La ricerca condotta dalla Caritas ambrosiana nel 2011 si è proposta di analizzare se e come l’insediamento di famiglie immigrate, con la presenza di figli minorenni e inseriti nel sistema scolastico, produca un incremento delle relazioni con i contesti locali, favorisca l’instaurazione di rapporti con il vicinato e in modo particolare con famiglie italiane, stimoli l’accesso ad alcuni servizi sociali, promuova in definitiva processi quotidiani di integrazione sociale. Dato il rilievo della dimensione urbana per l’analisi di questi fenomeni, la ricerca è stata svolta in ambiti locali diversi. La parte quantitativa, basata su circa 400 questionari somministrati a uomini e donne con almeno un figlio residente con loro in Italia, è stata sviluppata in quattro contesti territoriali: per un terzo a Milano; per un quarto in medie città, da 50.000 a 200.000 abitanti (prevalentemente a Brescia); per il 14% in piccole città (da 20.000 a 50.000 abitanti); per un altro quarto, infine, in centri più piccoli. L’approfondimento qualitativo è invece consistito in 37 interviste, somministrate a due gruppi di donne che si presumeva ponessero in atto degli stili diversi di rapporto tra dimensione familiare e società locale: madri dell’Europa Orientale con un lavoro extradomestico e madri pakistane arrivate per ricongiungimento e casalinghe. Le interviste sono state effettuate in due quartieri multietnici di Milano (via Padova e Corvetto); due quartieri altrettanto compositi di una media città come Brescia (Carmine e San Polo); infine a Seregno, una città medio-piccola della provincia di Monza e Brianza. Sul rapporto tra insediamento e familiare e pratiche abitative, la ricerca fornisce un quadro in cui si mescolano elementi positivi ed altri più problematici. Come era prevedibile, l’80% degli intervistati afferma che è stato difficile trovare casa, anche se questo vale meno per gli immigrati dell’Europa Orientale (65%) e molto di più per quanti provengono dall’Africa sub-sahariana (97%): un indizio di differente trattamento sul mercato abitativo, in relazione all’apparenza fisica e alla provenienza. Quanto alle dimensioni dell’abitazione rispetto alle esigenze familiari, il 50% sperimenta una situazione di affollamento (da 0,5 a 1 stanza per ogni componente della famiglia), mentre per il 9,7% si deve parlare di sovraffollamento (meno di 0,5 stanze a testa). Un risultato piuttosto sorprendente riguarda il fatto che nel corso della permanenza in Italia la situazione mediamente non migliori, sebbene si debba tenere conto della crescita delle dimensioni del nucleo familiare. Le spese per la casa assorbono infatti buona parte del reddito familiare: il 42% fino a due figli, il 52% per chi ne ha tre o più. Per quanto riguarda la socialità, e in modo particolare le persone che gli intervistati frequentano nel tempo libero, i risultati propongono un quadro articolato, in cui genere, provenienza, posizione nel percorso migratorio si mostrano influenti. Nel complesso, parenti e amici stranieri sono citati al primo posto da più della metà degli intervistati. Più di un terzo tuttavia frequenta soprattutto ambienti misti, formati da italiani e stranieri. Gli uomini fanno più riferimento alle reti etniche delle donne. Queste a loro volta si differenziano profondamente tra primo migranti e ricongiunte: le seconde sono molto più inclini a una socialità etnica delle prime (63% contro 39%), che sono il gruppo più propenso verso una socialità mista o composta da italiani (61% contro una media del 46% per l’intero campione). Quanto alle provenienze, europei orientali e latinoamericani appaiono più orientati verso circuiti amicali che comprendono anche italiani, mentre asiatici e nordafricani sono più inseriti in reti etniche. Interrogati su aspetti concreti della vita quotidiana, circa un terzo degli intervistati dichiarano di scambiare visite a casa con i vicini italiani: un dato rilevante, che parla di mescolanza e buon vicinato nella sfera quotidiana. Soltanto un decimo però esce a pranzo o a cena con loro: gli scambi, si può arguire, crescono, ma più negli spazi privati della casa che in luoghi e occasioni pubbliche. La frequentazione di luoghi del tempo libero che comportano dei costi (ristoranti, cinema, teatri) ha tuttavia una prevedibile correlazione con il reddito: molti immigrati non circolano in vari ambiti dedicati alla socialità e all’intrattenimento semplicemente perché non possono permetterselo. La mappa dei riferimenti in caso di necessità è a