La determinazione del rischio cardiovascolare globale, o più semplicemente dei fattori di rischio convenzionali come l’iperlipidemia, l’ipertensione ed il diabete, rappresenta solo il primo passo per l’identificazione dei soggetti ad elevato rischio cardiovascolare. Nonostante sia ormai dimostrato che l’85-90% dei pazienti con malattia coronarica sia affetto da uno o più fattori di rischio convenzionali, alcune evidenze sperimentali pongono perplessità sulle reali possibilità di questi fattori di discriminare chi è a rischio da chi invece non lo è. I fattori di rischio, ad esempio, sono in grado di predire solo il 60-65% del rischio cardiovascolare. Inoltre, l’esposizione ad uno o più di questi fattori è prerogativa frequente anche in individui che poi non sviluppano la patologia clinica ed, infine, l’evento cardiaco acuto può avvenire anche in individui non portatori di alcun fattore di rischio convenzionale. Queste considerazioni sottolineano la necessità di ulteriori procedure diagnostiche, preferibilmente non invasive, che permettano una miglior identificazione di quei soggetti che, meglio di altri, potrebbero beneficiare di interventi dietetici e/o farmacologici preventivi. Fra le diverse tecniche proposte per migliorare la stratificazione del rischio cardiovascolare, lo spessore del complesso medio intimale (IMT, dall’inglese Intima Media Thickness), valutato mediante ultrasonografia B-mode, è da considerarsi, senz’altro, fra le più interessanti. L’IMT carotideo è associato agli stessi fattori di rischio che influenzano la patologia aterosclerotica a livello coronarico, è associato alla prevalenza di malattie cardiovascolari, ed è un indice predittivo (indipendente dai fattori di rischio convenzionali) di nuovi eventi cardio e cerebrovascolari sia in prevenzione primaria che secondaria. Sulla base di queste considerazioni, l’IMT carotideo è oggi sicuramente da considerarsi uno dei “biomarkers” meglio accettati dalla comunità scientifica quale indice surrogato di aterosclerosi non solo carotidea ma anche di altri distretti vascolari quale quello coronarico. Sebbene generalmente accettato negli studi clinici di prevenzione, il valore dell’IMT carotideo nella stratificazione del rischio cardiovascolare a livello individuale, nella normale pratica clinica, non è, ad oggi, del tutto definito. Per poter utilizzare l’IMT in questi termini è, infatti, necessario standardizzare le metodiche di misura, e definire dei precisi limiti di normalità. In un recente studio, effettuato presso il Laboratorio di Ultrasonologia Vascolare del Centro Grossi Paoletti del Dipartimento di Scienze Farmacologiche di Milano, è stato, ad esempio, possibile documentare come questa variabile ultrasonografica possa essere utilizzata per correggere il rischio cardiovascolare globale di pazienti asintomatici a rischio intermedio. In questo tipo di pazienti, la presenza di un IMT superiore a valori soglia, calcolati in specifiche classi di sesso e di età, si associava infatti ad un rischio di sviluppare nuovi eventi vascolari più che triplicato rispetto a quanto predetto dal Framingham risk score. Sulla base di queste considerazioni, l’IMT carotideo ha grandi potenzialità di diventare parte dell’arsenale diagnostico da utilizzarsi nella normale pratica clinica per determinare il rischio cardiovascolare individuale, per personalizzare le diverse terapie disponibili e per valutare l’efficacia delle strategie terapeutiche intraprese.

Lo spessore medio-intimale nella predizione della malattia cardiovascolare / D. Baldassarre. ((Intervento presentato al convegno Riunione annuale del gruppo di studio “diabete ed aterosclerosi” della Società Italiana di Diabetologia tenutosi a Tirrenia nel 2009.

Lo spessore medio-intimale nella predizione della malattia cardiovascolare

D. Baldassarre
Primo
2009

Abstract

La determinazione del rischio cardiovascolare globale, o più semplicemente dei fattori di rischio convenzionali come l’iperlipidemia, l’ipertensione ed il diabete, rappresenta solo il primo passo per l’identificazione dei soggetti ad elevato rischio cardiovascolare. Nonostante sia ormai dimostrato che l’85-90% dei pazienti con malattia coronarica sia affetto da uno o più fattori di rischio convenzionali, alcune evidenze sperimentali pongono perplessità sulle reali possibilità di questi fattori di discriminare chi è a rischio da chi invece non lo è. I fattori di rischio, ad esempio, sono in grado di predire solo il 60-65% del rischio cardiovascolare. Inoltre, l’esposizione ad uno o più di questi fattori è prerogativa frequente anche in individui che poi non sviluppano la patologia clinica ed, infine, l’evento cardiaco acuto può avvenire anche in individui non portatori di alcun fattore di rischio convenzionale. Queste considerazioni sottolineano la necessità di ulteriori procedure diagnostiche, preferibilmente non invasive, che permettano una miglior identificazione di quei soggetti che, meglio di altri, potrebbero beneficiare di interventi dietetici e/o farmacologici preventivi. Fra le diverse tecniche proposte per migliorare la stratificazione del rischio cardiovascolare, lo spessore del complesso medio intimale (IMT, dall’inglese Intima Media Thickness), valutato mediante ultrasonografia B-mode, è da considerarsi, senz’altro, fra le più interessanti. L’IMT carotideo è associato agli stessi fattori di rischio che influenzano la patologia aterosclerotica a livello coronarico, è associato alla prevalenza di malattie cardiovascolari, ed è un indice predittivo (indipendente dai fattori di rischio convenzionali) di nuovi eventi cardio e cerebrovascolari sia in prevenzione primaria che secondaria. Sulla base di queste considerazioni, l’IMT carotideo è oggi sicuramente da considerarsi uno dei “biomarkers” meglio accettati dalla comunità scientifica quale indice surrogato di aterosclerosi non solo carotidea ma anche di altri distretti vascolari quale quello coronarico. Sebbene generalmente accettato negli studi clinici di prevenzione, il valore dell’IMT carotideo nella stratificazione del rischio cardiovascolare a livello individuale, nella normale pratica clinica, non è, ad oggi, del tutto definito. Per poter utilizzare l’IMT in questi termini è, infatti, necessario standardizzare le metodiche di misura, e definire dei precisi limiti di normalità. In un recente studio, effettuato presso il Laboratorio di Ultrasonologia Vascolare del Centro Grossi Paoletti del Dipartimento di Scienze Farmacologiche di Milano, è stato, ad esempio, possibile documentare come questa variabile ultrasonografica possa essere utilizzata per correggere il rischio cardiovascolare globale di pazienti asintomatici a rischio intermedio. In questo tipo di pazienti, la presenza di un IMT superiore a valori soglia, calcolati in specifiche classi di sesso e di età, si associava infatti ad un rischio di sviluppare nuovi eventi vascolari più che triplicato rispetto a quanto predetto dal Framingham risk score. Sulla base di queste considerazioni, l’IMT carotideo ha grandi potenzialità di diventare parte dell’arsenale diagnostico da utilizzarsi nella normale pratica clinica per determinare il rischio cardiovascolare individuale, per personalizzare le diverse terapie disponibili e per valutare l’efficacia delle strategie terapeutiche intraprese.
2009
Settore BIO/14 - Farmacologia
Società Italiana di Diabetologia
Lo spessore medio-intimale nella predizione della malattia cardiovascolare / D. Baldassarre. ((Intervento presentato al convegno Riunione annuale del gruppo di studio “diabete ed aterosclerosi” della Società Italiana di Diabetologia tenutosi a Tirrenia nel 2009.
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