Il certificato è senz’altro la forma più diffusa di documentazione dell’attività medica e rappresenta, così come ben sintetizzato dal Barni, una “testimonianza scritta su fatti e comportamenti tecnicamente apprezzabili e valutabili, la cui dimostrazione può produrre affermazione di particolari diritti soggettivi previsti dalla legge ovvero determinare particolari conseguenze a carico dell’individuo e della società, aventi rilevanza giuridica e/o amministrativa …”. Pur se i “certificati” medici vanno distinti dalle “prescrizioni”, in quanto nei primi l'elemento prevalente è quello della dichiarazione di verifica di determinati stati di salute, mentre nelle seconde è l'indicazione della necessità di una determinata terapia, tra i due documenti esiste, comunque, un medesimo nesso concettuale, costituito dal giudizio clinico, su cui entrambi si fondano. In effetti, “affinchè un documento proveniente da un medico possa qualificarsi certificato medico, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 481 C.P., è necessario che il suo contenuto rappresenti in tutto o in parte una certificazione, cioè che attesti fatti dei quali l’atto è destinato a provare la verità” (Cass. - Sez. V, 3 luglio 1979), non trascurando di ricordare che, così come si desume dall’art. 22 del Codice Deontologico, il medico non può rilasciare il certificato sulla base di quanto riferitogli da terzi o su quanto egli non abbia constatato. In effetti il Codice di Deontologia Medica indica, all’art. 22, sia che “il medico non può rifiutarsi di rilasciare direttamente al paziente certificati relativi al suo stato di salute”, sia che “il medico, richiesto di rilasciare un certificato, deve attestare dati clinici di competenza tecnica che abbia direttamente constatato”. Si tenga inoltre conto che il certificato con il quale il medico convenzionato con il servizio sanitario nazionale pubblico, prescrive un farmaco all'assistito, è atto destinato a provare che è stata effettuata la visita dello stesso e, contestualmente, attesta che il paziente ne ha necessità ed ha diritto a fruire del servizio farmaceutico, consentendone l'esercizio. Pertanto, commette il reato di cui all'art. 480 C.P., il medico convenzionato con il servizio sanitario nazionale che, nell'esercizio delle sue funzioni, rilascia ricette, prescrivendo medicinali attraverso un certificato non veridico (Cass. Pen. V Sez. 13.06.2001). Non deve, inoltre, essere trascurato il fatto che il certificato ha valore in sè per sè e non per l’uso che ne viene fatto: può essere destinato, cioè, in ogni momento a far fede di ciò che in esso è stato dichiarato, anche a fini diversi di quelli per cui e’ stato redatto. Il certificato, pertanto, deve riferirsi a dati oggettivi, sulla base dei quali il medico, successivamente, raggiunge una diagnosi, formula una prognosi e prescrive una terapia. La giurisprudenza infatti è costante nell’affermare due principi di ordine generale: che i documenti di questo tipo sono idonei a produrre piena prova fino a querela di falso dei fatti che il pubblico ufficiale attesta di aver compiuto o di essere avvenuti in sua presenza; che, invece, la diagnosi da lui esposta, costituendo un giudizio e non un fatto, non ha l’efficacia probatoria dell’atto pubblico e può essere liberamente valutata ed eventualmente giudicata inattendibile dal giudice di merito, sulla base di altri elementi emersi in sede istruttoria. Nella comunicazione verranno presi in considerazione non soltanto gli aspetti medico-legali relativi al “contenuto” del certificato medico ed ai suoi requisiti “sostanziali” e “formali”, ma anche le problematiche correlate a particolari “certificati”, tra cui quelli da allegare alle istanze di riconoscimento d’invalidità civile e di handicap, quelli d’idoneità all’attività sportiva non Agonistica, quelli inerenti all’INAIL e quelli ad uso c.d. assicurativo. A tale ultimo proposito appare opportuno segnalare che “l’esperienza giudiziaria in materia di responsabilità aquiliana per danni alla persona, facendo emergere quotidianamente palesi discrasie tra certificazioni private ed effettività delle lesioni e dei postumi, deve purtroppo far ritenere dolorosamente diffusa la proclività di taluni medici alla leggerezza nella redazione di certificazioni cliniche; alla contiguità con i desiderata del paziente; alla rinuncia all’esercizio del severo vaglio critico che la delicatezza della professione medica imporrebbe” (Trib. Roma, 22 aprile 1998, in Resp. Civ. Prev., 1998, 1471).

Il certificato: il parere del medico-legale / U.R. Genovese. ((Intervento presentato al convegno Il certificato. Riflessi deontologici, penali, civili e amministrativi tenutosi a Milano nel 2005.

