Al pari di altri stati territoriali della penisola, dagli anni venti del Cinquecento il Ducato di Milano e la Repubblica veneta affrontarono il problema del finanziamento statale a lungo termine introducendo delle innovazioni che potenziarono la raccolta di denaro e legarono, in maniera sempre più ramificata e profonda, l’organismo pubblico al capitale finanziario e alla società locale. Si trattò della progressiva sostituzione del meccanismo dei prestiti forzosi con l’emissione diretta di titoli sul mercato (le entrate alienate milanesi e i depositi in Zecca veneziani), liberamente sottoscritti, garantiti per il pagamento degli interessi da un determinato cespite fiscale, privi di termini prefissati per la restituzione del capitale, commerciabili, trasferibili per via ereditaria ed esenti da sequestri e tasse (nella capitale ambrosiana almeno fino agli ultimi decenni del Seicento). Se i governi dei due stati furono spinti in questa direzione dalla straordinaria dilatazione dei bilanci, connessa alle necessità belliche, e dai limiti dei propri sistemi fiscali, la notevole crescita di questa nuova forma di finanziamento si realizzò grazie alla buona accoglienza da parte di una vasta pluralità di soggetti, dotati di fondi, che trovarono questo investimento confacente alle proprie esigenze. Per alcuni periodi parve instaurarsi un vero e proprio meccanismo push-pull, in occasione del quale la risposta dei compratori fu straordinariamente pronta. Allo stesso tempo la generalizzazione di questo genotipo di debito pubblico e il suo tumultuoso incremento non sembrarono risolversi nello sterile drenaggio di ricchezza privata verso scopi bellici e neppure avere effetti distorsivi sull’andamento dell’economia reale. Oltre a costituire un mezzo di redistribuzione del reddito e di consolidamento dei patrimoni, per il caso lombardo è dimostrabile che questa forma di indebitamento pubblico a lungo termine, agendo in una situazione di espansione monetaria, non spiazzò gli investimenti produttivi, facendo diminuire il loro flusso o facendone lievitare il costo. Al contrario svolse un effetto prociclico sia durante la fase espansiva fra la seconda metà del XVI secolo e il 1620, sia nella riorganizzazione economica successiva; durante la prima, i titoli pubblici aumentarono le possibilità del finanziamento privato, ponendosi come matrice di credito (cioè come garanzia nella stipulazione di contratti di prestito a lungo termine quali i censi consegnativi) per mercanti e imprenditori; nella seconda, quando il baricentro economico si stava ormai assestando su un equilibrio agricolo-mercantile meno dinamico, il debito permise allo Stato di sostenere la domanda pubblica e ai gruppi dirigenti – che traevano dalle entrate alienate un buon reddito al riparo dell’inflazione ed esente dai tributi – una notevole conspicous consumption (in abbigliamento, opere d’arte, palazzi, ma anche in ville di campagna che erano delle razionali aziende agricole). Inoltre, gli investimenti nel debito pubblico costituirono uno strumento di coinvolgimento e di integrazione dei sottoscrittori nelle strategie ‘centrali’ del Ducato e della Repubblica e giocarono un ruolo fondamentale – soprattutto nel dominio spagnolo – nella conservazione della stabilità politica lungo il XVII secolo.

Debito pubblico, mercato finanziario ed economia reale nel Ducato di Milano e nella Repubblica veneta durante l’età moderna / G. De Luca - In: Debito pubblico e mercati finanziari in Italia : secoli 13.-20. / [a cura di] Giuseppe De Luca, Angelo Moioli. - Milano : FrancoAngeli, 2007. - ISBN 978-88-464-9170-1. - pp. 119-148

Debito pubblico, mercato finanziario ed economia reale nel Ducato di Milano e nella Repubblica veneta durante l’età moderna

G. De Luca
Primo
2007

Abstract

Al pari di altri stati territoriali della penisola, dagli anni venti del Cinquecento il Ducato di Milano e la Repubblica veneta affrontarono il problema del finanziamento statale a lungo termine introducendo delle innovazioni che potenziarono la raccolta di denaro e legarono, in maniera sempre più ramificata e profonda, l’organismo pubblico al capitale finanziario e alla società locale. Si trattò della progressiva sostituzione del meccanismo dei prestiti forzosi con l’emissione diretta di titoli sul mercato (le entrate alienate milanesi e i depositi in Zecca veneziani), liberamente sottoscritti, garantiti per il pagamento degli interessi da un determinato cespite fiscale, privi di termini prefissati per la restituzione del capitale, commerciabili, trasferibili per via ereditaria ed esenti da sequestri e tasse (nella capitale ambrosiana almeno fino agli ultimi decenni del Seicento). Se i governi dei due stati furono spinti in questa direzione dalla straordinaria dilatazione dei bilanci, connessa alle necessità belliche, e dai limiti dei propri sistemi fiscali, la notevole crescita di questa nuova forma di finanziamento si realizzò grazie alla buona accoglienza da parte di una vasta pluralità di soggetti, dotati di fondi, che trovarono questo investimento confacente alle proprie esigenze. Per alcuni periodi parve instaurarsi un vero e proprio meccanismo push-pull, in occasione del quale la risposta dei compratori fu straordinariamente pronta. Allo stesso tempo la generalizzazione di questo genotipo di debito pubblico e il suo tumultuoso incremento non sembrarono risolversi nello sterile drenaggio di ricchezza privata verso scopi bellici e neppure avere effetti distorsivi sull’andamento dell’economia reale. Oltre a costituire un mezzo di redistribuzione del reddito e di consolidamento dei patrimoni, per il caso lombardo è dimostrabile che questa forma di indebitamento pubblico a lungo termine, agendo in una situazione di espansione monetaria, non spiazzò gli investimenti produttivi, facendo diminuire il loro flusso o facendone lievitare il costo. Al contrario svolse un effetto prociclico sia durante la fase espansiva fra la seconda metà del XVI secolo e il 1620, sia nella riorganizzazione economica successiva; durante la prima, i titoli pubblici aumentarono le possibilità del finanziamento privato, ponendosi come matrice di credito (cioè come garanzia nella stipulazione di contratti di prestito a lungo termine quali i censi consegnativi) per mercanti e imprenditori; nella seconda, quando il baricentro economico si stava ormai assestando su un equilibrio agricolo-mercantile meno dinamico, il debito permise allo Stato di sostenere la domanda pubblica e ai gruppi dirigenti – che traevano dalle entrate alienate un buon reddito al riparo dell’inflazione ed esente dai tributi – una notevole conspicous consumption (in abbigliamento, opere d’arte, palazzi, ma anche in ville di campagna che erano delle razionali aziende agricole). Inoltre, gli investimenti nel debito pubblico costituirono uno strumento di coinvolgimento e di integrazione dei sottoscrittori nelle strategie ‘centrali’ del Ducato e della Repubblica e giocarono un ruolo fondamentale – soprattutto nel dominio spagnolo – nella conservazione della stabilità politica lungo il XVII secolo.
Settore SECS-P/12 - Storia Economica
2007
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