di culto “abbandonati” si sono intesi quelle chiese o moschee che, appartenenti alla comunità maggioritaria prima della guerra, si sono trovati a seguito del cambiamento demografico in territori dominati da un gruppo di confessione diversa; l’abbandono non consiste in una perenne chiusura dell’edificio, poiché alcuni fedeli sono tornati come minoranza nei decenni successivi al conflitto. Si è adottato un approccio eclettico della nuova geografia culturale, con una particolare attenzione alla corrente semiotica e diversi apporti da altre discipline, e sono state considerate alcune teorie e concetti interpretativi di riferimento sul ruolo dei luoghi di culto in Bosnia ed Erzegovina, in particolare quella della tolleranza antagonistica. La ricerca è stata condotta in quattro casi di studio, le municipalità di Brod, Ilijaš, Kupres e Višegrad, scelte per il capovolgimento dei rapporti di forza tra le nazionalità avvenutovi a seguito della guerra. Si è scelto di concentrarsi sulla scala locale in casi di studio volutamente periferici, sia per posizione sia nel discorso politico e accademico sulla Bosnia ed Erzegovina (con la sola parziale eccezione di Višegrad), a partire dalla convinzione che questa marginalità potesse far emergere narrazioni alternative a quelle della perenne contrapposizione etnonazionalista. La metodologia adottata ha previsto anzitutto un’analisi del paesaggio circostante i luoghi di culto, a partire dall’osservazione partecipante e dalla raccolta di documenti e informazioni su di loro, poi delle interviste alle autorità religiose e civili delle municipalità coinvolte e ad alcuni abitanti “comuni” per raccogliere diverse visioni sul valore di questi oggetti simbolici. Dall’analisi del paesaggio sono emerse anzitutto due diverse narrazioni che i luoghi di culto contribuiscono a trasmettere: da un lato l’appropriazione simbolica dello spazio da parte dell’attuale componente nazional-religiosa maggioritaria, dall’altra la memoria delle comunità di fedeli che non ci sono più o che sono tornate come minoranza. È emerso così che gli edifici sacri “abbandonati” sono stati in alcuni casi pionieri del ritorno di una comunità minoritaria, per poi divenirne l’unico centro di ritrovo e socialità. Hanno quasi sempre una funzione di sito di raduno almeno annuale di coloro che se ne sono andati, mentre per il resto dell’anno rimangono come sostituti di chi non c’è più, anche allo scopo di contrastare l’effetto voluto della distruzione bellica, benché la loro ricostruzione non venga in genere percepita come un risarcimento. Infine, rimangono testimoni del passato, sia per la loro durevolezza, sia perché spesso collegati a memorie dolorose, talvolta esplicitamente manifestate da elementi architettonici o monumenti commemorativi associati. Si è osservato come a questa scala non si assista a una competizione tra narrazioni identitarie diverse attraverso la costruzione dei luoghi di culto, ma come alcuni siti specifici possano parteciparvi a scala nazionale. Dalle interviste è emerso in generale che tutti i luoghi di culto sono considerati importanti, anche se spesso il valore è attribuito in proporzione alla consistenza numerica della comunità che li frequenta. Il valore più largamente riconosciuto agli edifici sacri è quello spirituale ed educativo/morale; un altro diffusamente considerato è quello comunitario, oltre a quello storico, in particolare perché esistevano prima della guerra. Sono invece pochi coloro che vedono primariamente queste costruzioni come simboli identitari dell’appartenenza nazional-religiosa: sembrano contare di più aspetti locali, di identificazione con la parrocchia, il džemat o il villaggio. Il fattore principale che influenza il diverso valore attribuito a chiese e moschee abbandonate è l’esperienza di familiarità con i diversi e con i loro edifici sacri. Questo discrimine esperienziale si è tradotto in una spartizione di carattere generazionale, poiché chi è anziano ha avuto modo di convivere con le altre comunità nazional-religiose prima della guerra.

DOVE PREGAVANO GLI ALTRI... LUOGHI DI CULTO "ABBANDONATI" IN BOSNIA ED ERZEGOVINA: MEMORIA, VALORE CULTURALE E PROCESSI D'IDENTIFICAZIONE TERRITORIALE / G. Agostoni ; tutor: A. G. Violante ; coordinatore: N. Guicciardini Corsi Salviati. - Milano. Dipartimento di Studi Storici, 2024. 36. ciclo, Anno Accademico 2022/2023.