sua volta composita. In assoluto, per le necessità che richiedono un alto livello di fiducia (lasciare le chiavi di casa, chiedere un prestito, affidare i figli…) il primo punto di riferimento sono i parenti. Per le necessità secondarie (lavoro, burocrazia, scuola), prevalgono nettamente gli amici connazionali. Nel complesso però, considerando nell’insieme le diverse variabili, il profilo più diffuso può essere definito “amicale misto”, giacché entrano in gioco frequentemente anche amici italiani. Di nuovo: avanzano mescolanza e mutuo aiuto nella vita di ogni giorno. Un aspetto cruciale dei processi di integrazione familiare riguarda i rapporti con il mercato del lavoro. In generale, in quasi metà del campione (45%) entrambi i genitori lavorano. I valori salgono sensibilmente quando si tratta delle famiglie provenienti dall’area euro-orientale e balcanica (54%), mentre scendono nella componente nordafricana (21%). Anche qui però il fatto che in più di una coppia su cinque anche la madre-moglie lavori fuori casa indica che si verificano tendenze divergenti rispetto alle idee correnti. Nella componente latinoamericana troviamo invece i casi più numerosi di madri lavoratrici sole (23%), oltre a un 4% di madri sole e senza lavoro. Le differenze nella partecipazione al lavoro si riflettono nel ricorso ai servizi, nella gestione delle responsabilità educative, nella divisione del lavoro domestico e nelle forme di socialità. Nel caso in cui entrambi i genitori siano occupati, aumenta il ricorso ai servizi, soprattutto per la prima infanzia; i mariti sono più coinvolti nella vita scolastica, nella gestione domestica, nei compiti di accudimento. Le mogli hanno invece accesso a reti sociali più diversificate, a cui concorrono il lavoro, gli incontri con altri genitori, insegnanti e operatori in occasione delle attività dei figli, le relazioni familiari. Le famiglie in cui le madri non svolgono occupazioni extradomestiche conoscono maggiori ristrettezze economiche, che si traducono in un minore accesso ai servizi, come quelli per il tempo libero dei figli. Le madri si trovano gravate di maggiori oneri di cura, che a loro volta frenano l’accesso al mercato del lavoro e l’apprendimento della lingua italiana. Hanno però maggiore tempo da dedicare alle relazioni sociali, legate soprattutto alle attività dei figli, benché di solito limitate al gruppo etnico-linguistico di appartenenza. I mariti in questo caso tendono a delegare maggiormente compiti domestici e responsabilità educative, ma non mancano casi in cui le competenze sviluppate nel periodo della separazione si traducono in una maggiore compartecipazione alla vita domestica rispetto ai modelli tradizionali. Le madri sole sono ovviamente le più svantaggiate, in termini economici e di conciliazione tra lavoro e responsabilità genitoriali. Le loro reti di sostegno sono più ridotte e frammentarie, le strategie di conciliazione precarie, il tempo libero ridotto al minimo. Un’altra area di indagine si riferiva alle concezioni e pratiche educative. Anzitutto, all’incirca tre famiglie su quattro consentono/incoraggiano la partecipazione dei figli a luoghi educativi extrascolastici, con una media di 1,38 ambiti per figlio. L’essere nati in Italia anziché ricongiunti favorisce la partecipazione, con uno scarto di circa dieci punti percentuali: si può presumere che competenze linguistiche e socializzazione precoce incidano positivamente. Un dettaglio risulta interessante: il 39% dei figli frequenta luoghi religiosi, molto probabilmente soprattutto oratori cattolici, con un rapporto molto labile con la confessione religiosa di appartenenza; per i ragazzi nati in Italia, il valore sale al 48%, rivelando una consapevolezza delle opportunità di svago e socializzazione che questi ambienti possono offrire in modo gratuito, indipendentemente dall’educazione religiosa. La nascita in Italia ha ripercussioni prevedibili anche sugli usi linguistici: è più probabile che i genitori parlino con i figli solo in italiano (15%), o in più lingue (40%), e meno frequente che comunichino nella lingua del paese di origine (45%, contro 62% per i figli ricongiunti). In sostanza, le famiglie migranti sono luoghi di comunicazione plurilinguistica, con diverse combinazioni tra italiano e lingue ancestrali. Incide però su questo punto la posizione delle madri nel ciclo migratorio familiare: le madri ricongiunte per due terzi circa parlano con i figli nella lingua ascritta, mentre tra le primo migranti il valore scende