Il contributo affronta il tema degli effetti delle condotte omissive delle parti, in sede sia arbitrale che giudiziale, in relazione all’onere di proposizione della carenza di potestas iudicandi dell’organo adito in presenza di una convenzione arbitrale. Dopo aver esaminato i diversi casi di, lato sensu, “invalidità” del patto arbitrale (per sua inesistenza, nullità, inefficacia) e di carenza di potere decisorio degli arbitri per la loro irregolare costituzione, l’autore analizza, alla luce della giurisprudenza piùrecente, il regime approntato dal legislatore della riforma del 2006 (solo lievemente ritoccato dalla recente riforma Cartabia): non solo gli artt. 817 e 819 ter c.p.c., che si occupano dei rapporti e conflitti di “competenza” tra arbitro e giudice statale, dalla prospettiva, rispettivamente, del primo e del secondo, ma altresì, in una più ampia prospettiva sistematica, gli artt. 819 c.p.c. (questioni incidentali) e 829 c.p.c. (casi di nullità del lodo). Contrariamente alle posizioni di certa dottrina, l’autore conclude nel senso che gli effetti delle condotte omissive delle parti in relazione all’onere di proposizione della carenza di potestas iudicandi dell’organo adito in presenza di una convenzione arbitrale, sia in sede arbitrale che giudiziale, si limitano ad una preclusione processuale, che esaurisce cioè i propri effetti all’interno del procedimento in cui si sia verificata, senza alcuna efficacia esterna (sul potere decisorio dell’altro organo o sull’eventuale prosecuzione dell’altro procedimento già iniziato) e senza alcuna ricaduta sul piano sostanziale sull’esistenza e validità del patto arbitrale. Ciò implica che la preclusione a contestare la competenza dell’organo adito maturata nell’ambito di un procedimento, non rende necessariamente valido ed efficace il patto, che potrà essere contestato nell’ambito di un diverso e successivo procedimento. Tale conclusione, allineando il regime applicabile alle condotte omissive delle parti sia in arbitrato che nel giudizio statale, è in linea con la ratio ispiratrice della riforma del 2006, che ha inteso, quanto più possibile e sotto una molteplicità di profili, equiparare la giurisdizione privata e quella pubblica, preservando al contempo la rispettiva autonomia ed indipendenza.
Gli effetti delle condotte omissive delle parti, in sede arbitrale e giudiziale, quanto alle contestazioni circa la invalidità della convenzione arbitrale / A. Henke. - In: IL DIRITTO DEGLI AFFARI. - ISSN 2281-4531. - 12:3(2023 Dec), pp. 285-343.
Gli effetti delle condotte omissive delle parti, in sede arbitrale e giudiziale, quanto alle contestazioni circa la invalidità della convenzione arbitrale
A. Henke
2023
Abstract
Il contributo affronta il tema degli effetti delle condotte omissive delle parti, in sede sia arbitrale che giudiziale, in relazione all’onere di proposizione della carenza di potestas iudicandi dell’organo adito in presenza di una convenzione arbitrale. Dopo aver esaminato i diversi casi di, lato sensu, “invalidità” del patto arbitrale (per sua inesistenza, nullità, inefficacia) e di carenza di potere decisorio degli arbitri per la loro irregolare costituzione, l’autore analizza, alla luce della giurisprudenza piùrecente, il regime approntato dal legislatore della riforma del 2006 (solo lievemente ritoccato dalla recente riforma Cartabia): non solo gli artt. 817 e 819 ter c.p.c., che si occupano dei rapporti e conflitti di “competenza” tra arbitro e giudice statale, dalla prospettiva, rispettivamente, del primo e del secondo, ma altresì, in una più ampia prospettiva sistematica, gli artt. 819 c.p.c. (questioni incidentali) e 829 c.p.c. (casi di nullità del lodo). Contrariamente alle posizioni di certa dottrina, l’autore conclude nel senso che gli effetti delle condotte omissive delle parti in relazione all’onere di proposizione della carenza di potestas iudicandi dell’organo adito in presenza di una convenzione arbitrale, sia in sede arbitrale che giudiziale, si limitano ad una preclusione processuale, che esaurisce cioè i propri effetti all’interno del procedimento in cui si sia verificata, senza alcuna efficacia esterna (sul potere decisorio dell’altro organo o sull’eventuale prosecuzione dell’altro procedimento già iniziato) e senza alcuna ricaduta sul piano sostanziale sull’esistenza e validità del patto arbitrale. Ciò implica che la preclusione a contestare la competenza dell’organo adito maturata nell’ambito di un procedimento, non rende necessariamente valido ed efficace il patto, che potrà essere contestato nell’ambito di un diverso e successivo procedimento. Tale conclusione, allineando il regime applicabile alle condotte omissive delle parti sia in arbitrato che nel giudizio statale, è in linea con la ratio ispiratrice della riforma del 2006, che ha inteso, quanto più possibile e sotto una molteplicità di profili, equiparare la giurisdizione privata e quella pubblica, preservando al contempo la rispettiva autonomia ed indipendenza.File | Dimensione | Formato | |
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