DOVE PREGAVANO GLI ALTRI... LUOGHI DI CULTO ¿ABBANDONATI¿ IN BOSNIA ED ERZEGOVINA: MEMORIA, VALORE CULTURALE E PROCESSI D¿IDENTIFICAZIONE TERRITORIALE

G. Agostoni
2024

Abstract

Since confessional reference is the main distinguishing feature of the three largest national-religious communities in Bosnia and Herzegovina, religious sites and symbols are often involved in political and identity debates. During the war, houses of worship were deliberately targeted so that an erasure of the traces of the enemy people’s presence would take place in the landscape. However, thirty years after the conflict, almost all objects of pre-war religious heritage are standing again; however, the population living around these buildings that testify to the presence of worshipping communities that are often no longer there has changed. This research focuses on these “abandoned” places of worship to understand their symbolic role in the landscape and the value placed on them by current inhabitants. “Abandoned” places of worship are defined as those churches or mosques that, belonging to the majority community before the war, found themselves in territories dominated by a different confessional group as a result of demographic change; abandonment does not consist of a perpetual closure of the building, as some worshippers returned as a minority in the decades following the conflict. An eclectic approach of the new cultural geography was adopted, with a focus on the semiotic current and various inputs from other disciplines. Some landmark theories and interpretive concepts on the role of places of worship in Bosnia and Herzegovina were considered, particularly that of antagonistic tolerance. The research was conducted in four case studies, the municipalities of Brod, Ilijaš, Kupres, and Višegrad, chosen because of the reversal of power relations between nationalities that occurred there as a result of the war. I chose to focus on the local scale in case studies that were intentionally peripheral, both in location and in the political and academic discourse on Bosnia and Herzegovina (with the only partial exception of Višegrad), based on the belief that this marginality could bring out alternative narratives to those of perennial ethnonationalist opposition. The methodology adopted involved first an analysis of the landscape surrounding the places of worship, starting with participant observation and the collection of documents and information about them, then interviews with the religious and civil authorities of the municipalities involved and some “ordinary” inhabitants to gather different views on the value of these symbolic objects. The landscape analysis first revealed two different narratives that places of worship help to convey: on the one hand, the symbolic appropriation of space by the current national-religious majority, and on the other hand, the memory of communities of worshippers who are no longer there or have returned as a minority. Thus, it has emerged that “abandoned” sacred buildings have in some cases pioneered the return of a minority community, only to become its sole centre of meeting and sociability. They almost always have a function as a gathering site at least annually for those who have left, while for the rest of the year they remain as substitutes for those who are no longer there, also for the purpose of counteracting the intended effect of wartime destruction, although their reconstruction is generally not perceived as reparation. Finally, they remain witnesses to the past, both because of their durability and because they are often linked to painful memories, sometimes explicitly manifested by associated architectural elements or memorials. I noted that at this scale there is not a competition between different identity narratives through the construction of places of worship, but specific sites may participate in it at the national scale. The interviews generally showed that all places of worship are considered important, although value is often attributed in proportion to the numerical size of the community that attends them. The most widely recognized value of sacred buildings is spiritual and educational/moral; another widely considered is community value, as well as historical value, particularly because they existed before the war. Few, however, see these buildings primarily as identity symbols of national-religious belonging: local aspects, of identification with the parish, džemat or village, seem to count more. The main factor influencing the different value attributed to abandoned churches and mosques is the previous experience of familiarity with different people and their sacred buildings. This experiential discriminating factor has resulted in a generational divide, as those who are older have had a chance to coexist with other national-religious communities before the war.
27-set-2024