sotto il 50%. Queste differenze si collegano a loro volta con le provenienze: le componenti nazionali che seguono prevalentemente percorsi migratori tradizionali (Asia, Nord-Africa), in cui le mogli-madri arrivano dopo i mariti, in casa parlano maggiormente la lingua ancestrale. Viceversa, se sono più frequenti le donne primo-migranti, aumentano il plurilinguismo e l’uso dell’italiano. Nella vita quotidiana, la maggiore esposizione dei figli all’influenza della società ospitante si fa sentire in svariati ambiti: l’interesse per ciò che accade nei paesi di origine, la visione di film o programmi televisivi, l’ascolto di musica tipica, sono gli aspetti che maggiormente distinguono genitori e figli, con differenze che superano i trenta punti percentuali. Viceversa l’alimentazione registra maggiori convergenze: resta vero che i figli apprezzano di più il cibo italiano e meno quello tipico, ma le differenze non sono altrettanto pronunciate. Un punto nevralgico come l’abbigliamento sembra assumere invece una spiccata connotazione di genere, giacché la principale linea di distinzione non contrappone genitori e figli, ma piuttosto uomini e donne: sono il 38% delle madri e il 23% delle figlie a dichiarare di utilizzare capi di vestiario, accessori e acconciature tipici dei contesti di origine, molto più dei componenti maschili delle famiglie (rispettivamente 24 e 12%). Emerge poi nuovamente una significativa differenza in base alle provenienze: le maggiori distanze tra genitori e figli contraddistinguono le famiglie asiatiche e nordafricane. Qui i genitori appaiono più legati ai contesti di origine e alle tradizioni culturali importate, mentre i figli mediante i processi di socializzazione si avvicinano a preferenze e interessi dei coetanei italiani.

I nuovi vicini : famiglie migranti e integrazione sul territorio / R. D'Avanzo, M. Ambrosini, M. Cordini, P. Bonizzoni, P. Ponti, V. Lomazzi, S. Pozzi ; [a cura di] M. Ambrosini, P. Bonizzoni. - Milano : Fondazione Ismu, 2012. - ISBN 9788864471020.

I nuovi vicini : famiglie migranti e integrazione sul territorio

M. Ambrosini
Primo
;
P. Bonizzoni
Ultimo
2012

Abstract

La ricerca condotta dalla Caritas ambrosiana nel 2011 si è proposta di analizzare se e come l’insediamento di famiglie immigrate, con la presenza di figli minorenni e inseriti nel sistema scolastico, produca un incremento delle relazioni con i contesti locali, favorisca l’instaurazione di rapporti con il vicinato e in modo particolare con famiglie italiane, stimoli l’accesso ad alcuni servizi sociali, promuova in definitiva processi quotidiani di integrazione sociale. Dato il rilievo della dimensione urbana per l’analisi di questi fenomeni, la ricerca è stata svolta in ambiti locali diversi. La parte quantitativa, basata su circa 400 questionari somministrati a uomini e donne con almeno un figlio residente con loro in Italia, è stata sviluppata in quattro contesti territoriali: per un terzo a Milano; per un quarto in medie città, da 50.000 a 200.000 abitanti (prevalentemente a Brescia); per il 14% in piccole città (da 20.000 a 50.000 abitanti); per un altro quarto, infine, in centri più piccoli. L’approfondimento qualitativo è invece consistito in 37 interviste, somministrate a due gruppi di donne che si presumeva ponessero in atto degli stili diversi di rapporto tra dimensione familiare e società locale: madri dell’Europa Orientale con un lavoro extradomestico e madri pakistane arrivate per ricongiungimento e casalinghe. Le interviste sono state effettuate in due quartieri multietnici di Milano (via Padova e Corvetto); due quartieri altrettanto compositi di una media città come Brescia (Carmine e San Polo); infine a Seregno, una città medio-piccola della provincia di Monza e Brianza. Sul rapporto tra insediamento e familiare e pratiche abitative, la ricerca fornisce un quadro in cui si mescolano elementi positivi ed altri più problematici. Come era prevedibile, l’80% degli intervistati afferma che è stato difficile trovare casa, anche se questo vale meno per gli immigrati dell’Europa Orientale (65%) e molto di più per quanti provengono dall’Africa sub-sahariana (97%): un indizio di differente trattamento sul mercato abitativo, in relazione all’apparenza fisica e alla provenienza. Quanto alle dimensioni dell’abitazione rispetto alle esigenze familiari, il 50% sperimenta una situazione di affollamento (da 0,5 a 1 stanza per ogni componente della famiglia), mentre per il 9,7% si deve parlare di sovraffollamento (meno