L’articolo ricostruisce la storia dell’attribuzione ad Averroè e agli “averroisti” dell’idea che le religioni sono politicamente utili ma non vere. Dopo averne ricordato la presenza nel De erroribus philosophorum attribuito a Egidio Romano e in testi ad esso riconducibili, si mostra anzitutto che quest’idea risale a una particolare interpretazione della versione latina del cosiddetto prologo al terzo libro della Fisica di Averroè, che si riallaccia a quanto Aristotele dice nella Metafisica (II, 3, 994b32-995a5) sul ruolo negativo che le credenze acquisite giocano nell’acquisizione della verità. Poiché la lettura che di quei passi diede Sigieri di Brabante è assai prudente, la tesi di alcuni storici secondo cui egli potrebbe aver ispirato la condanna degli articoli del 1277 relativi alla presenza di falsità e “favole” nelle religioni appare infondata. Non meno prudente è l’interpretazione proposta da Giovanni di Jandun, che distingue accuratamente fra la religione vera (quella cristiana) e le religioni erronee, spingendosi a ipotizzare che il bersaglio polemico di Averroè sia la religione islamica. Ma se due figure rilevanti di ciò che un tempo si chiamava “averroismo latino” evitano (Sigieri) o apertamente rifiutano (Jandun) di accogliere la tesi secondo cui le religioni sono solo uno strumento di controllo sociale, questa tesi è paradossalmente attribuita a un pontefice, Bonifacio VIII: fra i non sempre verosimili capi d’accusa presentati durante il processo postumo intentato contro di lui nel 1309-1311 vi è anche di aver sostenuto che le religioni rivelate sono invenzioni umane e che, in particolare, la lex Christianorum è falsa.

Nulla lex est vera, licet possit esse utilis : Averroes’ “Errors” and the Emergence of Subversive Ideas about Religion in the Latin West / L. Bianchi (MISCELLANEA MEDIAEVALIA). - In: Irrtum - Error - Erreur / [a cura di] A. Speer, M. Mauriège. - Prima edizione. - Berlin : de Gruyter, 2018. - ISBN 9783110590579. - pp. 325-347 [10.1515/9783110592191-020]

Nulla lex est vera, licet possit esse utilis : Averroes’ “Errors” and the Emergence of Subversive Ideas about Religion in the Latin West

L. Bianchi
2018

Abstract

L’articolo ricostruisce la storia dell’attribuzione ad Averroè e agli “averroisti” dell’idea che le religioni sono politicamente utili ma non vere. Dopo averne ricordato la presenza nel De erroribus philosophorum attribuito a Egidio Romano e in testi ad esso riconducibili, si mostra anzitutto che quest’idea risale a una particolare interpretazione della versione latina del cosiddetto prologo al terzo libro della Fisica di Averroè, che si riallaccia a quanto Aristotele dice nella Metafisica (II, 3, 994b32-995a5) sul ruolo negativo che le credenze acquisite giocano nell’acquisizione della verità. Poiché la lettura che di quei passi diede Sigieri di Brabante è assai prudente, la tesi di alcuni storici secondo cui egli potrebbe aver ispirato la condanna degli articoli del 1277 relativi alla presenza di falsità e “favole” nelle religioni appare infondata. Non meno prudente è l’interpretazione proposta da Giovanni di Jandun, che distingue accuratamente fra la religione vera (quella cristiana) e le religioni erronee, spingendosi a ipotizzare che il bersaglio polemico di Averroè sia la religione islamica. Ma se due figure rilevanti di ciò che un tempo si chiamava “averroismo latino” evitano (Sigieri) o apertamente rifiutano (Jandun) di accogliere la tesi secondo cui le religioni sono solo uno strumento di controllo sociale, questa tesi è paradossalmente attribuita a un pontefice, Bonifacio VIII: fra i non sempre verosimili capi d’accusa presentati durante il processo postumo intentato contro di lui nel 1309-1311 vi è anche di aver sostenuto che le religioni rivelate sono invenzioni umane e che, in particolare, la lex Christianorum è falsa.
Averroism; Religion; Siger of Brabant; John of Jandun
Settore M-FIL/06 - Storia della Filosofia
Settore M-FIL/08 - Storia della Filosofia Medievale
2018
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