Dal momento che il riferimento confessionale è il principale elemento di distinzione delle tre comunità nazional-religiose maggiori della Bosnia ed Erzegovina, i luoghi e i simboli religiosi sono spesso coinvolti nei dibattiti politici e identitari. Durante la guerra gli edifici di culto sono stati deliberatamente colpiti perché avvenisse una cancellazione delle tracce della presenza del popolo nemico anche nel paesaggio. Tuttavia, a trent’anni dal conflitto, quasi tutti gli oggetti del patrimonio religioso prebellico sono di nuovo in piedi; è però cambiata la popolazione che vive intorno a queste costruzioni che testimoniano la presenza di comunità di fedeli che spesso non ci sono più. Questa ricerca si concentra su questi luoghi di culto “abbandonati” per comprenderne il ruolo simbolico nel paesaggio e il valore attribuito loro dagli attuali abitanti. Per luoghi di culto “abbandonati” si sono intesi quelle chiese o moschee che, appartenenti alla comunità maggioritaria prima della guerra, si sono trovati a seguito del cambiamento demografico in territori dominati da un gruppo di confessione diversa; l’abbandono non consiste in una perenne chiusura dell’edificio, poiché alcuni fedeli sono tornati come minoranza nei decenni successivi al conflitto. Si è adottato un approccio eclettico della nuova geografia culturale, con una particolare attenzione alla corrente semiotica e diversi apporti da altre discipline, e sono state considerate alcune teorie e concetti interpretativi di riferimento sul ruolo dei luoghi di culto in Bosnia ed Erzegovina, in particolare quella della tolleranza antagonistica. La ricerca è stata condotta in quattro casi di studio, le municipalità di Brod, Ilijaš, Kupres e Višegrad, scelte per il capovolgimento dei rapporti di forza tra le nazionalità avvenutovi a seguito della guerra. Si è scelto di concentrarsi sulla scala locale in casi di studio volutamente periferici, sia per posizione sia nel discorso politico e accademico sulla Bosnia ed Erzegovina (con la sola parziale eccezione di Višegrad), a partire dalla convinzione che questa marginalità potesse far emergere narrazioni alternative a quelle della perenne contrapposizione etnonazionalista. La metodologia adottata ha previsto anzitutto un’analisi del paesaggio circostante i luoghi di culto, a partire dall’osservazione partecipante e dalla raccolta di documenti e informazioni su di loro, poi delle interviste alle autorità religiose e civili delle municipalità coinvolte e ad alcuni abitanti “comuni” per raccogliere diverse visioni sul valore di questi oggetti simbolici. Dall’analisi del paesaggio sono emerse anzitutto due diverse narrazioni che i luoghi di culto contribuiscono a trasmettere: da un lato l’appropriazione simbolica dello spazio da parte dell’attuale componente nazional-religiosa maggioritaria, dall’altra la memoria delle comunità di fedeli che non ci sono più o che sono tornate come minoranza. È emerso così che gli edifici sacri “abbandonati” sono stati in alcuni casi pionieri del ritorno di una comunità minoritaria, per poi divenirne l’unico centro di ritrovo e socialità. Hanno quasi sempre una funzione di sito di raduno almeno annuale di coloro che se ne sono andati, mentre per il resto dell’anno rimangono come sostituti di chi non c’è più, anche allo scopo di contrastare l’effetto voluto della distruzione bellica, benché la loro ricostruzione non venga in genere percepita come un risarcimento. Infine, rimangono testimoni del passato, sia per la loro durevolezza, sia perché spesso collegati a memorie dolorose, talvolta esplicitamente manifestate da elementi architettonici o monumenti commemorativi associati. Si è osservato come a questa scala non si assista a una competizione tra narrazioni identitarie diverse attraverso la costruzione dei luoghi di culto, ma come alcuni siti specifici possano parteciparvi a scala nazionale. Dalle interviste è emerso in generale che tutti i luoghi di culto sono considerati importanti, anche se spesso il valore è attribuito in proporzione alla consistenza numerica della comunità che li frequenta. Il valore più largamente riconosciuto agli edifici sacri è quello spirituale ed educativo/morale; un altro diffusamente considerato è quello comunitario, oltre a quello storico, in particolare perché esistevano prima della guerra. Sono invece pochi coloro che vedono primariamente queste costruzioni come simboli identitari dell’appartenenza nazional-religiosa: sembrano contare di più aspetti locali, di identificazione con la parrocchia, il džemat o il villaggio. Il fattore principale che influenza il diverso valore attribuito a chiese e moschee abbandonate è l’esperienza di familiarità con i diversi e con i loro edifici sacri. Questo discrimine esperienziale si è tradotto in una spartizione di carattere generazionale, poiché chi è anziano ha avuto modo di convivere con le altre comunità nazional-religiose prima della guerra.
Settore M-GGR/01 - Geografia
Settore GEOG-01/A - Geografia
luoghi di culto; paesaggio religioso; identità culturale; patrimonio culturale; Bosnia ed Erzegovina
VIOLANTE, ANTONIO GIUSEPPE
GUICCIARDINI CORSI SALVIATI, NICCOLO'
Doctoral Thesis
DOVE PREGAVANO GLI ALTRI... LUOGHI DI CULTO "ABBANDONATI" IN BOSNIA ED ERZEGOVINA: MEMORIA, VALORE CULTURALE E PROCESSI D'IDENTIFICAZIONE TERRITORIALE / G. Agostoni ; tutor: A. G. Violante ; coordinatore: N. Guicciardini Corsi Salviati. - Milano. Dipartimento di Studi Storici, 2024. 36. ciclo, Anno Accademico 2022/2023.
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