Il volume ricostruisce il processo di elaborazione delle regole della deontologia forense nei secoli dell’età moderna, evidenziando elementi di continuità e di discontinuità nel lento cammino che ha condotto alla promulgazione dell’attuale codice deontologico e ai dibattiti che lo hanno accompagnato, relativi in particolare alla qualificazione, morale o giuridica, delle norme di condotta professionale. Nonostante la progressiva separazione fra diritto e morale delineatasi a partire dal Cinquecento, norme giuridiche e norme morali continuarono, come nel medioevo, a integrarsi reciprocamente nella disciplina della professione forense. Ben distinte erano, invece, le conseguenze derivanti dalla violazione delle regole professionali sul piano morale (peccato) e giuridico (responsabilità civile, penale e disciplinare). A causa della difficoltà di inquadrare alcune fattispecie deontologiche in norme giuridiche, la minaccia del peccato rappresentò, in molti casi, un ‘rimedio’ più efficace rispetto alle sanzioni giuridiche per imporre al ceto forense il rispetto delle regole professionali: in caso di contrasto fra norme giuridiche e norme morali, erano dunque queste ultime a prevalere. Questo spiega anche il rilievo assunto dal concetto di coscienza nell’orientare le scelte professionali dell’avvocato nel costante bilanciamento fra la collaborazione all’amministrazione della giustizia e la tutela degli interessi del cliente: un concetto che, grazie a una lenta ‘metamorfosi’, è sopravvissuto sino al codice deontologico attuale.
La coscienza dell'avvocato : la deontologia forense fra diritto e etica in età moderna / R. Bianchi Riva. - Milano : Giuffrè, 2015. - ISBN 9788814209093. (PUBBLICAZIONI DEL DIPARTIMENTO DI DIRITTO PRIVATO E STORIA DEL DIRITTO, SEZIONE DI STORIA DEL DIRITTO MEDIEVALE E MODERNO)
La coscienza dell'avvocato : la deontologia forense fra diritto e etica in età moderna
R. Bianchi Riva
2015
Abstract
Il volume ricostruisce il processo di elaborazione delle regole della deontologia forense nei secoli dell’età moderna, evidenziando elementi di continuità e di discontinuità nel lento cammino che ha condotto alla promulgazione dell’attuale codice deontologico e ai dibattiti che lo hanno accompagnato, relativi in particolare alla qualificazione, morale o giuridica, delle norme di condotta professionale. Nonostante la progressiva separazione fra diritto e morale delineatasi a partire dal Cinquecento, norme giuridiche e norme morali continuarono, come nel medioevo, a integrarsi reciprocamente nella disciplina della professione forense. Ben distinte erano, invece, le conseguenze derivanti dalla violazione delle regole professionali sul piano morale (peccato) e giuridico (responsabilità civile, penale e disciplinare). A causa della difficoltà di inquadrare alcune fattispecie deontologiche in norme giuridiche, la minaccia del peccato rappresentò, in molti casi, un ‘rimedio’ più efficace rispetto alle sanzioni giuridiche per imporre al ceto forense il rispetto delle regole professionali: in caso di contrasto fra norme giuridiche e norme morali, erano dunque queste ultime a prevalere. Questo spiega anche il rilievo assunto dal concetto di coscienza nell’orientare le scelte professionali dell’avvocato nel costante bilanciamento fra la collaborazione all’amministrazione della giustizia e la tutela degli interessi del cliente: un concetto che, grazie a una lenta ‘metamorfosi’, è sopravvissuto sino al codice deontologico attuale.File | Dimensione | Formato | |
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