di 0,5 stanze a testa). Un risultato piuttosto sorprendente riguarda il fatto che nel corso della permanenza in Italia la situazione mediamente non migliori, sebbene si debba tenere conto della crescita delle dimensioni del nucleo familiare. Le spese per la casa assorbono infatti buona parte del reddito familiare: il 42% fino a due figli, il 52% per chi ne ha tre o più. Per quanto riguarda la socialità, e in modo particolare le persone che gli intervistati frequentano nel tempo libero, i risultati propongono un quadro articolato, in cui genere, provenienza, posizione nel percorso migratorio si mostrano influenti. Nel complesso, parenti e amici stranieri sono citati al primo posto da più della metà degli intervistati. Più di un terzo tuttavia frequenta soprattutto ambienti misti, formati da italiani e stranieri. Gli uomini fanno più riferimento alle reti etniche delle donne. Queste a loro volta si differenziano profondamente tra primo migranti e ricongiunte: le seconde sono molto più inclini a una socialità etnica delle prime (63% contro 39%), che sono il gruppo più propenso verso una socialità mista o composta da italiani (61% contro una media del 46% per l’intero campione). Quanto alle provenienze, europei orientali e latinoamericani appaiono più orientati verso circuiti amicali che comprendono anche italiani, mentre asiatici e nordafricani sono più inseriti in reti etniche. Interrogati su aspetti concreti della vita quotidiana, circa un terzo degli intervistati dichiarano di scambiare visite a casa con i vicini italiani: un dato rilevante, che parla di mescolanza e buon vicinato nella sfera quotidiana. Soltanto un decimo però esce a pranzo o a cena con loro: gli scambi, si può arguire, crescono, ma più negli spazi privati della casa che in luoghi e occasioni pubbliche. La frequentazione di luoghi del tempo libero che comportano dei costi (ristoranti, cinema, teatri) ha tuttavia una prevedibile correlazione con il reddito: molti immigrati non circolano in vari ambiti dedicati alla socialità e all’intrattenimento semplicemente perché non possono permetterselo. La mappa dei riferimenti in caso di necessità è a sua volta composita. In assoluto, per le necessità che richiedono un alto livello di fiducia (lasciare le chiavi di casa, chiedere un prestito, affidare i figli…) il primo punto di riferimento sono i parenti. Per le necessità secondarie (lavoro, burocrazia, scuola), prevalgono nettamente gli amici connazionali. Nel complesso però, considerando nell’insieme le diverse variabili, il profilo più diffuso può essere definito “amicale misto”, giacché entrano in gioco frequentemente anche amici italiani. Di nuovo: avanzano mescolanza e mutuo aiuto nella vita di ogni giorno. Un aspetto cruciale dei processi di integrazione familiare riguarda i rapporti con il mercato del lavoro. In generale, in quasi metà del campione (45%) entrambi i genitori lavorano. I valori salgono sensibilmente quando si tratta delle famiglie provenienti dall’area euro-orientale e balcanica (54%), mentre scendono nella componente nordafricana (21%). Anche qui però il fatto che in più di una coppia su cinque anche la madre-moglie lavori fuori casa indica che si verificano tendenze divergenti rispetto alle idee correnti. Nella componente latinoamericana troviamo invece i casi più numerosi di madri lavoratrici sole (23%), oltre a un 4% di madri sole e senza lavoro. Le differenze nella partecipazione al lavoro si riflettono nel ricorso ai servizi, nella gestione delle responsabilità educative, nella divisione del lavoro domestico e nelle forme di socialità. Nel caso in cui entrambi i genitori siano occupati, aumenta il ricorso ai servizi, soprattutto per la prima infanzia; i mariti sono più coinvolti nella vita scolastica, nella gestione domestica, nei compiti di accudimento. Le mogli hanno invece accesso a reti sociali più diversificate, a cui concorrono il lavoro, gli incontri con altri genitori, insegnanti e operatori in occasione delle attività dei figli, le relazioni familiari. Le famiglie in cui le madri non svolgono occupazioni extradomestiche conoscono maggiori ristrettezze economiche, che si traducono in un minore accesso ai servizi, come quelli per il tempo libero dei figli. Le madri si trovano gravate di maggiori oneri di cura, che a loro volta frenano l’accesso al mercato del lavoro e l’apprendimento della lingua italiana. Hanno però maggiore tempo da dedicare alle relazioni sociali, legate soprattutto alle attività dei figli, benché di