La morte endouterina del feto, nei Paesi industrializzati, si verifica circa nel 6-7‰delle gravidanze. Per molto tempo è stata considerata una problematica marginale e, purtroppo, ancora oggi è caratterizzata dalla mancanza di chiarezza sia nella sua stessa definizione temporale sia nella valutazione delle sue cause. Per quanto riguarda le definizioni, non è riconosciuto in modo univoco il confine che separa l'aborto tardivo dalla morte endouterina; inoltre, nelle varie classificazioni, non è uniforme la considerazione delle sole morti in utero rispetto alla morti perinatali (avvenute in utero e/o entro la prima settimana di vita). Per quanto riguarda invece le cause, può risultare difficile discriminare i fattori di rischio (materni, placentari o fetali) dalla vera causa responsabile dell'evento infausto. L'apporto anatomo-patologico è indispensabile per comprendere i meccanismi coinvolti e le loro interazioni: l'esame autoptico del feto e l'esame istologico della placenta permettono infatti di ottenere dati molto preziosi non solo per la diagnosi specifica delle cause di morte ma anche per l'identificazione di concause e fattori interagenti; purtroppo, però, il riscontro diagnostico attualmente non è praticato routinariamente, al contrario di quanto stabilito dalla legge italiana. Nel tempo sono state proposte diverse classificazioni sulle condizioni responsabili della morte in utero (per esempio, classificazione di Wigglesworth, classificazione Re.Co.De., classificazione Tulip ecc.) ma nessuna, ad oggi, sembra essere soddisfacente e universalmente accettata. La comprensione degli eventi che hanno comportato una morte endouterina è fondamentale, non solo ai fini epidemiologici e statistici, ma soprattutto per avere degli elementi reali su cui basare il counselling alla coppia, per valutare il rischio di ricorrenza e il tipo di monitoraggio per le gravidanze successive.

Morte endouterina / S. Pollino, L. Avagliano, A.M. Marconi. - In: IL GINECOLOGO. - ISSN 1827-7152. - 3:2(2008 Jun), pp. 66-74.

Morte endouterina

L. Avagliano;A.M. Marconi
2008

Abstract

La morte endouterina del feto, nei Paesi industrializzati, si verifica circa nel 6-7‰delle gravidanze. Per molto tempo è stata considerata una problematica marginale e, purtroppo, ancora oggi è caratterizzata dalla mancanza di chiarezza sia nella sua stessa definizione temporale sia nella valutazione delle sue cause. Per quanto riguarda le definizioni, non è riconosciuto in modo univoco il confine che separa l'aborto tardivo dalla morte endouterina; inoltre, nelle varie classificazioni, non è uniforme la considerazione delle sole morti in utero rispetto alla morti perinatali (avvenute in utero e/o entro la prima settimana di vita). Per quanto riguarda invece le cause, può risultare difficile discriminare i fattori di rischio (materni, placentari o fetali) dalla vera causa responsabile dell'evento infausto. L'apporto anatomo-patologico è indispensabile per comprendere i meccanismi coinvolti e le loro interazioni: l'esame autoptico del feto e l'esame istologico della placenta permettono infatti di ottenere dati molto preziosi non solo per la diagnosi specifica delle cause di morte ma anche per l'identificazione di concause e fattori interagenti; purtroppo, però, il riscontro diagnostico attualmente non è praticato routinariamente, al contrario di quanto stabilito dalla legge italiana. Nel tempo sono state proposte diverse classificazioni sulle condizioni responsabili della morte in utero (per esempio, classificazione di Wigglesworth, classificazione Re.Co.De., classificazione Tulip ecc.) ma nessuna, ad oggi, sembra essere soddisfacente e universalmente accettata. La comprensione degli eventi che hanno comportato una morte endouterina è fondamentale, non solo ai fini epidemiologici e statistici, ma soprattutto per avere degli elementi reali su cui basare il counselling alla coppia, per valutare il rischio di ricorrenza e il tipo di monitoraggio per le gravidanze successive.
giu-2008
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