Il certificato: il parere del medico-legale

U.R. Genovese
Primo
2005

Abstract

Il certificato è senz’altro la forma più diffusa di documentazione dell’attività medica e rappresenta, così come ben sintetizzato dal Barni, una “testimonianza scritta su fatti e comportamenti tecnicamente apprezzabili e valutabili, la cui dimostrazione può produrre affermazione di particolari diritti soggettivi previsti dalla legge ovvero determinare particolari conseguenze a carico dell’individuo e della società, aventi rilevanza giuridica e/o amministrativa …”. Pur se i “certificati” medici vanno distinti dalle “prescrizioni”, in quanto nei primi l'elemento prevalente è quello della dichiarazione di verifica di determinati stati di salute, mentre nelle seconde è l'indicazione della necessità di una determinata terapia, tra i due documenti esiste, comunque, un medesimo nesso concettuale, costituito dal giudizio clinico, su cui entrambi si fondano. In effetti, “affinchè un documento proveniente da un medico possa qualificarsi certificato medico, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 481 C.P., è necessario che il suo contenuto rappresenti in tutto o in parte una certificazione, cioè che attesti fatti dei quali l’atto è destinato a provare la verità” (Cass. - Sez. V, 3 luglio 1979), non trascurando di ricordare che, così come si desume dall’art. 22 del Codice Deontologico, il medico non può rilasciare il certificato sulla base di quanto riferitogli da terzi o su quanto egli non abbia constatato. In effetti il Codice di Deontologia Medica indica, all’art. 22, sia che “il medico non può rifiutarsi di rilasciare direttamente al paziente certificati relativi al suo stato di salute”, sia che “il medico, richiesto di rilasciare un certificato, deve attestare dati clinici di competenza tecnica che abbia direttamente constatato”. Si tenga inoltre conto che il certificato con il quale il medico convenzionato con il servizio sanitario nazionale pubblico, prescrive un farmaco all'assistito, è atto destinato a provare che è stata effettuata la visita dello stesso e, contestualmente, attesta che il paziente ne ha necessità ed ha diritto a fruire del servizio farmaceutico, consentendone l'esercizio. Pertanto, commette il reato di cui all'art. 480 C.P., il medico convenzionato con il servizio sanitario nazionale che, nell'esercizio delle sue funzioni, rilascia ricette, prescrivendo medicinali attraverso un certificato non veridico (Cass. Pen. V Sez. 13.06.2001). Non deve, inoltre, essere trascurato il fatto che il certificato ha valore in sè per sè e non per l’uso che ne viene fatto: può essere destinato, cioè, in ogni momento a far fede di ciò che in esso è stato dichiarato, anche a fini diversi di quelli per cui e’ stato redatto. Il certificato, pertanto, deve riferirsi a dati oggettivi, sulla base dei quali il medico, successivamente, raggiunge una diagnosi, formula una prognosi e prescrive una terapia. La giurisprudenza infatti è costante nell’affermare due principi di ordine generale: che i documenti di questo tipo sono idonei a produrre piena prova fino a querela di falso dei fatti che il pubblico ufficiale attesta di aver compiuto o di essere avvenuti in sua presenza; che, invece, la diagnosi da lui esposta, costituendo un giudizio e non un fatto, non ha l’efficacia probatoria dell’atto pubblico e può essere liberamente valutata ed eventualmente giudicata inattendibile dal giudice di merito, sulla base di altri elementi emersi in sede istruttoria. Nella comunicazione verranno presi in considerazione non soltanto gli aspetti medico-legali relativi al “contenuto” del certificato medico ed ai suoi requisiti “sostanziali” e “formali”, ma anche le problematiche correlate a particolari “certificati”, tra cui quelli da allegare alle istanze di riconoscimento d’invalidità civile e di handicap, quelli d’idoneità all’attività sportiva non Agonistica, quelli inerenti all’INAIL e quelli ad uso c.d. assicurativo. A tale ultimo proposito appare opportuno segnalare che “l’esperienza giudiziaria in materia di responsabilità aquiliana per danni alla persona, facendo emergere quotidianamente palesi discrasie tra certificazioni private ed effettività delle lesioni e dei postumi, deve purtroppo far ritenere dolorosamente diffusa la proclività di taluni medici alla leggerezza nella redazione di certificazioni cliniche; alla contiguità con i desiderata del paziente; alla rinuncia all’esercizio del severo vaglio critico che la delicatezza della professione medica imporrebbe” (Trib. Roma, 22 aprile 1998, in Resp. Civ. Prev., 1998, 1471).
19-mar-2005
Settore MED/43 - Medicina Legale
Ordine Provinciale dei Medici-Chirurghi e degli Odontoiatri
Il certificato: il parere del medico-legale / U.R. Genovese. ((Intervento presentato al convegno Il certificato. Riflessi deontologici, penali, civili e amministrativi tenutosi a Milano nel 2005.
Conference Object
File in questo prodotto:
Non ci sono file associati a questo prodotto.
Pubblicazioni consigliate

I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.

Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/2434/167329
Citazioni
  • ???jsp.display-item.citation.pmc??? ND
  • Scopus ND
  • ???jsp.display-item.citation.isi??? ND
social impact