solito limitate al gruppo etnico-linguistico di appartenenza. I mariti in questo caso tendono a delegare maggiormente compiti domestici e responsabilità educative, ma non mancano casi in cui le competenze sviluppate nel periodo della separazione si traducono in una maggiore compartecipazione alla vita domestica rispetto ai modelli tradizionali. Le madri sole sono ovviamente le più svantaggiate, in termini economici e di conciliazione tra lavoro e responsabilità genitoriali. Le loro reti di sostegno sono più ridotte e frammentarie, le strategie di conciliazione precarie, il tempo libero ridotto al minimo. Un’altra area di indagine si riferiva alle concezioni e pratiche educative. Anzitutto, all’incirca tre famiglie su quattro consentono/incoraggiano la partecipazione dei figli a luoghi educativi extrascolastici, con una media di 1,38 ambiti per figlio. L’essere nati in Italia anziché ricongiunti favorisce la partecipazione, con uno scarto di circa dieci punti percentuali: si può presumere che competenze linguistiche e socializzazione precoce incidano positivamente. Un dettaglio risulta interessante: il 39% dei figli frequenta luoghi religiosi, molto probabilmente soprattutto oratori cattolici, con un rapporto molto labile con la confessione religiosa di appartenenza; per i ragazzi nati in Italia, il valore sale al 48%, rivelando una consapevolezza delle opportunità di svago e socializzazione che questi ambienti possono offrire in modo gratuito, indipendentemente dall’educazione religiosa. La nascita in Italia ha ripercussioni prevedibili anche sugli usi linguistici: è più probabile che i genitori parlino con i figli solo in italiano (15%), o in più lingue (40%), e meno frequente che comunichino nella lingua del paese di origine (45%, contro 62% per i figli ricongiunti). In sostanza, le famiglie migranti sono luoghi di comunicazione plurilinguistica, con diverse combinazioni tra italiano e lingue ancestrali. Incide però su questo punto la posizione delle madri nel ciclo migratorio familiare: le madri ricongiunte per due terzi circa parlano con i figli nella lingua ascritta, mentre tra le primo migranti il valore scende sotto il 50%. Queste differenze si collegano a loro volta con le provenienze: le componenti nazionali che seguono prevalentemente percorsi migratori tradizionali (Asia, Nord-Africa), in cui le mogli-madri arrivano dopo i mariti, in casa parlano maggiormente la lingua ancestrale. Viceversa, se sono più frequenti le donne primo-migranti, aumentano il plurilinguismo e l’uso dell’italiano. Nella vita quotidiana, la maggiore esposizione dei figli all’influenza della società ospitante si fa sentire in svariati ambiti: l’interesse per ciò che accade nei paesi di origine, la visione di film o programmi televisivi, l’ascolto di musica tipica, sono gli aspetti che maggiormente distinguono genitori e figli, con differenze che superano i trenta punti percentuali. Viceversa l’alimentazione registra maggiori convergenze: resta vero che i figli apprezzano di più il cibo italiano e meno quello tipico, ma le differenze non sono altrettanto pronunciate. Un punto nevralgico come l’abbigliamento sembra assumere invece una spiccata connotazione di genere, giacché la principale linea di distinzione non contrappone genitori e figli, ma piuttosto uomini e donne: sono il 38% delle madri e il 23% delle figlie a dichiarare di utilizzare capi di vestiario, accessori e acconciature tipici dei contesti di origine, molto più dei componenti maschili delle famiglie (rispettivamente 24 e 12%). Emerge poi nuovamente una significativa differenza in base alle provenienze: le maggiori distanze tra genitori e figli contraddistinguono le famiglie asiatiche e nordafricane. Qui i genitori appaiono più legati ai contesti di origine e alle tradizioni culturali importate, mentre i figli mediante i processi di socializzazione si avvicinano a preferenze e interessi dei coetanei italiani.
2012
immigrazione ; famiglia ; abitazione ; vicinato ; integrazione sociale ; seconde generazioni ; donne immigrate
Settore SPS/07 - Sociologia Generale
Settore SPS/08 - Sociologia dei Processi Culturali e Comunicativi
Settore SPS/10 - Sociologia dell'Ambiente e del Territorio
I nuovi vicini : famiglie migranti e integrazione sul territorio / R. D'Avanzo, M. Ambrosini, M. Cordini, P. Bonizzoni, P. Ponti, V. Lomazzi, S. Pozzi ; [a cura di] M. Ambrosini, P. Bonizzoni. - Milano : Fondazione Ismu, 2012. - ISBN 9788864471020.
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